MatMarazzi ha scritto:
Quanto all'articolo della costituzione che citi, è per me niente più che la prova di quanto la politica possa far male all'Opera.
Non sono d'accordo. Non sono le "leggi" che fanno male, ma come le usi.
Questo riconoscimento poteva significare una svolta epocale. E non perchè metteva al riparo i teatranti da eventuali "temporali".
Lo dimostra il taglione applicato al FUS (come dicono?) "senza se e senza ma" applicato nel 2009.
E nemmeno perchè trasformava una "facoltà di" in "obbligo di"-tanto pochi o molti un po' di soldi nello spettacolo sarebbe finiti- ma perchè, se utilizzato come si deve, sarebbe potuto essere il primo tassello per un riforma seria di tutto il comparto. Con tanto di detassazione, deleghe alle Regioni etc. Arrivando anchee, sottolineo, come ho già auspicato su questo pagine, con una cancellazione totale del FUS. Purtroppo nel settore dello Spettacolo gli statalisti e i detentori di privilegi sanno come essere efficacemente gattopardeschi.
Ovviamente ti ringrazio per lo splendido excursus storico che ci hai sottoposto.
Con esso ci dimostri che nei secoli passati vi sono stati moltissimi casi di interventi pubblici nei teatri d'opera.
Non era mia intezione fermarmi a questo. Volevo chiarire -seppure seguendo il protocollo di uno spazio conviviale e "leggero" come il nostro- che i Teatri d'Opera -a differenza del cinema e di parte del teatro di parola- non sono mai riusciti a sostentarsi in proprio. E che anche i cosiddetti teatri privati di primo ottocento chiudevano quasi sempre con disavanzi maggiori o minori a seconda di chi li gestiva. Che venivano di volta in volta ripianati. In molti casi (almeno in quei teatri dove si è fatta la storia dell'Opera) con denaro della collettività.
Questo non significa assolutamente che non si possa arrivare a una privatizzazione totale e soprattutto "vera" di questa forma d'arte.
Ci mancherebbe!
Rimanendo in tema "light" è sorprendente notare le consegenze che gravavano sull'impresario responsabile del "buco".
Sarebbe istruttivo per i nostri manager quello che successe a Parma nel 1818.
L'impresario (non ricordo il nome) fece collassare la stagione. Maria Luisa lo fece rinchiudere in fortezza, incaricò una commissione governativa di proseguire la stagione (adesso diremmo che commissariò il teatro), però ordinò che il tapino si facesse carico di tutti i costi aggiuntivi.
In seguito, passata la buriana, si raddolcì e concesse allo sfortunato manager una parte della sovvenzione pubblica che la città di Parma investiva per finanziare la stagione di Carnevale consentendogli di lasciare la galera dopo il ripiano dei debiti.
Il mitico teatro Feydeau di Parigi (dove agiva Cherubini) era privato.
Il teatro viennese di Schikanaeder (dove nacque il Flauto Magico di Mozart) era privato.
Penso che ci si debba intendere sui termini.
Un conto è dire "privato" nel senso di "autonomo". Ovvero un teatro d'Opera che vive di solo sbigliettamento.
Un conto è dire "privato" nel senso di affrancato da un'Amministrazione Pubblica.
I teatri che citi non erano assolutamente privati nel primo senso della parola.
Da quanto ho letto l'An der Wien venne fondato nel 1787 dal principe Starhemberg e dal capocomico Rossbach e godeva del privilegio imperiale (cioè finanziamenti). Quando lo prese Schikanaeder -pochi anni dopo la sua fondazione- faceva quasi solo esclusivamente farse allestite però con grande sfarzo. Il costi gli sfuggirono di mano, questo costrinse l'impresario ad accettare i finanziamenti di due politici dell'epoca come Baurenfeld e Zitterbach. Il secondo pretese addirittura in cambio la direzione diciamo così organizzativa del teatro affidando, a malincuore, quella artistica a Schikaneder. E questo è solo l'inizio di una stagione gestionale tormentatissima in cui, per ripianare i debiti, intervennero anche gli Esterhazy.
Il Feyedau venne, se non sabglio, fondato addirittura dal fratello del Re. Ma ne so poco.
Certo, erano privati, nel senso che non erano teatri di Stato.
Adesso, come allora, con il solo sbigliettamento, secondo me chiudi.
Un'esempio tipico è la discografica che, a quanto ne so, non ha mai avuto sostegni pubblici.
Lo dice Culshaw e lo ribadisce Andry. Le grandi e costose produzioni classiche venivano sostenute anche dagli introiti del pop.
La Decca aveva i Rolling Stones, la Emi i Beatles e la Rca Preasley.
La Philips aveva...la Philips elctronics.
Altrimenti non avremmo nulla da ascoltare
Detto questo, però, ti chiedo: in che modo può esserci utile rivangare la storia e gli antichi metodi di produzione?
Secondo me è utile. Ovviamente senza lasciarsi condizionare troppo dal passato.
In questo sono d'accordo con te.
Se avessimo continuato a dire "tanto c'è la forza di gravità" non avremmo mai volato.
Però se Baricco avesse approfondito la storia dei sostegni pubblici e privati nella Storia del Teatro d'Opera il suo articolo su Repubblica -che tanto sdegno ha sollevato - sarebbe stato più, come dire, concreto.
E' nelle condizioni attuali che dobbiamo chiederci se l'Opera potrebbe o no sopravvivere senza supporto statale.
Io penso di sì, spero di sì.
Certo che sì. Anch'io lo spero. Però bisogna studiare il modo di sostituire questo contributo con qualcosa d'altro.
Ciò che scrivi è ragionevolissimo, ma per un cultore d'opera, non per uno Stato.
Pretendere che lo Stato (o la Provincia o il Comune) eroghi "senza criteri feudali o interessi da bottega" è utopico.
La politica vive proprio di questo. La dialettica civile vive di questo.
Vive di equilibri di potere, di delicati bilanciamenti, strappi e aggiustamenti, compromessi e scontri frontali ...
si chiama democrazia e mi va bene, purché non metta becco in settori che non la riguardano (come quello del rapporto fra l'artista e il suo fruitore).
Forse abbiamo anche un concetto diverso del termine "democrazia". Quello di cui parlavo, almeno per me, è proprio l'opposto della democrazia o una sua bizzarra declinazione.
Comunque, magari sbaglio, trovo più utopico pensare che la politica faccia la politica, però smetta di farlo nei settori che, ciascuno di noi, ritiene non le competano.
Lo Stato, a differenza del pubblico, della società, non ha criteri estetici: le sue selezioni le deve operare secondo i "suoi" criteri... che tu puoi definire "da bottega"; io preferisco dire "politici".
Quando io parlavo di cosa scegliere mi riferivo a qualcosa di più concreto dell'estetica.
Fortunatamente la politica ha sempre avuto la decenza di non definire estetiche le sue scelte altrimenti ci sarebbe davvero da ridere.
Mi riferivo a criteri selettivi su base gestionale che altri paesi (questo lo so) applicano. da anni.
Da noi si preferisce la pioggia...
Ma questa per me - e ci tengo a dirlo - deve solo essere una fase: il punto di arrivo è un altro.
Su questo....non ci piove.
Questo sistema di sostegno pubblico all'Opera ha portato a risultati eccellenti?
La risposta, sotto gli occhi di tutti, è no.
Siamo diventati una provincia -tra l'altro periferica- dell'impero. Siamo indietro sia per quanto riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie applicate allo spettacolo per non parlare delle nuove forme gestionali.
Non c'è stato nemmeno uno sviluppo del pubblico che continua ad essere uno dei più tradizionalisti d'Europa (vantandosi di essere competente) al punto di condizionare le scelte artistiche di un Teatro come La Scala.
E' ora di cambiare.
Anche perchè la chiusura è dietro l'angolo.
Come sempre Mat, grazie per gli spunti "alti" di questo nostro salotto.
WSM