I tagli del FUS

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Maugham » mer 16 set 2009, 11:56

MatMarazzi ha scritto:
Quanto all'articolo della costituzione che citi, è per me niente più che la prova di quanto la politica possa far male all'Opera.


Non sono d'accordo. Non sono le "leggi" che fanno male, ma come le usi.
Questo riconoscimento poteva significare una svolta epocale. E non perchè metteva al riparo i teatranti da eventuali "temporali".
Lo dimostra il taglione applicato al FUS (come dicono?) "senza se e senza ma" applicato nel 2009.
E nemmeno perchè trasformava una "facoltà di" in "obbligo di"-tanto pochi o molti un po' di soldi nello spettacolo sarebbe finiti- ma perchè, se utilizzato come si deve, sarebbe potuto essere il primo tassello per un riforma seria di tutto il comparto. Con tanto di detassazione, deleghe alle Regioni etc. Arrivando anchee, sottolineo, come ho già auspicato su questo pagine, con una cancellazione totale del FUS. Purtroppo nel settore dello Spettacolo gli statalisti e i detentori di privilegi sanno come essere efficacemente gattopardeschi.

Ovviamente ti ringrazio per lo splendido excursus storico che ci hai sottoposto.
Con esso ci dimostri che nei secoli passati vi sono stati moltissimi casi di interventi pubblici nei teatri d'opera.


Non era mia intezione fermarmi a questo. Volevo chiarire -seppure seguendo il protocollo di uno spazio conviviale e "leggero" come il nostro- che i Teatri d'Opera -a differenza del cinema e di parte del teatro di parola- non sono mai riusciti a sostentarsi in proprio. E che anche i cosiddetti teatri privati di primo ottocento chiudevano quasi sempre con disavanzi maggiori o minori a seconda di chi li gestiva. Che venivano di volta in volta ripianati. In molti casi (almeno in quei teatri dove si è fatta la storia dell'Opera) con denaro della collettività.
Questo non significa assolutamente che non si possa arrivare a una privatizzazione totale e soprattutto "vera" di questa forma d'arte.
Ci mancherebbe!
Rimanendo in tema "light" è sorprendente notare le consegenze che gravavano sull'impresario responsabile del "buco".
Sarebbe istruttivo per i nostri manager quello che successe a Parma nel 1818.
L'impresario (non ricordo il nome) fece collassare la stagione. Maria Luisa lo fece rinchiudere in fortezza, incaricò una commissione governativa di proseguire la stagione (adesso diremmo che commissariò il teatro), però ordinò che il tapino si facesse carico di tutti i costi aggiuntivi.
In seguito, passata la buriana, si raddolcì e concesse allo sfortunato manager una parte della sovvenzione pubblica che la città di Parma investiva per finanziare la stagione di Carnevale consentendogli di lasciare la galera dopo il ripiano dei debiti.

Il mitico teatro Feydeau di Parigi (dove agiva Cherubini) era privato.
Il teatro viennese di Schikanaeder (dove nacque il Flauto Magico di Mozart) era privato.


Penso che ci si debba intendere sui termini.
Un conto è dire "privato" nel senso di "autonomo". Ovvero un teatro d'Opera che vive di solo sbigliettamento.
Un conto è dire "privato" nel senso di affrancato da un'Amministrazione Pubblica.
I teatri che citi non erano assolutamente privati nel primo senso della parola.
Da quanto ho letto l'An der Wien venne fondato nel 1787 dal principe Starhemberg e dal capocomico Rossbach e godeva del privilegio imperiale (cioè finanziamenti). Quando lo prese Schikanaeder -pochi anni dopo la sua fondazione- faceva quasi solo esclusivamente farse allestite però con grande sfarzo. Il costi gli sfuggirono di mano, questo costrinse l'impresario ad accettare i finanziamenti di due politici dell'epoca come Baurenfeld e Zitterbach. Il secondo pretese addirittura in cambio la direzione diciamo così organizzativa del teatro affidando, a malincuore, quella artistica a Schikaneder. E questo è solo l'inizio di una stagione gestionale tormentatissima in cui, per ripianare i debiti, intervennero anche gli Esterhazy.
Il Feyedau venne, se non sabglio, fondato addirittura dal fratello del Re. Ma ne so poco.
Certo, erano privati, nel senso che non erano teatri di Stato.
Adesso, come allora, con il solo sbigliettamento, secondo me chiudi.
Un'esempio tipico è la discografica che, a quanto ne so, non ha mai avuto sostegni pubblici.
Lo dice Culshaw e lo ribadisce Andry. Le grandi e costose produzioni classiche venivano sostenute anche dagli introiti del pop.
La Decca aveva i Rolling Stones, la Emi i Beatles e la Rca Preasley.
La Philips aveva...la Philips elctronics.
Altrimenti non avremmo nulla da ascoltare

Detto questo, però, ti chiedo: in che modo può esserci utile rivangare la storia e gli antichi metodi di produzione?


Secondo me è utile. Ovviamente senza lasciarsi condizionare troppo dal passato.
In questo sono d'accordo con te.
Se avessimo continuato a dire "tanto c'è la forza di gravità" non avremmo mai volato.
Però se Baricco avesse approfondito la storia dei sostegni pubblici e privati nella Storia del Teatro d'Opera il suo articolo su Repubblica -che tanto sdegno ha sollevato :D- sarebbe stato più, come dire, concreto.

E' nelle condizioni attuali che dobbiamo chiederci se l'Opera potrebbe o no sopravvivere senza supporto statale.
Io penso di sì, spero di sì.


Certo che sì. Anch'io lo spero. Però bisogna studiare il modo di sostituire questo contributo con qualcosa d'altro.

Ciò che scrivi è ragionevolissimo, ma per un cultore d'opera, non per uno Stato.
Pretendere che lo Stato (o la Provincia o il Comune) eroghi "senza criteri feudali o interessi da bottega" è utopico.
La politica vive proprio di questo. La dialettica civile vive di questo.
Vive di equilibri di potere, di delicati bilanciamenti, strappi e aggiustamenti, compromessi e scontri frontali ...
si chiama democrazia e mi va bene, purché non metta becco in settori che non la riguardano (come quello del rapporto fra l'artista e il suo fruitore).


Forse abbiamo anche un concetto diverso del termine "democrazia". Quello di cui parlavo, almeno per me, è proprio l'opposto della democrazia o una sua bizzarra declinazione.
Comunque, magari sbaglio, trovo più utopico pensare che la politica faccia la politica, però smetta di farlo nei settori che, ciascuno di noi, ritiene non le competano.

Lo Stato, a differenza del pubblico, della società, non ha criteri estetici: le sue selezioni le deve operare secondo i "suoi" criteri... che tu puoi definire "da bottega"; io preferisco dire "politici".


Quando io parlavo di cosa scegliere mi riferivo a qualcosa di più concreto dell'estetica.
Fortunatamente la politica ha sempre avuto la decenza di non definire estetiche le sue scelte altrimenti ci sarebbe davvero da ridere.
Mi riferivo a criteri selettivi su base gestionale che altri paesi (questo lo so) applicano. da anni.
Da noi si preferisce la pioggia...

Ma questa per me - e ci tengo a dirlo - deve solo essere una fase: il punto di arrivo è un altro.


Su questo....non ci piove. :D
Questo sistema di sostegno pubblico all'Opera ha portato a risultati eccellenti?
La risposta, sotto gli occhi di tutti, è no.
Siamo diventati una provincia -tra l'altro periferica- dell'impero. Siamo indietro sia per quanto riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie applicate allo spettacolo per non parlare delle nuove forme gestionali.
Non c'è stato nemmeno uno sviluppo del pubblico che continua ad essere uno dei più tradizionalisti d'Europa (vantandosi di essere competente) al punto di condizionare le scelte artistiche di un Teatro come La Scala.
E' ora di cambiare.
Anche perchè la chiusura è dietro l'angolo.

Come sempre Mat, grazie per gli spunti "alti" di questo nostro salotto.
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Rodrigo » mer 16 set 2009, 21:13

Magari vado un po' fuori dal seminato...
Io ritengo che sia non solo buona cosa, ma doveroso che lo Stato (cioè la collettività) eroghi finanziamenti a favore dell'opera. Così come è giusto e doveroso che -in pura perdita- lo Stato finanzi, che so, il restauro di un dipinto minacciato dal tempo, uno scavo in un sito archeologico, la difesa delle opere d'arte contro il pericolo di furti e vandalismi.
Ritengo, per motivi non molto dissimili da quelli enunciati da Mat, che sia invece sbagliato (o comunque fonte di sprechi colossali) finanziare DIRETTAMENTE teatri o spettacoli (sia pure con qualche eccezione). Più intelligentemente i finanziamenti dovrebbero essere diretti, secondo me, ai PRESUPPOSTI della rappresentazione: il recupero e l'adeguamento dei teatri (tra l'altro spesso edifici essi stessi opere d'arte), il restauro delle partiture autografe (data la fragilità del supporto cartaceo), lo studio e la realizzazione delle edizioni critiche ecc. ecc.
In questi campi sono dell'avviso che i privati ben poco possono fare, al massimo possono finanziare, difficilmente possono progettare.
Saluti e scusate se sono stato un po' "svagato" rispetto ai ben più rigorosi interventi degli altri forumisti! :D
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » mer 16 set 2009, 21:43

Rodrigo ha scritto:Saluti e scusate se sono stato un po' "svagato" rispetto ai ben più rigorosi interventi degli altri forumisti! :D


Mi pare invece un intervento bellissimo, Rodrigo!
Anche perché, in realtà, apri una questione molto importante e a cui ancora nessuno aveva pensato.
La questione Opera non si esaurisce nella produzione di attività teatrali, ma contempla anche la conservazione di un patrimonio storico-artistico.
Questo aspetto mi era completamente sfuggito.
Su questo punto persino un arrabbiato e incondizionale "privatista" come me non può che concordare con te! :)

Un salutone,
Mat
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » gio 17 set 2009, 11:59

Rodrigo ha scritto:Ritengo, per motivi non molto dissimili da quelli enunciati da Mat, che sia invece sbagliato (o comunque fonte di sprechi colossali) finanziare DIRETTAMENTE teatri o spettacoli (sia pure con qualche eccezione). Più intelligentemente i finanziamenti dovrebbero essere diretti, secondo me, ai PRESUPPOSTI della rappresentazione: il recupero e l'adeguamento dei teatri (tra l'altro spesso edifici essi stessi opere d'arte), il restauro delle partiture autografe (data la fragilità del supporto cartaceo), lo studio e la realizzazione delle edizioni critiche ecc. ecc.
In questi campi sono dell'avviso che i privati ben poco possono fare, al massimo possono finanziare, difficilmente possono progettare.

Io credo che stiamo un po' mescolando cose diverse, direi incommensurabili fra loro.
- edizioni critiche;
- realizzazione di spettacoli;
- restauro e manutenzione dei teatri.
Le edizioni critiche, anche se lunghe e laboriose, hanno costi nettamente inferiori alla gestione di un teatro. In fondo, si tratta di pagare uno o più musicologi per un periodo di tempo più o meno lungo. Di fatto, lo stipendio di poche persone. Diciamo che, messe in un ipotetico registro di contabilità della musica, sarebbero una voce economicamente quasi irrilevante.
Le spese di manutenzione e reatuaro delle strutture, beh, quelle sono invece astronomiche, se comparate con quelle di una programmazione teatrale. Si va su ordini di grandezza spropositati, e sarebbe assurdo pensare che tali spese possano essere sostenute da privati. Ma d'altronde, come dicevi, si tratta di patrimonio monumentale, quindi devono essere sostenute dallo stato.

Un appunto su una questione interessantissima posta da Maugham:
Maugham ha scritto:Adesso, come allora, con il solo sbigliettamento, secondo me chiudi.
Un'esempio tipico è la discografica che, a quanto ne so, non ha mai avuto sostegni pubblici.
Lo dice Culshaw e lo ribadisce Andry. Le grandi e costose produzioni classiche venivano sostenute anche dagli introiti del pop.
La Decca aveva i Rolling Stones, la Emi i Beatles e la Rca Preasley.
La Philips aveva...la Philips elctronics.
Altrimenti non avremmo nulla da ascoltare

Riporto un dato che ritengo interessante: la fonte è attendibile, direi. :mrgreen:
My recording of Rusalka cost around $ 300,000 and has sold forty thousand units to date (2004 ndr). It will have to sell seventy-five thousand to earn back its cost. Yes, these recordings may stay in the red for a long time.
Renée Fleming, The Inner Voice, p. 128

Dubito che ad oggi ne siano state vendute 75000 copie. : Blink :
Fortunatamente, continua la signora, la Decca può contare su Pavarotti in ogni salsa, e sul cross-over, le cui vendite, facendo la media con i CD di classica, coprono i buchi.
Del resto, come dice Luciano De Crescenzo, la media è quella cosa per cui, se ho il sedere a mollo nell'acqua gelata e la testa infilata nel forno, in media sto bene. :D
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » gio 17 set 2009, 13:50

Tucidide ha scritto:Io credo che stiamo un po' mescolando cose diverse, direi incommensurabili fra loro.


Non mi pare affatto che si sia mescolato nulla.
Il discrimine non è quello della quantità di costi, ma quello (aperto da Rodrigo) delle proprietà dello Stato.
Siamo tutti d'accordo che è lo Stato a dover spendere per il restauro e la manutenzione di palazzi o patrimoni artistico-bibliotecari che (ahimè) a lui appartengono materialmente (anche se, come dimostrano i fatti, è destinato a non far sempre bene neppure quello).
Il fatto che ad esso vada sottratto il controllo della produzione artistica è un altro discorso e qui sta il discrimine.

Fortunatamente, continua la signora, la Decca può contare su Pavarotti in ogni salsa, e sul cross-over, le cui vendite, facendo la media con i CD di classica, coprono i buchi.


Checché ne dica la signora Fleming, se una casa discografica privata produce qualcosa, non lo fa per il bene del mondo e la diffusione del bello.
Lo fa per guadagnarci, in un modo o nell'altro. Fosse anche solo in immagine (e sempre se se lo può permettere).
Inoltre la Decca deve aver calcolato (male) che quella Russalka sarebbe rimasta in catalogo praticamente incontrastata per decenni e che prima o poi i soldi sarebbero rientrati. E' stato un pessimo calcolo? Di sicuro, anche perché ora - a togliere ossigeno ai CD - ci sono i DVD: le scarse vendite di un'incisione come quella si spiegano anche col successo del DVD da Parigi.

I colossi del CD sono in crisi, è vero, ma solo perché la società, con i nuovi mezzi di comunicazione, reclama il cambiamento.
E il cambiamento è la parola d'ordine di ogni "mercato".
Porre l'indice sul fatto che in passato i teatri fallivano (!) e che le case discografiche oggi sono in crisi (!) è un'espressione della logica statalistica!
Chi crede nel mercato ti risponderà che è naturale e persino giusto che sia così: il mercato assicura proprio il ricambio, e con esso il progresso, lo sviluppo.
Appaiono le autemobili e il mercato dei "ferratori" di cavallo fallisce. Appare Internet e i negozi di dischi vanno in crisi.

Una gloriosa impresa privata del passato, dopo vent'anni di successi operistici, fallisce?
Questo non prova per niente che le imprese operisitche private "non si sostengono da sole" ma al contrario che il mercato resta la forma più vitale, selettiva e giustamente spietata: non basta avere successo, occorre mantenerlo nel mutare delle condizioni. E se non ci riesci, devi chiudere: mille imprese giovani sono lì apposta a insufflare nuova linfa al prodotto.
Sono i cadaveri marcescenti della Cultura di Stato a essere tenuti vivi per forza, per decenni, anche quando il mercato, il pubblico, la stessa società ne abbiano decretato la fine.

Salutoni,
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » gio 17 set 2009, 14:33

MatMarazzi ha scritto:Inoltre la Decca deve aver calcolato (male) che quella Russalka sarebbe rimasta in catalogo praticamente incontrastata per decenni e che prima o poi i soldi sarebbero rientrati. E' stato un pessimo calcolo? Di sicuro, anche perché ora - a togliere ossigeno ai CD - ci sono i DVD: le scarse vendite di un'incisione come quella si spiegano anche col successo del DVD da Parigi.

Ho pensato anch'io alla concorrenza che il DVD parigino fa all'incisione DECCA. Buffo, vero? :lol: La Fleming che fa concorrenza... a sé stessa. O meglio, DECCA e TDK che si fanno concrrenza usando lo stesso cavallo. : Chessygrin :
Comunque, i costi di quella Rusalka non sono stati enormi, a pensarci bene. Pare che la Frau ohne Schatten DECCA Solti - Varady - Domingo - van Dam sia costata un milione di dollari!!! :shock:
Hai voglia te a vendere... prima di pareggiare! E anche in quel caso, c'è la concorrenza del DVD dello spettacolo di Friedrich.
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » gio 17 set 2009, 15:13

Maugham ha scritto:Non sono le "leggi" che fanno male, ma come le usi.


Be', caro Maugham.
Le leggi possono anche fare molto male di per sè.
La Storia è piena zeppa di leggi che hanno fatto male.
Questo in generale: non dico che faccia male questa in particolare, anzi mi fido di te.
Ma il fatto che tale riconoscimento sia stato eluso non dimostra forse la sua debolezza?.
Se sulla costituzione si fosse scritto "lo Stato tutela la libertà dell'arte, impedendo a se stesso di tutelare l'arte!" ( :) ovviamente sto scherzando...)
forse non ci sarebbe stato spazio per gli atteggiamenti gattopardeschi di cui parli.

Sarebbe istruttivo per i nostri manager quello che successe a Parma nel 1818.

ehehehe... simpatico.
Credo però che la bancarotta basti. Come ogni imprenditore vero sa bene, non c'è tragedia più grande.

I teatri che citi non erano assolutamente privati nel primo senso della parola.


Veramente io avevo citato anche i teatri della Repubblica di Venezia (che fu la vera culla dell'Opera e che non fu mai statalista in queste cose, benedetta!) :)
Inoltre avevo citato le compagnie itineranti che portavano le opere italiane nelle più gloriose città d'Europa, portandosi dietro i migliori divi canori dell'epoca.
Quanto ai teatri ottocenteschi che ho citato (il Feydeau e l'An der Wien, ma se ne potevano nominare tanti altri) è chiaro che nella loro lunga storia hanno avuto anche fasi di contributi pubblici o addirittura (come adesso) di gestione statale. Certo, nel momento in cui incarnavano una visione politica opposta a quello degli Stati (ad esempio liberale, massonica, democratica) di contributi non ne percepivano punti...


se Baricco avesse approfondito la storia dei sostegni pubblici e privati nella Storia del Teatro d'Opera il suo articolo su Repubblica -che tanto sdegno ha sollevato :D- sarebbe stato più, come dire, concreto.

Io direi solo più "documentato".
Però per me è assurdo cercare di immaginare una situazione giuridica ed economica oggi andando a vedere cosa succedeva in condizioni radicalmente diverse come quelle del passato. Il mercato seleziona ciò che funzionava vent'anni fa... Figuriamoci se può ispirarsi a secoli fa.
Inoltre secoli fa potevano anche "fare male".
E' per questo che avevo citato la pratica (che un tempo era legale in ogni stato) della tortura.
Non perché ritenessi che torturare la gente sia come fargli vedere una brutta opera (per quanto...) ;)
Ma perchè il fatto che in passato fosse legale e persino moralmente lecita, o addirittura utile al mantenimento dell'ordine, sono tutte cose che oggi non devono interessarci. Oggi non si deve fare e basta.

Però bisogna studiare il modo di sostituire questo contributo con qualcosa d'altro.

questo infatti è il problema!!!
Problema a cui, lo ammetto, non riesco a dare una risposta convincente.
Solo ipotesi da non-imprenditore che forse non reggerebbero a una prova dei fatti.
Ma non ho mai preteso tanto! Solo dimostrare che non ci si può accontentare della vecchia tiritera: che senza lo Stato non ci sarebbe Cultura.

Forse abbiamo anche un concetto diverso del termine "democrazia".

Dici? Non è la democrazia un confrontarsi dialettico di forze variamente rappresentative della società?
Ti pare una bizzarra declinazione che queste forze si relazionino con scontri o compromessi?
Ti pare strano che queste forze si spartiscano gli ambiti da amministrare, sulla base delle percentuali di cittadini che rappresentano?
Secondo me, tutti sappiamo benissimo in base a quali principi la politica assegna incarichi, distribuisce competenze o avalla progetti.
E non vedo come potrebbe fare diversamente.
Forse in uno stato assolutista poteva succedere che - non essendoci dibattito e scontro fra rappresentanze politiche - l'amministrazione fosse più libera di perseguire solo il "bene pubblico"... chissà.
Io però non farei a cambio.

Fortunatamente la politica ha sempre avuto la decenza di non definire estetiche le sue scelte altrimenti ci sarebbe davvero da ridere.

Da noi si preferisce la pioggia...


Da ridere c'è, hai ragione. Non di meno la politica non fa che giustificare, anche oggi, le proprie scelte "estetiche".

:) Una di queste volte ti racconterò della mia città (ma penso che siano problemi molto diffusi) dove i contributi "pubblici" non sono affatto a pioggia.
O per lo meno, sono piogge molto ben direzionate: in qualche giardino piove come ai Tropici, in altri non piove mai! :)
Se vi dicessi che caratteristiche "politiche" hanno quei giardini, forse non restereste sorpresi! :)
Eppure, nel diffondere soldi (o nel negarli), i nostri amministratori non dicono affatto che le loro scelte sono dovute a questioni "politiche". :)
ci mancherebbe!
Si affannano al contrario a giusticare in termini "estetici" e "culturali" le loro arbitrarie selezioni... magari con grammatica un po' stentata. :D

Siamo diventati una provincia -tra l'altro periferica- dell'impero. Siamo indietro sia per quanto riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie applicate allo spettacolo per non parlare delle nuove forme gestionali.
Non c'è stato nemmeno uno sviluppo del pubblico che continua ad essere uno dei più tradizionalisti d'Europa (vantandosi di essere competente) al punto di condizionare le scelte artistiche di un Teatro come La Scala.
E' ora di cambiare.


E alla fine di questo lungo dibattito, ci ritroviamo perfettamente d'accordo (cosa che in effetti, caro Maugham, ci capita sempre!) ;)
da qualunque parte lo si guardi, il problema c'è. Per citare Tucidide, è nel "come" risolverlo che sta la differenza.

Un salutissimo,
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Riccardo » ven 02 ott 2009, 22:02

Un salutone a tutti innanzitutto...torno dopo mesi di latitanza...

Naturalmente su questa questione sono sulla stessa lunghezza d'onda di Matteo.
Vorrei però sottoporvi il caso di teatri importanti ed iperattivi sul panorama internazionale, ma molto statalisti come l'Opera di Vienna o l'Opera di Stato Bavarese...lì oltre ad avere orchestra e coro stabili - oltre naturalmente a tutta la compagine di dipendenti - hanno anche un ensemble di cantanti quotidianamente convocati per ruoli di comprimariato o talvolta anche per parti protagonistiche.

Come mai, diversamente da quanto avviene in Italia, questi teatri più o meno funzionano?

salutoni!
riccardo
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » ven 02 ott 2009, 23:18

Riccardo ha scritto:Come mai, diversamente da quanto avviene in Italia, questi teatri più o meno funzionano?

Ben tornato, Riccardo!
Al volo, rispondo alla tua domanda con un'altra domanda: ma siamo davvero sicuri che funzionino? E come funzionano?
Forse funzioneranno finché non ci sarà qualcuno che deciderà di chidere i rubinetti... e allora i Matteo, Maugham, Beckmesser, Vittorio, Riccardo e Tucidide austriaci si troveranno su un forum austriaco a discutere... :D
Scherzi a parte, sarei davvero curioso di sapere come funzionano i teatri fuori dall'Italia... Purtroppo, le mie competenze sono molto limitate, per non dire nulle.
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » sab 03 ott 2009, 14:59

Ciao Ric! :)
E' sempre un piacere rileggerti, anche se con il contagocce! :) : Andry :

Riccardo ha scritto:Vorrei però sottoporvi il caso di teatri importanti ed iperattivi sul panorama internazionale, ma molto statalisti come l'Opera di Vienna o l'Opera di Stato Bavarese...lì oltre ad avere orchestra e coro stabili - oltre naturalmente a tutta la compagine di dipendenti - hanno anche un ensemble di cantanti quotidianamente convocati per ruoli di comprimariato o talvolta anche per parti protagonistiche.


Hai ragione.
Allora, facciamo il conto di quanti teatri di Stato (paragonabili alla Staatsoper) esistono in Austria.
Ossia, con l'orchestra stabile, la funzionalità continua, ecc...
Uno.
O quanti ne esistono in Inghilterra (paragonabili al Covent Garden)? uno

In Germania e in Francia o in Spagna ce ne sono di più... certo, ma proporzionalmente sono molti meno degli ex-enti lirici italiani.
Inoltre percepiscono molti meno soldi (è paradossale, ma l'Opera di Francoforte - che pure funziona tutto l'anno - è costretta a barcamenarsi con contributi ben più bassi di quelli di molti teatri italiani).
Che all'estero vi sia un teatro di Stato (o due) particolarmente forte e "sovvenzionato" è comprensibile (almeno per ora).
In Italia invece abbiamo un numero di "teatri di stato" (13 erano gli enti-lirici) sproporzionato alla fruizione e ai mezzi.
Poi bisognerebbe andare a vedere quanto effettivamente costano i teatri di Stato stranieri (in rapporto alla produttività) e quanto costano da noi.
Infine bisognerebbe controllare il numero dei dipendenti (é famosa la boutade - ma vera - che in un celebre teatro d'opera italiano vi sono quattro giardinieri regolarmente assunti; peccato che tale teatro non abbia il giardino).

E' ovvio che in qualsiasi parte del mondo si faccia per l'opera meglio che in Italia.
Ma non è questo il punto.
La questione iniziale non era se, stante l'attuale situazione di "statalismo" dell'opera, si possa fare meglio o peggio. Certo che si può fare meglio.
Era ciò che, con validissimi argomenti, sosteneva Maugham: ci sono amplissimi margini di miglioramento, volendo.
Il mio problema però era un altro: si può emancipare l'opera (soprattutto la "produzione") dal controllo di Stato?
Secondo me sì.
Però è ovvio che si tratta di un processo lungo, che prevedrà ancora una lunga fase di coabitazione fra i sistemi di stato e quelli impresariali (come giustamente dicevano sia Maugham, sia Beckmesser).
L'importante è iniziare... e (secondo me) tagliare è un buon inizio! :)

Tucidide ha scritto:Forse funzioneranno finché non ci sarà qualcuno che deciderà di chidere i rubinetti...

Invece da noi ha funzionato benissimo negli ultimi trent'anni, vero Tucidide? Trent'anni passati a rubinetti spalancati!
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, a parte le battutine...

Comunque, tanto per spiegarti come stanno le cose, vorrei uscire un attimo dal Bar Sport e fare un rapido salto a Parigi, per verificare proprio come anche all'estero i rubinetti vengono talvolta chiusi.
Dal dopoguerra agli anni '70, l'Opéra di Parigi si era ridotta a una vecchio e patetico cassone, fuori da tutti i circuiti internazionali, ridotto a un cadavere putrescente, un po' come i nostri enti lirici. I grandi artisti internazionali ci capitavano raramente e senza farne punti di arrivo di rilievo (il contrario di ciò che avviene oggi). E nonostante il suo clamoroso ritardo rispetto ai teatri di tutto il mondo, l'Opéra costava cifre folli e spaventose ai contribuenti francesi.
Infatti funzionava ancora come i vecchi teatri di Stato (oggi sopravvissuti solo nella periferia tedesca e russa) ossia con scritture a stagione.
Tutti (compresi i cantanti e i direttori e i registi) erano scritturati per l'intero anno.
Una popolazione intera gravitava intorno al carrozzone.
Poi un bel giorno, all'alba degli anni '70, è arrivato Libermann, il quale - finalmente - ha "chiuso i rubinetti".
Tutti a casa! Scenografi, costumisti, sarte, registi, cantanti, comprimari, direttori d'orchestra.... tutti a casa!
Da quel momento, come in ogni serio teatro d'Europa, si sarebbero scritturati gli artisti per ogni produzione. E al diavolo gli sciovinismi o le "protezioni" degli artisti francesi: tutti "free lance" in aperta competizione con gli artisti del resto del mondo.

Puoi immaginarti cosa è successo in Francia (a '68 ancora fresco). Manifestazioni, scioperi generali, urla di morte e rovina della stampa, artisti e operai dell'Opéra che marciavano per le vie di Parigi gridando "assassini della cultura", "l'arte non si pesa a disavanzi e bilanci in rosso"... e altri simpatici slogan che evidentemente non passano di moda (specie quando si vanno a toccare soldi e privilegi).
Bene! Da quella famosa e violente "chiusura di rubinetti" è risorta l'Opéra di Parigi.
Oggi la Ville Lumière è la capitale MONDIALE dell'Opera e oltre all'Opéra National, ci sono ben tre istituzioni (senza orchestra stabile, per inciso) che competono con programmazioni di livello stupefacente e si collocano ai vertici del pianeta: Chatelet, Champs-Elysees, Opéra Comique (e non stiamo considerando la Salle Pleyel e altre istituzioni non operistiche).

Salutoni,
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » sab 03 ott 2009, 16:47

MatMarazzi ha scritto:Invece da noi ha funzionato benissimo negli ultimi trent'anni, vero Tucidide? Trent'anni passati a rubinetti spalancati!
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, a parte le battutine...

Ma certo! Non lo metto in dubbio.
Però...

Bene! Da quella famosa e violente "chiusura di rubinetti" è risorta l'Opéra di Parigi.
Oggi la Ville Lumière è la capitale MONDIALE dell'Opera e oltre all'Opéra National, ci sono ben tre istituzioni (senza orchestra stabile, per inciso) che competono con programmazioni di livello stupefacente e si collocano ai vertici del pianeta: Chatelet, Champs-Elysees, Opéra Comique (e non stiamo considerando la Salle Pleyel e altre istituzioni non operistiche).

Benissimo! Tutto giusto!
Ma... chi li metteva i soldi? Libermann?

D'accordissimo sullo sfoltire gli organici, d'accordissimo sul taglio delle spese superflue, come i giardinieri fantasma. :D
Poi però... chi paga quel po' (mica tanto "po'", per altro) che resta?
Continuo a non riuscire ad immaginare, allo stato attuale delle cose, un teatro d'opera privato, che si sostenga senza i soldi dello Stato.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Maugham » gio 21 ott 2010, 11:41

Aggiungo sull'argomento due articoli interessanti.

Germania
http://delteatro.it/news/2010-10/finanziamenti-allo-spettacolo-cosi-si-fa-in-germania.php

Aufwiedersehen!
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Mae West: We're intellectual opposites.
Ivan: What do you mean?
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