L'amplificazione

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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L'amplificazione

Messaggioda Tucidide » mer 11 nov 2009, 13:21

In questi giorni pare che sia stato dato il via libera all'amplificazione all'Arena di Verona per gli spettacoli operistici.
A dire il vero, mi pare che esperimenti in tal senso fossero già stati fatti.

Prima di discutere sulla cosa, vorrei sapere qualcosa di più, anche perché sono un semianalfabeta dell'informatica e un analfabeta totale dell'elettronica.
Non so proprio in cosa consista l'amplificazione in teatro, sia esso all'aperto o al chiuso.
Ho sentito più volte parlare di "amplificazione ambientale", e mi dicono che sia questo il caso del Pala De André, ad esempio.
Ho anche sentito parlare di "correzione del ritorno" o qualcosa del genere, "controllo della rifrazione"... ma sono talmente ignorante che non ho la più pallida idea di cosa sia... :oops: Per quel che so, potrebbe pure essere un insaccato di suino... :D : Chessygrin :
Qualcuno mi sa dire qualcosa? Quando si cominciò ad amplificare, quali teatri l'adottano, come funziona...

Questo, preliminarmente ad una discussione più generale sulla giustezza dell'uso della tecnologia fonica per l'opera dal vivo.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda pbagnoli » mer 11 nov 2009, 20:44

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Re: L'amplificazione

Messaggioda FRITZ KOBUS » dom 17 gen 2010, 20:43

A mio modo di vedere le novità sull'amplificazione (dell'Arena non sapevo nulla ma non mi stupisce affatto) sono un continuo e inesorabile inabissamento dell'opera lirica in una tomba da cui l'arte lirica non si rialzerà più. La cosa è cominciata moltissimi anni fa, a Firenze (roba che risale addirittura alla fine degli anni Ottanta, ma vado a memoria e potrei sbagliare) dove, al Comunale, ci si accordò con la Sony che installò un sistema per "correggere" i limiti acustici della sala. All'epoca ci si sperticava per chiarire come la sony era stata incaricata di eseguire tale intervento con apparecchiature iper-sofisticate che avrebbero assicurato solo calibrature migliorative. Si giustificava tale intervento unicamente per riequilibrare ciò che i volumi anti acustici del comunale toglievano ai suoni che partivano dal palcoscenico. Così, ricordo, sulla stampa. Naturalmente erano solo balle. Fu il primo intervento di amplificazione dentro un teatro lirico. Murray Perhaia, anni dopo, eseguì il concerto che era in programma a Firenze solo perché tolsero l'amplificazione quando il celebre pianista aveva già fatto le valigie, schifato da quell'obbrobrio. Ricordo una Traviata con Metha sul podio, la Devia e Filanoti: assistei allo spettacolo da una posizione estremamente laterale, corrispondente al proscenio, dove le storture acustiche si sprecavano asseconda di dove erano posizionati i cantanti. Ricordo una Aida (bello spettacolo certo, ma era un'opera lirica?) con uno stonato Lando Bartolini; ero a sedere in platea, penultima fila o giù di lì: sembrava di ascoltare in cuffia. Da quel momento gli episodi si sono susseguiti con sempre maggiore rapidità. Moltissimi teatri sono amplificati oltre a Firenze. Genova per esempio. Fino a non troppo tempo fa si negava l'evidenza, oggi invece è necessario amplificare perché altrimenti alla gente non piace. Si tratta di un decadimento orribile a cui purtroppo non ci si può opporre. Alcuni anni fa, ero a Siena, mi imbattei in una specie di stagioncina estiva allestita in Piazza del Duomo. Comprai i biglietti per Trovatore e Tosca. Quando andai alla prima delle due opere, il trovatore appunto, mi trovai preoccupanti casse acustiche di amplificazione tutt'intorno. Come in discoteca nel 1975. Ma una signora accanto a me esclamò: "Oh, finalmente, così si sente!!". Sempre a Siena , in Piazza del Campo, vidi la Gheorghiu e Canonici in una specie di Traviata con tanto di microfonino incollato alla bocca che mandava i suoi bravi impulsi elettrici ad un sistema di amplificazione piazzato su due torri di tubi innocenti che sembravano tralicci dell'ENEL. La gente si spellava le mani. Ricordo episodi che riguardano la Dessì e anche Pavarotti che per una questione del genere litigò con Bonynge inorridito (sempre all'Arena). Purtroppo l'opera non è che uno spettacolo del passato e sta cambiando diventando un'altra cosa, in linea con i nostri tempi snaturati e ciechi. Per sopravvivere nega tragicamente se stessa. Au revoire.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda FRITZ KOBUS » mer 03 feb 2010, 2:20

Nessuno raccoglie? A me pare una questione di tale portata da rendere quasi inutile ormai parlare di opera lirica, se non dopo una premessa in cui bisogna oculatamente iper-definire di cosa intendiamo parlare. Oppure (come diceva una canzoncina alla fine del primo tragico Fantozzi) "facciamo finta che tutto va ben, tutto va ben, facciamo finta che,... tutto va ben!!!!"
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Re: L'amplificazione

Messaggioda Tucidide » mer 03 feb 2010, 12:59

FRITZ KOBUS ha scritto:Purtroppo l'opera non è che uno spettacolo del passato e sta cambiando diventando un'altra cosa, in linea con i nostri tempi snaturati e ciechi. Per sopravvivere nega tragicamente se stessa.

FRITZ KOBUS ha scritto:Nessuno raccoglie? A me pare una questione di tale portata da rendere quasi inutile ormai parlare di opera lirica, se non dopo una premessa in cui bisogna oculatamente iper-definire di cosa intendiamo parlare. Oppure (come diceva una canzoncina alla fine del primo tragico Fantozzi) "facciamo finta che tutto va ben, tutto va ben, facciamo finta che,... tutto va ben!!!!"

Vedi, amico Fritz, :) con la prima frase citata dichiari apertamente di ritenere l'opera uno spettacolo del passato, che dovrebbe ripetersi sempre uguale a sé stesso se non nei particolari, almeno nelle linee generali. Come ha già detto anche Maugham, io penso che non sia così facile definire l'opera uno spettacolo del passato. Nel suo andare in scena ogni giorno in ogni teatro del mondo, essa è uno spettacolo che parla all'uomo di oggi, e deve cambiare.
La questione dell'amplificazione, che non conosco bene, è piuttosto spinosa.
Nei teatri al chiuso, amplificare mi pare un delitto (ma forse sono io troppo rigido). Ritengo che i teatri al chiuso dovrebbero restare davvero scevri da ogni amplificazione, anche perché senza questa tecnologia si apprezzano cose che con il microfono vanno effettivamente perdute.
Invece all'aperto, dato che si tratta di una forrzatura già all'origine (l'opera non è nata per gli spazi aperti), si tratterebbe solo di un secondo "tradimento", sommato al primo. E' poi vero che c'è modo e modo. :) Tu hai citato esperienze catastrofiche, ma forse la colpa era un po' anche del tecnico del suono, ovvero dell'inadeguatezza dell'impianto. Se fatta bene, l'amplificazione può e deve funzionare, in quelle circostanze.
Del resto, il pubblico dell'Arena e delle serate all'aperto che citi si sta "specializzando" nella sua nazionalpopolarità. Come dici, giustamente, a quel pubblico piace l'amplificazione, perché così si sente bene. Che poi l'audio restituito dalle casse sia una ciofeca rispetto all'ascolto "acustico" è pacifico. Ma per molti, legittimamente, ciò non conta. In ogni caso, basta non andarci, oppure andarci consapevoli della cosa.
Chi andò ad Hyde Park a sentire Pavarotti nel suo famoso concerto, ovviamente amplificato, non lo fece per sentire dal vivo le meraviglie della sua voce argentina nello spazio del teatro. Ci andò per altri motivi, ben conscio di quello che avrebbe trovato: una gioiosa e gaudente passerella coloratissima, dove un grande tenore dotato di voce eccezionale si scopriva uomo di spettacolo e teneva in pugno una folla oceanica con una simpatia e una generosità degne di una rockstar, cantando arie e canzoni.
Dobbiamo anche renderci conto che, da quando esiste il disco e in modo particolare l'alta fedeltà, l'orecchio della gente si è assuefatto al suono "elettronico", e tutte le distorsioni che citi possono anche sembrare normali ad un orecchio abituato ai dischi e ai DVD. E i dischi e i DVD garantiscono oggi come oggi la sopravvivenza dell'opera.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda Triboulet » mer 03 feb 2010, 15:12

FRITZ KOBUS ha scritto:Ma una signora accanto a me esclamò: "Oh, finalmente, così si sente!!"

Ecco, io penso che il problema sia più ampio, non necessariamente legato al discorso della tecnologia... In teoria, in una sala ben costruita, con un buon direttore e una buona compagnia di canto, non dovrebbero esserci grossi problemi. Solo che, forse, quando viene a mancare uno di questi fattori (che sia un cantante con voce troppo "piccola" o semplicemente l'uso di materiali troppo fonoassorbenti negli arredi del teatro) l'equilibrio comincia a vacillare. Prima, immagino, si agiva a monte del problema (o forse non si agiva affatto), oggi si preferisce agire a valle. L'altro problema è: chi è in grado di garantire una perfetta amplificazione? parlo questa volta a livello tecnico, tecnologico e ingegneristico. Vi assicuro che anche nei concerti rock o pop, dove si tratta di equilibrare "più o meno" i volumi di chitarra, basso, batteria, tastiera e voce, sorgono molti problemi, e spesso gli artisti si ritengono poco soddisfatti dei risultati. Immaginiamo di doverlo fare sull'opera, nella maniera meno invasiva possibile, tenendo conto di tutti i fattori citati sopra. Credo sia estremamente difficile.
Quindi, in realtà non sono affatto contrario all'amplificazione in sè, mi sorge il dubbio che la realizzazione tecnica di questa non sia all'altezza di un risultato effettivamente migliorativo, ovvero se le cose migliorano da una parte peggiorano dall'altra. Quale delle due cose allora è il male minore? la signora che dice "così si sente!!" ha dato la sua risposta. Del resto anche lei è "pubblico", non meno degno di me o di te... questo implica anche che la signora prima NON SENTIVA, o sentiva poco o male. Questo è meglio o peggio?
Ci vorrebbe qualcun'altro in grado di portare esperienze dirette di ascolti comparati nello stesso teatro (e per giunta con lo stesso cast), le mie sono solo congetture. E penso che comunque non si arriverebbe ad una verità assoluta.
Il discorso filologico è una ca**ata. Le tappezzerie dei teatri non sono quelle del 1800, i cantanti cantano diversamente, gli strumenti stessi sono diversi, le prassi esecutiva è cambiata, le scenografie e gli spazi sono differenti... in sintesi un'opera di Verdi non suonerà MAI (parlo in termini di acustica) come Verdi l'ha ascoltata la prima volta, inutile discutere.

FRITZ KOBUS ha scritto:A mio modo di vedere le novità sull'amplificazione sono un continuo e inesorabile inabissamento dell'opera lirica in una tomba da cui l'arte lirica non si rialzerà più.


Ho la sensazione caro Fritz che per te non sia tanto la parola AMPLIFICAZIONE quanto la parola NOVITA' la causa della presunta agonia dell'arte lirica... la verità credo sia che qualsiasi cosa, dalla singola cellula del corpo umano sino alla più elevata espressione artistica, se non si adatta muore. E' una legge della vita, del tempo, dell'esistenza...o quel che vuoi. E in ogni cambiamento ci saranno entusiasti e detrattori. Negli anni 50 e 60 si diceva così di altre innovazioni, e tanti storcevano il naso. Nel 2040 ci sarà gente che rimpiangerà le urla della Dessay e i microfoni all'Arena... non mi stupirei.
Io che seguo anche altri generi musicali ti assicuro che in altri ambiti si fanno gli stessi discorsi, ci sono gli stessi schieramenti.

FRITZ KOBUS ha scritto: Oppure (come diceva una canzoncina alla fine del primo tragico Fantozzi) "facciamo finta che tutto va ben, tutto va ben, facciamo finta che,... tutto va ben!!!!"


Non vorrei contraddirti (sicuramente sarai meno giovane di me : Chessygrin : ) ma mi pare che fosse la sigla di uno spettacolto televisivo protagonista Fracchia. Che non è la stessa cosa di Fantozzi eh....
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Re: L'amplificazione

Messaggioda Maugham » mer 03 feb 2010, 17:58

pbagnoli ha scritto:Aspetta con pazienza il vecchio WSM...


In ritardo ma arriva.
Cercherò di essere breve e di tenermi alla larga dalle apocalittiche previsioni da fine del mondo che caratterizzano certi messaggi.

a) come in tutte le cose, anche nel campo dell'amplificazione, ci sono quelle fatte bene e quelle fatte male. Gente come James Lock, Ray Minshull e soci sono entrati nella storia dell'amplificazione sinfonica e operistica. E hanno fatto meraviglie. Ho sentito un concerto della Los Angeles Philharmonic in quel gran catino che è l'Hollywood Bowl e vi posso garantire che solo un orecchio finissimo, di quelli che ne nascono pochi in un secolo, poteva rendersi conto di ascoltare un suono amplificato. Stessa cosa per i Berliner da me ascoltati a Norimberga nella Terza di M ahler. Paragonare il loro lavoro, mettendo tutto sotto il nome di amplificazione, all'operato di qualche piccolo service locale tirato su dall'assessore di turno per amplificare l'operina nel rione mi sembra ingiusto. Se vogliamo demolire l'amplificazione facciamolo pure; però prima di lanciare strali sono del parere che sia salutare chiedersi se quel suono terribile che sentiamo derivi piuttosto che da un'amplificazione, da un'amplificazione fatta male.
b) Non sono per principio contrario all'amplificazione. Come non sono, per principio, contrario a niente. Tutto sta a vedere dove e come. Non avrei di certo rimpianto un'amplificazione fatta bene al Tristano della Scala o al Makropulos. Ovvero se l'amplificazione sopperisce a evidenti problemi acustici della sala, ben venga! Una volta non si faceva? E' vero, ma giova ricordare che, fino a circa metà degli anni Sessanta, le scene al 90% erano dipinte. Anche alla Scala. Questo creva (fondali e quinte da ambedue i lati) una sorta di scatola sonora che amplifcava naturalmente le voci. Sta di fatto che, nella Salome di Bondy, inscatolata, la Michael sembrava la Nilsson, in quanto a volume. Nel Tristano di Chèreau, la Maier, non proprio una zanzarina, al second'atto si perdeva nell'immensità del palcoscenico vuoto. Stessa cosa per la Denoke nel Makropulos.
c) amplificazione all'Arena? Era ora. Dalle mie parti si dice "piuttosto che niente è meglio piuttosto". A un niente, che è quello che si sente in Arena, preferisco un piuttosto. E se poi l'Arena, con i mezzi si cui dispone, chiamerà come credo dei tecnici con i controfiocchi allora sarà il caso di tornare in una torrida sera d'estate dentro al teatrone all'aperto.

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Re: L'amplificazione

Messaggioda Milady » mer 03 feb 2010, 22:12

Carissimi,
Maugham ha impostato con la consueta chiarezza il problema . E Kobus ha messo il dito nella piaga, per me, assidua frequentatrice sin dall'infanzia del Teatro comunale . Ma grazie Fritz, le mie lamentele sul'acustica del Teatro della mia città erano accole come lagne di una vecchia signora incontentabile.
Nell'immediato dopoguerra l'acustica era ottima ( parlo della piccionaia) , nella quale , oggetto di feroci battaglie a gomitate era la mitica colonna Pasquali . ( A destra con le spalle al pocoscenico).
Poi, di miglioramento in miglioramento , dal soffitto a uovo - bucherellato come una forma di groviera al mitico ( e mitizzato a vuoto ) storico accordo- fregatura con la Sony - na sola- , sino ai giorni nostri ,siamo andati di male in peggio.
Ricordo ,sempre dopo tale storico concordato ipertecnologico, una artigianale immensa parete di legno scurissimo sitemata in fondo al palcoscenico - allontanata o ravvicinata con lo stesso miserrimo risultato- sulla quale il suono rimabalzava cupamente , o captato fortunosanmente da microfoni più alti delle lance in Ivan il Terribile,tornava in platea schiacciato e afonoide, nonché , anni dopo, la piantagione di microfoni , generosamente disseminati come tanti carciofi sul palcoscenico, da me contemplata casualmente nel Trovatore con Pavarotti (Ero , grazie ad un'amica ,in un palco (purtroppo) assai vicino all'orchestra
Naturalmente nella precedente era Muti, il poveraccio che si trovava nelle vicinanze dell'orchestra rischiava di fare la fine dei paracadutisti rimasti attaccati ad un rumoroso campanile nel D-Day (cfr."Il giorno più lungo").
Attualmente , se si è nelle prime fila della platea , l'orchestra ti arriva fragorosa,mentre i cantanti, pur supportati dal rigoglioso campetto di cui sopra, non sempre : spesso voci intubate o flebili .
Alle ultime file della platea arriva l''ombra di un suono fuggente.
Maugham ha perfettamente ragione : una amplificazione fatta comme il faut, va benissimo: toglie le eventuali pecche dellla sala e ci dona un suono pieno e armonioso.
Fatta male è una piaga incurabile. Ogni cerotto peggiora la situazione .
Scusate la lagna. Ma finalemente ho trovato una persona che la pensa come me.
Da anni ho dietro alle spalle un reuccio della claque che urla a pieni polmoni -e sempre fuori tempo- bravoooo ai cananti. A sentir lui l' acustica è una meraviglia. Chi si lamenta come me è un incontentabile.
Accanto ho vecchietti in via di rottamazione che sono contenti come pasqueo dormono beatamente.
Buona notte a tutti.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda Tucidide » mer 03 feb 2010, 23:04

Vorrei anche gettare una riflessione, venuta così, senza pretese.
Sull'Arena di Verona ci sono due scuole di pensiero: alcuni dicono che non si è mai sentito bene, altri che i problemi sono sorti da pochi anni, da quando cioè non si canta più come una volta.
Intanto mi piacerebbe sentire o leggere opinioni di chi ha frequentato in tempi remoti l'Arena, per capire un po' questa questione.
In secondo luogo, mi chiedo se l'inquinamento acustico, o meglio l'abitudine delle nostre orecchie non giochi un ruolo importante nella percezione del suono.
In un tempo privo dei rumori caotici della città, senza mezzi tecnologici di riproduzione audio, anche un suono flebile era verosimilmente captato e preso in considerazione. Quando si tenevano comizi all'aperto, l'oratore di turno saliva su un predellino e cominciava a parlare. Probabilmente, chi era lontano doveva sforzarsi per sentire le parole, ma allora era una cosa normale, e non ci si faceva caso. Adesso, in condizioni simili, si invocherebbe il microfono, oppure si urlerebbe "VOCE!!!" Vogliamo tutti sentire perfettamente, come nel salotto di casa, e se non ci riusciamo ci lamentiamo.
Non siamo più abituati a tendere l'orecchio, a concentrarci su suoni distanti e piccoli. Con la TV, lo stereo, le cuffie, se non sentiamo perfettamente al livello che desideriamo, taac! alziamo il volume. :D Pretenderemmo di farlo anche a teatro.
Quindi, mi chiedo se le lamentele di chi dice "non si sente" non siano anche ispirate dal confronto con l'ascolto "tecnologico".

Sulla questione del Comunale di Firenze, le testimonianze di Milady dimostrano che, a prescindere da eventuali scadimenti tecnici dei cantanti, parte della responsabilità sia anche della rinnovata architettura interna. Personalmente, preferirei sistemare quella che mettere dei microfoni. Così come eviterei alla Scala scenografie aperte che rendessero difficoltoso l'ascolto. All'aperto, invece, si faccia un po' come si vuole.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda FRITZ KOBUS » gio 04 feb 2010, 18:53

Per prima cosa grazie a tutti gli intervenuti. Pensavo che la questione fosse stata definitivamente "inumata" mentre, fortunatamente, non è così. Naturalmente, a mio modo di vedere, molti di voi appartengono ad una post-modernità "eretica e deviata". Ma è proprio questo il bello del confrontarsi: cercare di confutare onestamente e assennatamente le posizioni altrui che, con terribile causticità, ti bruciano addosso. Ed è esattamente quanto mi capita nel momento in cui leggo opinioni che accolgono con giuliva felicità il cambiamento in quanto cambiamento, il mutamento perché tale, spacciandolo per evoluzione e legandolo concettualmente all'idea di evoluzione naturale, laddove l'evoluzione culturale è ben altra cosa. Prendo Tucidide che è intervenuto in modo stimolante due volte. Non mi riconosco affatto, sebbene abbia dato l'impressione contraria, nell'idea che la lirica debba perpetuare se stessa in modo sempre identico e nemmeno nell'idea conseguente che io aborra la novità. Quale opera dovrebbe perpetuarsi sempre identica a se stessa? Monteverdi o Glass? Hindemit o Haendel? Puccini o Bellini? Il canto fiorito o quello spianato? Il recitar cantando o l'agilità rossiniana? Cherubini o Mascagni? Gli acuti in falsettone o quelli di petto? E i castrati? I falsettisti, chiamati impudicamente controtenori, che roba sono? Del Monaco o Pertile? Maria Caniglia, Gina Cigna o Maria Callas? O Joan Sutherland? L'opera ha dentro di sé una tale ricchezza in termini di creatività sia da parte dei compositori, sia da parte degli interpreti, che è un vero universo di IRRINUNCIABILE meravigliosa bellezza. Ieri ascoltavo il finale di Die Walkure -Der augen leuchtendes paar- e mi pareva che nulla al mondo valesse quel sublime dispiegarsi d' amore paterno. E lo stesso pensavo, in blocco, del Don Carlos pochi giorni fa, ma soprattutto del duetto tra Elisabetta e Don Carlos; pensavo alla scrittura verdiana, che concentra nella parte del soprano quel trattenimento rovente di un insopprimibile amore con tanta superba maestria. Ed anche, scusino i palati fini adusi a sentire solo Regine della notte, Idomenei, Ermioni e Beatrici di Tenda (poco e malvolentieri Norma e Puritani: banali e scontate), magari l'intermezzo di Cavalleria Rusticana, che quel matto venticinquenne di Mascagni genialmente scriveva, povero e disperato, affogato nel profondo sud di Cerignola, non esattamente un luogo dove gli stimoli culturali si sprecavano. Ed anche l'Inno al sole della sua bellissima Iris e il terzo atto, precursore delle immagini sonore che solo Debussy saprà riproporre anni dopo. Ed anche lo stupendo finale di cui Magda Olivero diceva di rigraziare Dio per averlo potuto cantare. Bene tutto questo ha alle spalle secoli di costume e cultura che si sono sedimentati nella pratica teatrale e nella riflessione su quella pratica; dietro c'è il magistero della tecnica di canto che ha trovato una sua espressività equilibrata e corretta facendo dell'imperfetto organismo biologico umano uno strumento talvolta, invece, ente rasente la perfezione. In tutto questo la modernità e le sue sempre più rapide e violente concretizzazioni, come l'amplificazione, sono intervenute quali catastrofi. Semplicemente azzerano il "percorso evolutivo naturale"; è un po' come la tecnologia che consente gli OGM. Otteniamo qualcosa che sembra, mettiamo, un pomodoro, ma NON lo è.
Ringrazio Tucidide anche per le ultime oservazioni. La tecnologia, i rumori, la richiesta drogata di volume che ci viene indotta dalla melma sonora ,o rumorosa che dir si voglia, in cui siamo continuamente immersi, contraffà le nostre possibilità, capacità e attitudini naturali d'ascolto e attenzione uditiva. Penso che cedere al tecnologismo imperante e nullificatore tirando in ballo l'idea di un adattammento normale a quella che si ritiene una semplice parabola di sviluppo sia almeno colpevole disattenzione. Ribadisco i ringraziamenti a tutti delle sollecitazioni.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda Enrico » gio 04 feb 2010, 21:38

Il problema è sempre quello della "udibilità". Ho sentito in spazi grandi voci apparentemente piccole che si sentivano benissimo anche quando l'orchestra suonava forte, e altre voci che invece si perdevano anche in condizioni acustiche buone. Non sono mai andato all'Arena di Verona, ma ho ascoltato diverse opere e concerti nel teatro di Taormina, spazio aperto abbastanza grande, ma dall'acustica buona nel senso che, forte o meno forte, il suono arriva sempre molto chiaro e limpido anche nelle ultimissime file della gradinata (molto più limpido veramente -e qui credo che abbia ragione Tucidide- quando l'orecchio si abitua ad ascoltare e quando, nella tarda serata, diminuisce il "rumore di fondo" lontano che è un po' come quello dell'organo all'inizio dell'Otello di Verdi: quando smette si capisce che c'era!). Ricordo di aver sentito, da molto lontano, perfino il rumore della bacchetta caduta per un attimo dalle mani di Sinopoli durante un concerto. Una voce come quella della Dragoni era forte e sonora nell'Aida, ma si sentiva perfettamente anche quando faceva il do in pianissimo nei "cieli azzurri"; nella Tosca, sempre a Taormina, era assordante anche quando cantava fuori scena: al confronto sembrava deboluccio Licitra, che le stava accanto in una rappresentazione forse un po' improvvisata, ma si sentiva molto bene anche lui: alcuni suoni erano brutti perché forzava gli acuti, ma per timbro e impostazione della voce non c'era nessun problema di "udibilità". Lo stesso Licitra tuttavia si sentiva a tratti un po' meno (forse perché forzava e stonava un po' di più) in Aida più recente, nella quale c'erano problemi di "udibilità" anche per la protagonista (Isabelle Kabatu) e per l'Amneris (che però, stranamente, nell'ultimo atto si sentiva meglio), mentre si sentiva sempre forte e chiaro l'Amonasro di Juan Pons. C'è da dire che il suono dell'orchestra non era potente, trattandosi di giovani studenti alquanto inesperti con circa una settimana di prove: disciplinati sì, quasi precisi grazie al direttore, ma debolucci nelle sonorità.
Sempre lì, all'aperto, si sentiva perfettamente la Caballè "anziana e decadente" anche se si girava di spalle o se cominciava a cantare una nota arrivando da dietro l'orchestra dal fondo del palcoscenico o tentava di fare, se per caso ci riusciva, un pianissimo o una filatura, e, per quanto ci fossero sparsi qua e là diversi microfoni, credo che fosse l'unica non amplificata in mezzo al gruppetto composto da figliuola canora e tenorini promettenti: anche in quel caso l'orchestra era però abbastanza debole e povera.
Carreras, sempre lì in un concerto estivo tutto di canzoni napoletane e spagnoleggianti, qualche anno prima, si era presentato con grande orchestra e con amplificazione: amplificazione fatta bene, che portava il suono in tutti i settori del teatro senza distorsioni e senza alterare la qualità della voce con i suoi pregi e difetti: è vero però che si aveva quasi l'impressione di ascoltare un disco, perché veniva meno la percezione fisica della produzione del suono: di tanto in tanto, si sentiva che c'era al centro del teatro la voce vera oltre a quella che usciva dagli altoparlanti. Credo che anche Carreras in quel contesto, pur anche lui decadente e decaduto, avrebbe potuto cantare tranquillamente senza microfono. Della Caballè di oggi -più o meno dell'anno scorso- un amico musicista che si è trovato in orchestra durante uno dei soliti concertoni con figliuola, mi ha detto che, anche così com'è ora che fa solo immaginare ciò che doveva essere nei tempi buoni, risulta sempre perfettamente udibile e sonora, qualunque suono emetta, bello o brutto che sia. Della signora Ricciarelli, in serate buone o in serate orribili, posso dire che funzionava comunque meglio senza amplificazione: con i microfoni ogni difetto diventava fastidioso e straziante, e ciò che c'era di buono si perdeva del tutto.
E il buon vecchio Lucianone in teatro e senza microfono, come ho detto altrove, anche negli ultimi anni, quando riprendeva il suo recital tradizionale di ariette antiche e romanze di Tosti, era tutt'altra cosa rispetto ai concertoni negli stadi: legittimi anche quelli, divertenti a volte, spesso anche belli da vedere in televisione o da risentire in disco, ma privi di quella che un mio amico violinista definiva "la magia della produzione del suono".
Il problema si può porre anche per altri spettacoli all'aperto: quando sono andato le prime volte al Teatro Greco di Siracusa gli attori recitavano ancora con la loro sola nuda voce: nel primo spettacolo che ho visto, Le Supplici di Euripide nel 1986, non si sentiva quasi nulla (se non una banda che ogni tanto suonava in scena), mentre il giorno dopo, nell'Antigone, si sentiva tutto benissimo, in particolare la protagonista, la Mazzantini, che però urlava a squarciagola e alla fine diventava rauca, e più ancora il Creonte di Turi Ferro tonante e ruggente anche quando nel finale si rotolava per terra disperato e addolorato. Due anni dopo l'Aiace risultava di difficile ascolto, mente nelle Nuvole di Aristofane non si perdeva nemmeno una virgola: dipendeva dal vento, dal clima, dagli attori? non lo so. Ancora due anni dopo, un'Elettra che non si sentiva, e poi il primo esperimento di tragedia con microfoni attaccati sulla faccia degli attori: I Persiani: spettacolo bellissimo, ma che probabilmente avrei seguito benissimo anche senza amplificazione dal momento che quella volta stavo al centro della prima fila.
Ora a Siracusa si usano i microfoni sempre. Qualche anno fa ho detto a un amico attore che avrei preferito sentirlo senza microfoni dal momento che ha la voce impostata in maniera abbastanza "tradizionale" (un po' alla Salvo Randone), anche perché col microfono perdeva molto (ne ho avuto conferma quando l'ho rivisto in teatri chiusi e ho sentito di nuovo la sua vera voce naturale: non si perdeva nemmeno la più piccola vibrazione o la più piccola sfumatura della dizione e del respiro!). Anche lui sostiene che si debbano usare i microfoni perché a causa del rumore e del fatto che siamo tutti un po' più sordi la voce, anche se ben emessa, non sempre raggiunge le ultime file della gradinata.
Credo che decidere di utilizzare sempre l'amplificazione sia sbagliato, e credo che l'opera, nei teatri e negli spazi in cui è possibile, funzioni ancora benissimo senza amplificazione (se i cantanti sanno regolare la loro voce anche in funzione dello spazio, e se i direttori sanno creare i giusti equilibri, e se registi e scenografi e architetti rispettano le normali leggi dell'acustica). Nel momento in cui si usano i microfoni il problema è quello di trovare il giusto equilibrio, e come avete già detto questo è spesso difficilissimo: è già difficile nei dischi, immaginiamo dal vivo. Da diversi anni trovo spesso "squilibrate" sia alcune registrazioni (in particolare alcune degli anni '80 - '90) sia molte trasmissioni d'opera radiofoniche - specialmente quelle dei teatri italiani. Ho ascoltato un solo concerto sinfonico amplificato, all'Isozaki di Torino: la Filarmonica della Scala diretta da Gatti in due sinfonie di Beethoven. Mi sembrava veramente di sentire un disco, perché il suono, quella volta abbastanza limpido e ben bilanciato, proveniva dagli altoparlanti enormi e non dall'orchestra, e per giunta i musicisti solisti erano inquadrati negli schermi ai lati del palco. Quella volta mi sono rassegnato e alla fine trovato una soluzione parziale andandomi a sedere in posizione molto vicina e laterale dietro le ultime file dei violini: così vedevo il direttore e sentivo almeno in parte il vero suono dell'orchestra: ma di quel concerto non ricordo nulla se non una certa noia, mentre ho ancora in mente momenti di concerti "tradizionali": il pianissimo della Filarmonica di Dresda alla ripresa del tema nel primo movimento del concerto per violino di Beethoven, l'oboe dei Bamberger nel secondo movimento del concerto di Brahms a Taormina, il suono caldo e mobido degli archi di un'orchestra russa sentita in estate in un cortile di Noto (e, in un altro cortile di Noto, la mezza voce morbidissima del tenore Fisichella, o in teatri grandi o piccoli il tocco sui tasti di pianisti come Magaloff o Cherkassky o Ciccolini o gli armonici strani della signora Kabaivanska o le messe di voce di Sabbatini sugli acuti o le mezze voci affascinanti di Blake nel Barbiere, o il "m'ama sì m'ama lo vedo" di Pavarotti dal fortissimo squillante al pianissimo dolcissimo...) .
Va benissimo, per forza, l'amplificazione nei luoghi in cui altrimenti non si sentirebbe nulla; e va benissimo l'amplificazione come particolare scelta interpretativa o espressiva: per esempio ho visto una Tempesta di Shakespeare nella quale Prospero veniva amplificato in maniera abbastanza suggestiva solo nei momenti di magia, mentre per il resto recitava normalmente senza microfono e benissimo, e tuoni e vento erano prodotti dalle antiche macchine teatrali con ruote e lastre metalliche: il nuovo e l'antico utilizzati correttamente per esprimere e comunicare. Posso infine citare il caso limite di una Gioconda (?1997?) dell'Opera di Stato di Praga in cui per i cori fuori scena si usavano registrazioni preparate prima dagli stessi coristi che stavano in scena: anche in quel caso era abbastanza triste sentire che il suono veniva non da dietro le quinte ma dagli altoparlanti posti ai lati del palcoscenico! I cantanti invece cantavano tutti in maniera tradizionale: pronuncia ostrogota, interpretazioni variabili dall'ottimo all'assurdo, regia un po' carnevalesca, ma voci ben sonore che, cantando piano o cantando forte, riempivano senza problemi tutto il grande teatro.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda FRITZ KOBUS » gio 04 feb 2010, 23:05

Per prima cosa, mi sono dimenticato di farlo oggi, chiedo scusa per la mia citazione villaggiana sbagliata: la canzoncina "Facciamo finta che..." era proprio della serie televisiva con Fracchia, niente a che fare con Fantozzi. Omaggio a Triboulet che sottolinea giustamente lo svarione.
Per quanto riguarda Enrico che interviene tanto a lungo non posso non reagire ad affermazioni che giustificano l'impiego di amplificazione perché altrimenti, in certi luoghi, non si potrebbe fare spettacolo. La mia immediata reazione sarebbe: "E chi se ne frega.". Se è indispensabile cantare o recitare (che orrore gli attori con quegli affarini appiccicati al viso) con l'amplificazione, cioè con un sistema che per definizione falsa e mistifica intenzionalmente e programmaticamente una rappresentazione, meglio sarebbe non farli. Se il problema è di cassetta andiamo su un altro piano e su quuello non ho voglia di aprire dibattiti: quando il fine è "solo" guadagnare non c'è discussione.
Naturalmente mi riferisco sempre all'amplificazione usata per spettacoli sviluppatisi storicamente al di fuori di qualsiasi sistema acustico artificioso di potenziamento dei suoni. Diversa la questione è per quelle forme di espressione che hanno nell'amplificazione un elemento stutturale del loro linguaggio; possono piacere o non piacere, ma lì non c'è dolo. Così come non mi sentirei di essere severo nel caso (solo nel teatro di prosa evidentemente) quando l'amplificazione viene usata per fini esprssivi o per sottolineare passaggi specifici, come riferisce Enrico a proposito della Tempesta shakespeariana: ovvio che può andare a genio o meno. Il resto è malafede divenuta costume.
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Re: L'amplificazione

Messaggioda Milady » sab 06 feb 2010, 16:57

Carissimi,
dell'amplificazione - molto racchia- nel teatro della mia città ho già parlato . Sintetizzo :di male in peggio.
Quanto all'Arena di Verona ho qualche vivace ricordo di spedizioni col nonno , i suoi amici ed altri bambini che dovevano essere educati alla bella musica.I genitori, che temevano che noi piccoli fossimo contagiati dal corrotto mondo del teatro, - soprano e tenori ? tutta gentaccia.venivano tacitati , appunto, in nome della necessità di una buona educazione musicale.
E poi diceva il nonno, senza ammettere alcun contradditorio :"La lirica entra nel cuore , rende sopportabili i momenti neri e tira sù il morale.Tutti abbiamo bisogno della buona musica : ti riempie la vita.Volete che la bambina venga su triste ? O malata nel cervello? O che siete grulli?"
Lungo e divertentissimo il viaggio in treno, costellato di cori e di assolo, propiziati dal Chianti.
Noi bambini sgranocchiavamo dolcetti, divoravamo i panini e li innaffiavamo con gazose e aranciate .
L'Arena era maestosa da togliermi il respiro.
Era uno spettacolo già lo stare a vedere la folla di melomani giungere in sella a biciclette in pessimo arnese , ma miracolosamente funzionanti , perfino gravate di vari pacchi : il fiasco o la bottiglia ( capace) del vino, panini col salame e colossali cocomeri .
La lunga attesa veniva occupata da accesissime discussioni sui cantanti preferiti o detestati ( bravi o cani).
Il posto molto low cost e nazionalpopolare non era dei migliori, ma il nonno riusciva sempre ad attuare una spettacolare avanzata , con una tattica degna di Napoleone ad Austerlitz o di un astuto guerrigliero.
Alcune voci , dotate di un buon volume o di una tenica corretta , correvano .Altre risultavano flebili o lontane. O si sentivano appena.
I giudizi , in genere pronunciati dopo qualche scena o alla fine del I atto ( concessione magnanima: la voce si deve scaldare e qui non siamo in un teatrino ),erano poi tacitiani e inappellabili :" Non e una voce da Arena ", "E' proprio una voce da Arena", Bravo ", " Cane", "Questa sì che è una signora voce ", "Questo è moribondo. Dategli la bombola [dell'ossigeno] o ci crepa sotto gli occhi ","Che lagna !Sembra un'anima del purgatorio" , "E' morto Bobi", "Questo sì che è un bell'acuto " , " "Questo fa il verso al fischio del treno", " Questo c'ha il mal di stomaco " (note basse troppo poitrinés ), " O icché gli è preso?Ma icché gli ha da agitassi tanto? Ovvia, da' retta nano, datti una halmata"( se c'era qualche eccesso "verista" ), "Oggi si balla", "Questo canta da Caterina " ( falsetti troppo femminei) ("Ammazzatelo alla svelta "o "Sparati per bene" , era invece la sigla ai Werther fiorentini piagnucolosi).
IL tutto veniva ovviamente declinato al femminile , con la seguente condanna dei sopranini di coloratura con l'effetto coccodè o acuti e sopracuti sofferti :Eccoti La gatta strinta all'uscio! " ,e , per i maschietti alle prese con le stesse difficoltà " E mi pare ' un gatto in amore".
In caso di belle signore dalla generosa scollatura generosamente esibita ma senza voce :" La un c'ha voce , ma la c'ha du' belle poppe" (Poi i fischi di condanna o le beccate arrivavano lo stesso)
L'ultimo sigillo, quando le cose non davano bene "Va' a zappare": a piena voce e ripetuto con convinzione.
Come è stato notato , non c'era naturalmente traccia dell'inquinamento acustico odierno.
In certi momenti tra una scena e l'altra , a parte il brusio dei commenti o il bombardamento dei colpi di tosse- ( Via i tisici , scolpiva mio nonno)-regnava come una sorta di silenzio , solcato dai suoni della natura.
Le orchestre avevano un diapason molto più basso di quello attuale . E questo facilitava i cantanti.
Ma ho avuto l'impressione che, salvo rare eccezioni,un certo tipo di voce importante e di gran volume, come pure una certa tecnica o di fonazione ,volta ad ampliare il volume ,- scusate il lessico impreciso- sia in via di estinzione, se non estinta .
Io non amo l'amplificazione , che , in base alla mia esperienza, tende falsare e storcere il suono.
(Se poi, si capita, come mi è successo per due o tre volte , nelle immediate vicinanze delle casse- stereo ( quasi sul capo) , o si va via di testa o si corre a comprarsi l'apparecchietto acustico o si scappa all'ingresso).
Sono tornata molti anni dopo per una Aida Kolossal e pacchiana: discreta l'acustica, ma i cantanti erano molto routiniers o preoccupati della vastità dell'anfiteatro.
Se l'amplificazione , con i suoi pregi ed i suoi d tanti ifetti,è veramente necessaria, ad es. all'aperto, fiat : una prece,che sia almeno attuata con la maggior cura e la massima cognizione di causa possibile .
Ho visto i microfoni "facciali" in azione, qualche anno fa in occasione di "Tosca".
La voce di Raimondi arrivava a ondate : ora sonora ora flebile. E questa corrente alternata non poteva essere solo imputata all'età non più verde di Raimondi-Scarpia . I microfoni a terra , seminati generosamente ,- ma senza tenere conto dei movimenti dei cantanti e dei cambi di scena- fornirono un "Te Deum" spaccatimpani: un tal baccano in Chiesa, appunto .
E pensare che gli abbonati delle ultime file di platea , dissero che si era sentito risuonare veramente bene solo il Te Deum, mentre noi delle prime avevamo ancora le orecchie che rimbombavano. (Corrente alternata , ora clangore , ora lievi sospiri, anche per gli altri cantanti)
E anche oggi i suddetti sfortunati abbonati- paganti e non a sbafo- a fondo sala ,si lamentano di sentire poco e male.
Tutto questo significa ovviamente che l'amplificazione è" fatta a ombrello" , ossia male .
A conclusione ,se l'alternativa è di non sentire quasi nulla o solo qualche rantolo o un rapsodico schianto dell'orchestra, ingoiamo il rospo dell'amplificazione , ma, ripeto che sia messa in atto a dovere e da chi , oltre ad avere il bagagòlio tecionico per questi impianti, conosca e ami l'opera.
Altrimenti il rimedio è peggiore del male.
Con simpatia e buon pomeriggio a tutti
da
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Re: L'amplificazione

Messaggioda FRITZ KOBUS » ven 23 apr 2010, 17:15

In un'altra discussione ho accennato, in soave polemica con Mat, ad alcune questioni concernenti il "cos'è" l'opera. Se abbia uno statuto che possa essere cosiderato valido in assoluto oppure se, invece, possa vedersi come una sorta di ente proteiforme capace, permanendo il suo fascino, di essere riplasmata in maniere variegatissime e anche lontanissime, addirittura in opposizione, con ciò che comunemente era possibile pensare fosse fino (grosso modo) agli anni Ottanta del secolo scorso. Uno dei motivi per cui oggi è pressoché impossibile continuare a parlare di opera è il tema della discussione che qui ha preso forma, e cioè l'amplificazione. Tendiamo a dimenticarci di questa lebbra che impera sul teatro d'opera da un paio di decenni. Motivo per cui parliamo dei cantanti "come se" si esibissero nelle stesse condizioni di Rubini, Nellie Melba, e Carlo Tagliabue, cioè secondo un rapporto naturale tra emittente (il cantante) e ricevente (l'ascoltatore), senza trucco e senza inganno. Purtroppo il trucco e l'inganno ci sono. Leggete l'articolo di Stinchelli su MUSICA di questo mese (p. 28) e vi si riattorciglierà lo stomaco. I dischi sono falsi per definizione, i teatri lo sono per scelta intenzionale e truffaldina: ma ha n veramente senso continuare a parlare d'opera?
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Re: L'amplificazione

Messaggioda MatMarazzi » ven 23 apr 2010, 19:49

FRITZ KOBUS ha scritto:Leggete l'articolo di Stinchelli su MUSICA di questo mese (p. 28) e vi si riattorciglierà lo stomaco.


Non l'ho letto... ma non ne dubito. :) Direi che mi si riattorciglierà a prescindere! ;)
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