I tagli del FUS

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » ven 11 set 2009, 19:15

Carissimi,
Ero incerto se lanciare o no questo argomento.

Quello che mi preoccupava erano i collegamenti (inevitabili) con l'attualità e la politica che, per regolamento, avevamo deciso di bandire dal nostro salotto.
Però (ci ho pensato a lungo) è anche vero che la gestione della Musica è una questione che riguarda direttamente noi appassionati, anche se - colpevolmente - abbiamo permesso per decenni che ci passasse sopra la testa, gestita tra politici e artisti come se noi non c'entrassimo nulla.
E' una questione di cui il nostro forum ha il dovere di parlare.
Così - dopo aver ascoltato l'opinione di Bagnoli e Maugham - vi sottopongo la questione, contando sul fatto che le opinioni che ne usciranno (che immagino saranno molto discordanti) non prescindano assolutamente mai dal rispetto che è dovuto - almeno qui - alle idee e ai valori di ciascuno di noi.

NOn passa giorno senza che non debba sentire (da parte di artisti e operatori dell'Opera) lamenti e contumelie sui tagli operati al Fondo Unico dello Spettacolo del presente governo, o che qualche giornalista o opinionista non tratteggi scenari apocalittici sulla stato della cultura in Italia (col solito invariabile ritornello "non toccate i nostri soldi, non toccate i nostri privilegi).
Di solito taccio e tengo per me quel che penso.
Riesco a tacere anche quando a sottoscrivere queste geremiadi sono direttori d'orchestra (dai forti ed ostentati legami politici) che pure percepiscono emolumenti scandalosi, da veri nababbi (e non solo per sè ma anche per i figli).
Finora sono riuscito a tacere (ma non so per quanto resisterò) anche quando mi è toccato di vedere a teatro striscioni eroico-lamentosi, appesi ai palchi dai dipendenti o dagli orchestrali, o subire - prima dell'inizio della rappresentazione - pistolotti sindacali indegnamente imposti a chi come me avrebbe tutto il diritto di non sentirli e di gustarsi lo spettacolo per cui ha pagato.
Solo una volta sono sbottato (eravamo al Comunale di Bologna) affermando a media voce che gli orchestrali dovrebbero pensare a suonare bene e non a imbrattare un palazzo pubblico che non è di loro proprietà; allora un distinto signore vicino a me mi ha risposto che invece "fanno bene! Il teatro è loro, di chi ci lavora".
Be... mi spiace per quel signore tanto distinto, ma non la penso così!
Così come non penso che casa mia sia dei muratori che l'hanno costruita.
E' mia perché l'ho pagata.
Così come il teatro è mio (più che dei dipendenti) perchè pago due volte per esso: come cittadino e come persona del pubblico pagante.

Bene. Ora ho deciso di non tacere più.
E vi confesso in tutta sincerità che anche io considero sbagliati i tagli del FUS, ma per la ragione che dovevano essere molto più radicali.

Ok, ok... Amemtto che la cosa non è stata fatta "cum grano salis": si sarebbe dovuto lavorare per un cambiamento progressivo e non semplicemente tagliare (che è fin troppo facile).
E non di meno ciò che io auspico, ciò in cui intravedo la salvezza dell'Opera in Italia, è la definitiva uscita dallo Stato dal mondo dell'Opera (e non solo).
E infatti secondo me l'inconfutabile crisi in cui i teatri annaspano e lo spaventoso ritardo rispetto al resto del mondo non sono dovute ai tagli di oggi, ma ai passati ottant'anni di gestione pubblica.

Per come la vedo io, l'unico che ha il diritto di dire "sì" o "no" a un prodotto artistico è il pubblico che ne fruisce, nelle sue varie e complesse componenti.
Ma perde questo diritto, ovviamente, nel momento in cui smette di "pagare".
Dal momento in cui la Politca "paga" per l'Opera è lei che ha la prima e l'ultima parola. Ed è appunto questo che avviene.
I teatri sono "controllati" dalla politica, ne sono un'emanazione (e questo vale per i piccoli e i grandi, per i vecchi enti e le nuove fondazioni): niente di più normale che la politica li usi per i propri scopi. Paga e quindi ne ha diritto.
Ecco perchè i teatri d'opera sono divenuti "rifugio" di politici e raccomandati, riserva per oceaniche clientele alla ricerca del posto fisso, persino (sia pure in modo più soft che in passato) veicolo di consenso gestito da intellettuali allineati (da una parte o dall'altra).

Non sto facendo generalizzazioni da Bar Sport; non sto parlando di buoni e di cattivi. Sto parlando di un sistema, non di singoli.
Io stesso - lo dico sempre - se fossi assessore alla cultura di una città sarei costretto a mettere da parte la mia passione per l'opera, per dedicarmi a ciò che un assessore deve fare e fa: politica.
La politica è necessaria, fondamentale, insostituibile alla dialettica civile.
MA NON C'ENTRA NULLA CON L'ARTE. E non deve entrarci! (anzi, come dicono certi simpatici blogghisti in rotta con la lingua italiana "non deve c'entrare") :D

Quindi non convincono le tesi per cui "qualcuno" buono c'è (tra i dirigenti teatrali, tra gli assessori, tra gli operatori) e quel che conta è l'onestà di ognuno di noi, non si deve fare di tutta un'erba un fascio, ecc...
No, cari miei. E' il sistema in discussione: il sistema del controllo statale del mondo dell'Opera. I singoli non contano.
E' un sistema che non può premiare le capacità, l'iniziativa, la preparazione, l''amore per l''opera, la voglia di realizzarla bene, la ricerca del consenso del pubblico (come farebbe un sistema di concorrenza e di rapporto col pubblico) perché deve operare le sue selezioni su altri criteri.
Puntando sui "suoi" criteri, la politica ha favorito l'incapacità fra i dirigenti e la disorganizzazione delle strutture (nonostante quantità di "amministrativi" che nessun teatro al mondo terrebbe), l'assoluta mancanza di ricambio nella casta, l'impossibilità del pubblico di far valere le proprie ragioni.
E non voglio nemmeno parlare della "selezione contenutistica" che la Politca inevitabilmente opera tra i prodotti artistici.
Non ne voglio parlare, eppure anche questo problema c'è!
E' perfettamente normale ad essere premiati siano i prodotti "graditi" o utili a chi paga per essi. Se fossimo politici lo faremmo anche noi!

La contestazione che di solito mi sento rivolgere è che, senza il contributo pubblico, l'Opera non si sosterrebbe.
E che il mercato sostiene solo cose volgari e demagogiche... che la raffinatezza e la cultura devono essere tutelate.
A smentire questa teoria basterebbe guardare la programmazione italiana: sarebbe questo il frutto della "tutela"?
Lo sbando estetico in cui annaspiamo? L'essere usciti da tutti i circuiti che contano?
Ma tuttavia, se anche così fosse, se davvero l'Opera fosse ormai un genere per pochi derelitti, incapace di sostenersi da sè senza l'aiuto dello Stato, allora pazienza! Vorrebbe dire - e lo dico da fanatico operomane - che è ora di chiuderla lì.
Non si tengono in vita i cadaveri. Vuol dire che la civiltà di oggi troverà altre espressioni di sè.

Ma non è così!

L'Opera (che oggi è una delle più seguite e vivaci fra le forme della cultura "alta") si sosterrebbe benissimo - anzi molto meglio - se a gestire la produzione non fossero la politica, con i suoi dirigenti fasulli e i suoi dipendenti pubblici - esorbitanti rispetto alle effettive necessità.

Talvolta mi sento dire è che nella Musica in Italia il "privato" esiste. Ma è talmente scalcinato che "W il sostegno pubblico".
Niente da dire: è vero.
In quel minuscolo settore di mercato che sono le "briciole" (festivalini, associazioni concertistiche, e tutto il resto della ratatouille musicale italiana) possiamo trovare anche imprese private.
Ma ancora una volta tutto è legato al pubblico, che organizza gli eventi, gestisce gli spazi e soprattutto eroga (secondo suoi insindacabili e ...prevedibili criteri) sovvenzioni a sostegno di alcuni e non di altri.

Tanti anni fa, da giovane, ho collaborato per un po' con lo staff di un'orchestra privata.
Quell'esperienza mi ha aperto gli occhi sul fatto che, finché c'è la politica di mezzo (ossia finché si sovvenzionano direttamente o indirettamente iniziative culturali) non c'è speranza di progresso.
Libero mercato? Ma fatemi il piacere! :)
Un teatro chiedeva un'orchestra per un evento. Vinceva chi si proponeva con un costo più basso.
Ok. Noi facevamo i calcoli al limite, compivamo salti mortali per travestire compensi da rimborsi, oscuravamo le prove, tiravamo la cinghia a livelli da fame....
Poi saltava fuori l'orchestra di un'altra città che si offriva per fare lo stesso concerto con mille euro.
Già... quell'orchestra era infatti già completamente sovvenzionata dal suo comune: anche soli mille euro in più erano per loro grasso che cola.
Noi non ci avremmo pagato nemmeno il trasporto degli strumenti.
Che competizione poteva esserci?
Che mercato c'è se qualcuno gode delle sovvenzioni della politca e altri no?
Come si può giocare a Monopoli, se uno dei concorrenti può a suo libero piacimento mettere le mani sulle riserve della banca e gli altri giocatori (anche se infinitamente più bravi) no?

E visto che parliamo di Orchestre, vorrei dire qualcosa a proposito di quelle stabili nei teatri d'opera, causa fra le più gravi del disavanzo dei nostri teatri (e non di meno sempre in prima fila a lamentarsi, far sciopero, attaccare striscioni, leggere pistolotti).
Io sogno da anni che tutte le orchestre impiegate nell'opera siano private, scritturate di volta in volta, produzione per produzione (come avviene in tanti teatri e festival importantissimi; come avviene anche in Italia per cantanti, direttori, registi), e sottoposte alle logiche del mercato.
Pare un'idea eversiva, quasi delirante, velleitaria e irrealizzabile.
Eppure, se così fosse, i teatri spenderebbero mille volte di meno, le esecuzioni sarebbero mille volte migliori e (soprattutto!!!) ci sarebbero più posti di lavoro per i giovani musicisti.
Ecco: questo è un bell'argomento che i detrattori dei "tagli del FUS" stranamente non considerano.

Sono migliaia i musicisti italiani (giovani e meno giovani) alla deriva, che dopo aver studiato una vita al conservatorio, essersi perfezionati, aver fatto la fame, ecc... si ritrovano senza sbocchi, costretti a tirare a campare con lezioncine private a cinquant'anni, perché le attività operistiche (ossia il maggior utilizzo della loro professione in Italia) sono blindate dalle orchestre e cori stabili, intoccabili e feroci nel difendere i loro privilegi.
Fra l'altro le orchestre private permetterebbero anche "specializzazioni" che oggi - pure - sono richieste ai cantanti.
Ci sono i wagneriani e i rossiniani, ci sono i barocchi e veristi, con nulla in comune fra loro.
E invece le nostre intoccabili, costosissime, pachidermiche (e spesso scalcinate) orchestre liriche vengono imposte sia in Wagner e Rossini, il Barocco e il Verismo, perché nessun altra orchestra può esibirsi in un teatro.

Mi fermo qui anche se so benissimo di non aver nemmeno sfiorato la complessità dell'argomento.
Ho solo buttato idee alla rinfusa.
Anche per questo attendo con impazienza le vostre opinioni; nell'attesa però voglio ribadire che per me sono state le sovvenzioni pubbliche e la gestione politica a uccidere l'Opera in Italia. Ciò che auspico è che artisti, operatori e professionisti dell'Opera tornino a scontrarsi e confrontarsi su una piattaforma di "libero mercato".
E la prossima volta che mi dovrò sciroppare un pistolotto sindacale a teatro contro i tagli del FUS, comincerò a inveire. :)

Salutoni,
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » ven 11 set 2009, 21:02

Caro Matteo, hai toccato un tasto molto delicato, ma confido anch'io che la discussione che ne originerà non trascenda in rissa.
Devo dire che, in linea di massima, sono d'accordo con te su diverse tue considerazioni.
MatMarazzi ha scritto:Per come la vedo io, l'unico che ha il diritto di dire "sì" o "no" a un prodotto artistico è il pubblico che ne fruisce, nelle sue varie e complesse componenti.

Parole sante! Sarebbe il caso di cominciare a considerare l'arte come una prestazione che deve essere giudicata dal PUBBLICO. Sì, proprio, quello, il pubblico, il pubblico becero, ignorante, incompetente... i... come si chiamano? ah, sì: i plauditores... Quelli che si bevono tutto quello che gli propinano le malvagie e rie agenzie di pubblicità, evidentemente dotate di poteri sovrannaturali per riuscire a convincere migliaia di persone che uno scarpone è un grande cantante.
Giustamente, però, tu sei conscio di questa possibile obiezione:

E che il mercato sostiene solo cose volgari e demagogiche... che la raffinatezza e la cultura devono essere tutelate.

Eh già! Siamo alle solite!
Il pubblico è un'accozzaglia di ignorantoni, del tutti ignari della storia dell'opera e della vocalità, che corrono il rischio (atroce!) di scambiare un gramo dilettante per un grande tenore, ergo...
Io credo, e sono molto serio nel dire ciò, che finché in Italia si continuerà a credere che la massa sia incolta, che non ci sia più cultura, che la pubblicità abbia il potere di creare falsi miti, che viviamo nella civiltà dell'immagine, che conta apparire e non essere, e altre corbellerie simili, non se ne possa uscire.

- Parentesi, a questo riguardo.
Come sapete, qualche giorno fa è morto Mike Bongiorno. Personaggio controverso, la sua dipartita ha comunque suscitato cordoglio nel mondo dello spettacolo e della politica.
Fra i tanti, Paolo Villaggio si è voluto distinguere, dicendo di non condividere il cordoglio. Liberissimo, ci mancherebbe: oltretutto, pare che ci fossero ruggini personali. Ma vediamo le argomentazioni di questo fine intellettuale. :roll:
Egli dice:
Un monumento e anche una certa mediocrità perché Mike, bisogna riconoscerlo, ha avuto la fortuna di essere mediocre, parlava un linguaggio comprensibile per i 47 milioni di italiani di quegli anni lontani ormai, che erano al 20 per cento quasi analfabeti e lui con un suo linguaggio più che da maestrina elementare quasi da bidello era riuscito a farsi capire ed ad arrivare dove non era arrivato nessuno.

E fin qui, nulla da obiettare. Condivido. Poi arriva quello che io chiamo il "baco dell'intellettuale":
Beh lui è stato responsabile forse di un abbassamento generale della cultura italiana degli ultimi quarant’anni. La televisione purtroppo ha sostituito la scuola, ha sostituito la famiglia, l’oratorio. E la scuola ha fatto cultura, ma ha fatto la cultura televisiva, una cultura molto bassa e adesso ne paghiamo le conseguenze.

Dunque, dunque, ricapitoliamo: All'inizio della sua parabola televisiva, Mike Bongiorno parlava ad un pubblico con il 20 % di analfabeti. Non ho verificato la cifra, ma in mancanza di altri riscontri, mi fido.
Poi, Villaggio dice che c'è stato un "abbassamento generale della cultura italiana". : Blink : Scusatemi, mi sono perso qualcosa? Vivo in un paese con più del 20 % di analfabeti?
Eh sì perché, se si dice che c'è stato un abbassamento della cultura, e si parte dal 20 % di analfabetismo, io ne deduco LOGICAMENTE che adesso siamo al 25, 30, magari pure 35 % di analfabetismo. La matematica non è un'opinione, no?
E' ovvio che si tratti di una "cagata pazzesca", per citare proprio il sublime Secondo tragico Fantozzi dello stesso Villaggio.
Il bello è che tutti, quando sentono dire un intellettuale "eh, cosa vuoi, non c'è più cultura", assentono gravemente, senza provare un po' a riflettere sui DATI, sui NUMERI, che dicono l'esatto opposto.
- Scusate, fine dell'excursus :oops: - purtroppo, quando sento o leggo certe affermazioni mi viene un travaso di bile.

La contestazione che di solito mi sento rivolgere è che, senza il contributo pubblico, l'Opera non si sosterrebbe.
...
Ma tuttavia, se anche così fosse, se davvero l'Opera fosse ormai un genere per pochi derelitti, incapace di sostenersi da sè senza l'aiuto dello Stato, allora pazienza! Vorrebbe dire - e lo dico da fanatico operomane - che è ora di chiuderla lì.
Non si tengono in vita i cadaveri. Vuol dire che la civiltà di oggi troverà altre espressioni di sè.

Ecco, su questo comincio ad avere qualche perplessità.
Io non so come si gestiscano i teatri all'estero. Ma dubito che non ci siano i fondi pubblici anche lì.
Il Met è famoso perché è sovvezionato da privati che poi scaricano i loro finanziamenti dalle tasse. Ma, che io sappia, senza il National Endowment for the Arts non si sosterrebbe.
Del resto, è difficile pensare ad una forma di spettacolo dal vivo più costosa dell'opera. Cantanti, coro, orchestra, direttore, scene, costumi, regista, scenografo, costumista, addetto luci, figuranti, magari pure il corpo di ballo. E sono pagati tutti, com'è ovvio e giusto che sia.
Quindi, è senza dubbio vero che i cadaveri non vanno tenuti in vita.
Solamente, dubito della possibilità di avere un teatro d'opera che si sostenga da solo. Credo, per altro, che sia un problema che affligge tutte le forme di spettacolo dal vivo.

L'Opera (che oggi è una delle più seguite e vivaci fra le forme della cultura "alta") si sosterrebbe benissimo - anzi molto meglio - se a gestire la produzione non fossero la politica, con i suoi dirigenti fasulli e i suoi dipendenti pubblici - esorbitanti rispetto alle effettive necessità.

Beh, oddio, :D forse sei un po' troppo ottimista, a questo riguardo.
A parte che non mi piace molto la dicitura "cultura alta" (anche se "alta" è fra virgolette :) ), ritengo comunque che l'opera sia e resti, almeno in Italia, una forma di nicchia.
Probabilmente ci manca la leggerezza necessaria per considerarla appunto NON cultura alta, ma fun, entertainment.
Se ci arrivassimo, allora si potrebbe cominciare a parlarne.

Per ora mi fermo qui, ma confido nell'ampliamento della discussione per ritornare sul tema.

Buona serata! :)
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » ven 11 set 2009, 23:12

Caro Tuc,
sulla prima parte del post e il riferimento a Villaggio, siamo totalmente in sintonia.
Sulla seconda parte credo sia solo questione di aggiustamenti.
I sostenitori della sovvenzione pubblica sono organizzatissimi! :)
Hanno in ballo interessi forti... e quindi hanno elaborato per decenni teorie che, a forza di ripeterle, sono entrate nell'immaginario comune.

Ora io vorrei semplicemente che ci ragionassimo sopra.
Poi magari salterà fuori che queste teorie sono giuste...
Ma magari riflettiamoci sopra ugualmente.

Per esempio.

Del resto, è difficile pensare ad una forma di spettacolo dal vivo più costosa dell'opera..


Ecco... questa degli incredibili costi dell'Opera è una delle tante affermazioni che vorrei fossero verificate.
Ok, l'Opera costa (dipende poi anche da come la si fa)...
Ma costa così tanto anche perché la si vuole far costare tanto, con una gestione irrazionale e la scriteriatà quantità di dipendenti (tu forse non sai che la Scala ha il doppio dei dipendenti del Metropolitan di New York, benché quest'ultimo faccia opere tutto l'anno, tutti i giorni, più volte al giorno).

Se vai a vedere i bilanci dei teatri italiani, ti rendi subito conto che il capitolo "pazzesco" dei loro bilanci non sono le "produzioni".
No! Sono la gestione e i dipendenti.
Le produzioni rappresentano meno di un quinto di ciò che un grande teatro d'opera italiano viene a costare ai contribuenti.

Come ho già scritto, è idiota che i teatri abbiano orchestre, cori e corpi di ballo stabili (oltre alle maestranza, sarte e truccatrici comprese).
vuol dire voler finire in rosso per forza.
Pagare lo stipendio e i contributi per tutto l'anno a un'orchestra è semplicemente folle (ovviamente a tutta l'orchestra, non solo a quegli orchestrali che ti servono per una determinata produzione) e quel che è peggio è insensato.
Se un mese non c'è programmazione, l'orchestra la paghi lo stesso.
Se un mese c'è Tristano e il mese dopo il Giro di Vite (con strumentale da camera), tu - teatro - paghi la stessa cifra.

E se invece tu scritturassi i Chicago Simphony per il Tristano, poi il mese dopo l'Ensemble Intercontemporaine per Britten?
Spenderesti di più o di meno? Ovviamente molto di meno, considerato anche le trasferte!
Avresti due delle più grandi orchestre del mondo, ognuna nel "suo" repertorio: risultati artistici da capogiro.
....E spenderesti di meno!

Ho detto una cosa fantascientifica? Irrealizzabile?
Non direi: è così che si comportano lo Chatelet, il Teatro dei Champs Elysees e l'Opera-Comique di Parigi, il NDSO di Amsterdam e altri grandissimi teatri, senza l'orchestra stabile.
Scritturano le orchestre produzione per produzione.
E' così che si faceva a Ferrara Musica (quando c'erano le produzioni di Abbado): si chiamava la MCO e la si pagava solo per le recite che faceva, studiando attentamente i contratti in modo da spendere il meno possibile per il massimo rendimento.
Ed è così che fanno tutti i grandi festival: da Salisburgo (Pasqua e Estate), a Glyndebourne, a Aix...

Ti ricordo inoltre che questa prassi (quella della gestione impresariale dell'Opera) ha contraddistinto il teatro d'opera per secoli.
E' vero che c'erano i teatri di corte, o addirittura di stato (l'Academie parigina, ad esempio), ma c'erano nel contempo un'infinità di teatri e imprese che vivevano solo di sbigliettamento: e talvolta erano loro a fare la storia.
Lo so anche io che oggi non è più come nell'Ottocento: la produzione e l'enterteinment non sono paragonabili.
Ma anche nell'Ottocento le cose non stavano più come nel Settecento e così via...
E' chiaro che cambia la società, cambiano i sistemi di produzione, cambia tutto... Il compito dell'imprenditore è quello di trovare le vie per dialogare in tutti i tempi con l'attualità, cosa che lo Stato non sa, non vuole e non può fare.
E se non ci riesce (l'imprenditore) sarà una lezione per lui e per i suoi colleghi, mentre se lo Stato sbaglia... allora si dirà che l'Opera va tutelata, va protetta e che da sola non si sosterrebbe.

Vuoi degli esempi?
Uno te l'ho già dato: privatizzare le masse artistiche.
Se invece di un politico tu mettessi un imprenditore a capo di un teatro italiano... e se invece dei soldi pubblici egli rischiasse "i propri" (come ogni vero imprenditore fa), la prima cosa che eliminerebbe sarebbero proprio le orchestre, i cori e i corpi di ballo e le maestranze dai dipendenti fissi.
E ricorrerebbe all'occorrenza a organismi privati.

Già questo sarebbe un primo passo per ridurre gli incredibili i costi dell'opera...
E migliorerebbe:
1) la qualità artistica, in quanto le compagini sarebbero "scelte" e non imposte
2) la professionalità dei musicisti: in un regime di mercato ci sarebbero dieci volte più possibilità di lavoro
3) la soddisfazione del pubblico

Tu dici che l'Opera è il genere di spettacolo più costoso.
Falso: il cinema costa infinitamente di più.
Però nel mondo del cinema si è capito fin dall'inizio che l'EDIFICIO (ossia il cinema stesso) non poteva essere che un contenitore.
La produzione avviene altrove. I cinema, cioè i contenitori, si limitano a noleggiare un film invece che un altro.

Ma nell'opera no: ogni teatro deve produrre i suoi spettacoli, pagare i propri attori, ecc...
E' ridicolo: sarebbe come se ogni cinema, orgogliosamente, si volesse produrre i suoi film da sè (e lo farebbero pure se lo Stato li sovvenzionasse).
Che il teatro oggi non possa più essere un produttore, ma un contenitore lo hanno capito tutti.
Lo hanno capito nella prosa: se uno "produce" gli altri cento "comprano".
Lo hanno capito nel "musical": le produzioni vengono riallestite migliaia di volte in tutto il mondo prima di rientrare nelle spese di produzione.
Tutti lo hanno capito, tranne i carrozzoni operistici.
Sì, è vero: qualche volta si fanno le loro brave "coproduzioncine", con due o tre partner al massimo.
E si sentono molto bravi...Per forza vanno in rosso! Non perché l'opera sia un genere costoso, ma perché si vuole a tutti i costi buttare i soldi a mare.
Mentre uno spettacolo d'opera (come il famose Don Giovanni di Brook a Aix) dovrebbe circolare un anno intero, o addirittura due, per decine di teatri diversi.

Tutti questi argomenti, che noi stiamo semplicemente buttando lì, verrebbero immediatamente considerati, vagliati, sperimentati... se solo lo Stato smettesse di erogare a fondo perduto.
Ci sarebbero produttori e impresari che si butterebbero nella mischia e studierebbero ipotesi per rendere produttivo un genere che è capace (come per l'Aida di quest'anno a Bregenz) di raccogliere super-esauriti di settemila persone per ognuna delle 25 recite programmate (e con prezzi da 100 euro di media).
Il fatto è che nessuno ci pensa, nessuno ci si mette: tanto c'è lo stato che paga.
E se anche qualcuno volesse, qualche coraggioso impresario, come potrebbe mettersi in concorrenza con lo Stato?

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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » sab 12 set 2009, 0:29

Tucidide ha scritto:A parte che non mi piace molto la dicitura "cultura alta" (anche se "alta" è fra virgolette :) ), ritengo comunque che l'opera sia e resti, almeno in Italia, una forma di nicchia.
Probabilmente ci manca la leggerezza necessaria per considerarla appunto NON cultura alta, ma fun, entertainment.
Se ci arrivassimo, allora si potrebbe cominciare a parlarne.
:)


Rispondo a parte a questa considerazione, perchè non direttamente inerente il topic.

L'opera, Tuc, è oggi davvero "cultura alta".
Riconoscerlo e dichiararlo non è una forma di snobismo, ma obiettività.
E' stata costretta a diventarlo. Come forma di "cultura popolare" non sopravviverebbe nemmeno un attimo, schiacciata da forme di spettacolo come la musica Pop o il cinema o la Tv.
Per sopravvivere ha dovuto alzare il tiro, selezionare il pubblico, proporsi come qualcosa di estremamente complesso in senso intellettuale, elevare gli strumenti tecnici ed espressivi: definire l'opera oggi "fun" è estremamente (ed erroneamente) riduttivo.
Oggi all'opera si ritrovano le massime intellettualità della nostra epoca; il rigore con cui vengono effettuate edizioni critiche, analisi di linguaggio, filologia di esecuzione, per non parlare degli spaccati filosofici riservati all'ambito registico, sono tutti aspetti che non si ritrovano nel "musical" e tanto meno nelle sit-com televisive.

Prova a immaginare l'Opera OGGI come un albergo, che tanti anni fa era popolarissimo e a buon mercato, ma col tempo si è ritrovato schiacciato dalle grandi catene internazionali, efficienti e a prezzi bassissimi.
Poteva o fallire, o... alzare le stelle, migliorare i servizi e specializzarsi su una clientela selezionatissima, che pretende di più ovviamente, molto di più del turista normale.
Se ci spostiamo dal livello economico a quello intellettuale, abbiamo pari pari il caso dell'Opera oggi: non potendo reggere la concorrenza di altre forme di spettacolo - specializzate nella fruizione di massa - ha dovuto elvare strumenti espressivi e target di pubblico, immettendo nel proprio linguaggio un tasso di intellettualità che forse è oggi il più alto fra le varie forme di spettacolo.
Tutto qui.

E' parimenti sbagliato ironizzare sul pubblico dell'opera in termini numerici (e magari trovarlo insignificante in rapporto alle grandi masse dell'intrattenimento generalista). Le grandi masse infatti non interessano per niente all'albergo a cinque stelle: anzi, la sua sopravvivenza deriva proprio dal fatto di offrire alla sua clientela ciò che il turista generalista (come me) non cercherebbe mai in un albergo, perché troppo "alto".

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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » sab 12 set 2009, 9:57

Caro Mat, riguardo al tuo primo messaggio, mi tiro garbatamente indietro perché fra le mie molte lacune culturali ho anche quella economica e gestionale.
Vorrei solo specificare questo punto:
MatMarazzi ha scritto:Tu dici che l'Opera è il genere di spettacolo più costoso.
Falso: il cinema costa infinitamente di più.

Veramente io ho parlato di spettacolo dal vivo. E' logico che tutto lo spettacolo non fruibile dal vivo sia più costoso, ma è anche molto più "spendibile". Un film lo puoi proiettare infinite volte, incassando sempre i soldi dei biglietti, senza spendere un euro. Se invece vuoi fare una recita di un'opera in più, devi pagare a tutti gli artisti coinvolti il compenso. C'è un bel fischio di differenza! :D
Io paragonerei l'opera alla prosa, al cabaret, alla danza, alla musica sinfonica, cameristica e solistica. E fra queste forme, non so quali si possano avvicinare all'opera per i costi.

Seconda questione:
MatMarazzi ha scritto:L'opera, Tuc, è oggi davvero "cultura alta".
Riconoscerlo e dichiararlo non è una forma di snobismo, ma obiettività.
E' stata costretta a diventarlo. Come forma di "cultura popolare" non sopravviverebbe nemmeno un attimo, schiacciata da forme di spettacolo come la musica Pop o il cinema o la Tv.
Per sopravvivere ha dovuto alzare il tiro, selezionare il pubblico, proporsi come qualcosa di estremamente complesso in senso intellettuale, elevare gli strumenti tecnici ed espressivi: definire l'opera oggi "fun" è estremamente (ed erroneamente) riduttivo.
Oggi all'opera si ritrovano le massime intellettualità della nostra epoca; il rigore con cui vengono effettuate edizioni critiche, analisi di linguaggio, filologia di esecuzione, per non parlare degli spaccati filosofici riservati all'ambito registico, sono tutti aspetti che non si ritrovano nel "musical" e tanto meno nelle sit-com televisive.
...
non potendo reggere la concorrenza di altre forme di spettacolo - specializzate nella fruizione di massa - ha dovuto elvare strumenti espressivi e target di pubblico, immettendo nel proprio linguaggio un tasso di intellettualità che forse è oggi il più alto fra le varie forme di spettacolo.
Tutto qui.

Mmmh... : Blink :
Sarà, Mat...
Però io ho la sensazione che questa "intellettualità" dell'opera sia più un fatto italico. Non ho la tua esperienza di frequentazioni di teatri esteri, ma leggo blog e recensioni straniere, così come conosco diverse persone che vivono o hanno vissuto all'estero, e questa è l'idea che mi sono fatto.
Un mio amico ha vissuto a Berlino per sei mesi. Durante il suo soggiorno c'è stata la Traviata con la Netrebko, non so se alla Deutsche Oper o alla Staatsoper unter den Linden. Mi ha raccontato di folle deliranti alla ricerca di un biglietto (da mesi introvabile, di qualunque categoria), al punto che l'amministrazione municipale ha deciso di installare un maxischermo in una piazzetta attigua per consentire agli esclusi di vedere almeno indirettamente lo spettacolo. A onor del vero va detto che anche per il concerto inaugurale del ROF dello scorso anno si è sperimentata questa soluzione.
Ad ogni modo, quello è fun, :D decisamente. Hai voglia a dire che l'opera è intellettuale. Sì, lo potrà essere nelle intenzioni dei direttori, nelle scelte registiche, ma poi la gente la vive come un divertimento.
Io credo che non sia l'intellettualizzazione la soluzione adottata al giorno d'oggi nelle realtà dove l'opera non è in crisi. Mi pare piuttosto che si stia percorrendo la strada opposta.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » sab 12 set 2009, 11:50

Tucidide ha scritto:Caro Mat, riguardo al tuo primo messaggio, mi tiro garbatamente indietro perché fra le mie molte lacune culturali ho anche quella economica e gestionale.


Ma Tuc,
non si deve essere esperti in economia: nemmeno io lo sono.
Si sta solo discutendo su un'ipotesi: se uno Stato sovvenziona l'arte (e l'Opera nella fattispecie) le fa davvero del bene?
Poiché tutti (anche i meno esperti di economia e gestione) si scandalizzano quando i fondi vengono tagliati, io semplicemente mi chiedo se invece proprio i fondi pubblici non siano (da sempre) uno strumento per imbrigliare la cultura, tenerla sotto controllo e addirittura provocarne lo scadimento.

Veramente io ho parlato di spettacolo dal vivo. E' logico che tutto lo spettacolo non fruibile dal vivo sia più costoso, ma è anche molto più "spendibile". Un film lo puoi proiettare infinite volte, incassando sempre i soldi dei biglietti, senza spendere un euro. Se invece vuoi fare una recita di un'opera in più, devi pagare a tutti gli artisti coinvolti il compenso. C'è un bel fischio di differenza! :D
Io paragonerei l'opera alla prosa, al cabaret, alla danza, alla musica sinfonica, cameristica e solistica. E fra queste forme, non so quali si possano avvicinare all'opera per i costi.


Va bene... allora chiediamoci se è più costosa un'opera o una partica da calcio di serie A (spettacolo dal vivo)?
:)
Ma mi interessa di più il confronto col cinema.
Il fatto è che il cinema presenta due distinte entità: un produttore (che fa il film) e migliaia di contenitori (le sale che lo noleggiano per proiettarlo).
Come sarebbe messo il cinema, se produttore e contenitori fosser una cosa sola? Ossia se ogni singola sala cimenatografica si producesse i suoi film?
Male! E tutti direbbero che è una forma di spettacolo in crisi, che non si sostiene da solo, che è costosissimo...

La stessa netta distinzione fra "produzione" e "contenitori" vale per il "musical" di Broadway: c'è un produttore (che fa il musical) e migliaia di teatri nel mondo che lo acquistano. In questo caso stiamo parlando di spettacolo dal vivo, eppure il sistema di produzione e circolazione è lo stesso del cinema.

Tu dici: nello spettacolo dal vivo, ti tocca pagare gli artisti e le maestranza ogni sera, diversamente dal cinema (non è poi del tutto vero, perchè anche al cinema tu paghi gli attori e i registi ogni singola sera, attraverso le royalties).

Ok, allora immagina di essere un produttore "operistico" privato, di quelli che oggi non esistono.
Ovviamente i tuoi contratti li faresti non per cinque o dieci recite (come i teatri di oggi), ma per centiania di recite in tutto il mondo.
Perché un'opera costi poco e sia produttiva (per te), devi replicarla almeno 200 volte nei teatri di tutto il mondo.
In questo modo il suo costo "a recita" risulterà ridotto in modo impressionante.

Ad esempio, tu produttore privato puoi andare dal cantante e proporgli non dieci recite di una produzione (con annesso un mese di apprendimento della parte, prove musicali e sceniche e tutto il resto, che il cantante deve sobbarcarsi di tasca sua), bensì 160 recite in due anni di uno stesso spettacolo (quindi dovendo provare una sola volta). Credi che il suo costo a recita sarà lo stesso?
Ok, può darsi che una Netrebko non ne abbia bisogno: ma la Netrebko è una. A lei basta qualche apparizione nei principali teatri del mondo.
Ma la Netrebko di 10 anni fa avrebbe accettato una proposta del genere facendo i salti di gioia.
Se col sistema attuale paghi un cantante 100 euro a recita (per 10 recite), lo potrai pagare tranquillamente 20 a recita, se di recite gliene offri 150.
Lui guadagnerà molto di più e ogni singola recita costerà un quinto di quello che viene oggi a costare ai teatri.
Naturalmente, se questo vale per i cantanti, vale ancora di più per orchestrali, coristi, maestranze, tecnici e tutto il resto del personale coinvolto.
Così al singolo teatrino a cui offri - chiavi in mano - uno spettacolo bello che fatto non chiederai quello che OGGI costa una recita, ma una spesa inferiore di almeno quattro quinti: inoltre lo spettacolo che gli offrirai non sarà il misero prodotto che oggi può presentare un teatro di provincia, ma una produzione importante, con artisti celebri, e rodata in tantissimi altri teatri. E considerato che a quel punto le spese fisse del teatrino non comprenderanno tutto il personale che oggi è richiesto (perché il teatrino non sarà altro che un contenitore) è facile pensare che lo sbigliettamento potrà quasi coprirne il costo.

Certo, per fare questo ci vuole un'impresa di produzione straordinaria: che sappia lavorare su un raggio internazionale, che abbia rapporti con i teatri di mezzo mondo, con un settore distribuzione e un personale tecnico-amministrativo straordinario.
Esattamente quel che già fanno (da un secolo) i produttori cinematografici. Esattamente quel che fanno i produttori di Musical.

Ribadisco: sto sparando ipotesi in libertà. Magari le vie sono altre... magari questa non reggerebbe.
Però vedi, come ho già scritto, finché qualcuno non ci pensa, le strade non si troveranno.
E nessuno ci penserà mai finché ci sarà l'inquinamento delle sovvenzioni pubbliche.

Però io ho la sensazione che questa "intellettualità" dell'opera sia più un fatto italico.


Al contrario, Tuc...
In Italia ancora siamo fermi all'acuto del tenore... Noi per intellettuali intendiamo gente come Ronconi e Pizzi! Pensa un po'...
E' nel resto del mondo che si vede. Ma non importa viaggiare per saperlo.
Basta guardare i video d'opera. Basta ascoltare i cd. Basta leggere le riviste.
I tagli registici così carichi di simboli e implicazioni filosofiche sono un fatto, come ho già detto, che non ritroverai in nessuna altra forma di spettacolo dal vivo. Gli scrupoli filologici (lingue originali, edizioni critiche) sono cose che anche solo nella prosa farebbero ridere, mentre all'opera sono argomenti serissimi.
In nessuna altra forma di spettacolo troverai le folle che si stipano in un teatro per ascoltare nel massimo silenzio cinque ore in tedesco di Wagner. E oggi, non è un caso, si riempiono i teatri molto più facilmente con Wagner che con l'Elisir d'amore.
E' vero che ci sono anche i fenomeni di Anna Netrebko, Villazon, Kaufmann che attraggono spettatori da tutto il mondo e producono inevitabilmente gli esauritissimi. Ma mi sembra un po' poco per affermare che OGGI il genere opera si esprima allo stesso modo di una sit-com o della musica pop.
Quelle sono "fun"; l'opera (ripeto: OGGI) ha altre responsabilità.
Persino al Met, tempio storico dell'intrattenimento, si è arrivati a proporre gli spettacoli di Guth e di Mc Vicar, a mettere in cartellone Handel e Philip Glass.
Con questo non sto dicendo che l'Opera è intrinsecamente migliore di altre forme di spettacolo più "popolari" (ci può essere un'opera orrenda e un cartoon geniale, come South Park) :)
Sto facendo solo un discorso di target di pubblico e strumenti espressivi.

Salutoni,
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » sab 12 set 2009, 13:04

MatMarazzi ha scritto:Va bene... allora chiediamoci se è più costosa un'opera o una partica da calcio di serie A (spettacolo dal vivo)?

Eh eh...
E quanti soldi girano nel mondo del calcio? Diritti TV, sponsor, diritti d'immagine...
E limitandoci alla fruizione dal vivo, contiene più persone la Scala o lo stadio Meazza? :)
Ma proprio pensando a questo, io auspico una "popolarizzazione" dell'opera. Come mai le dirette dal Met in HD sono trasmesse nei cinema americani e alcuni europei, ma NON in Italia? Da noi va già grassa se trasmettono la prima della Scala. :(

Ma mi interessa di più il confronto col cinema.
Il fatto è che il cinema presenta due distinte entità: un produttore (che fa il film) e migliaia di contenitori (le sale che lo noleggiano per proiettarlo).
Come sarebbe messo il cinema, se produttore e contenitori fosser una cosa sola? Ossia se ogni singola sala cimenatografica si producesse i suoi film?
Male! E tutti direbbero che è una forma di spettacolo in crisi, che non si sostiene da solo, che è costosissimo...

La stessa netta distinzione fra "produzione" e "contenitori" vale per il "musical" di Broadway: c'è un produttore (che fa il musical) e migliaia di teatri nel mondo che lo acquistano. In questo caso stiamo parlando di spettacolo dal vivo, eppure il sistema di produzione e circolazione è lo stesso del cinema.

Sul cinema bisogna porre dei distinguo. Non tutto il cinema è autofinanziato. Ci sono registi di nicchia, che girano film che non va a vedere nessuno tranne i "competenti", e che qualcuno decide pertento essere film "di qualità", insomma "cultura", e così vengono finanziati coi soldi dello Stato.
Su Broadway, confesso una totale ignoranza.
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » sab 12 set 2009, 14:15

Tucidide ha scritto:
Eh eh...
E quanti soldi girano nel mondo del calcio? Diritti TV, sponsor, diritti d'immagine...
E limitandoci alla fruizione dal vivo, contiene più persone la Scala o lo stadio Meazza? :)


Scusa Tuc... la tua asserzione era che l'opera fosse il genere di spettacolo "più costoso" fra quelli dal vivo.
Era quest'affermazione che ho contestato citando la serie A del calcio.
Poi è ovvio che il calcio ha altri strumenti (e li ha saputi sfruttare meglio).
Gli stadi sono stati costruiti di quelle dimensioni perché qualcuno è riuscito a convincere milioni di persone ad appassionarsi a questo sport invece che ad altri.
Non sono nati prima i milioni di tifosi, poi il calcio.
E' nato prima il calcio, poi gli impresari che ci si sono messi per guadagnarci, infine i milioni di tifosi.

Ma proprio pensando a questo, io auspico una "popolarizzazione" dell'opera. Come mai le dirette dal Met in HD sono trasmesse nei cinema americani e alcuni europei, ma NON in Italia? Da noi va già grassa se trasmettono la prima della Scala. :(


Perché da noi ci sono i politici, non gli impresari ad occuparsene.
Che interesse avrebbero i politici a trasmettere gli spettacoli in diretta dal Met?
Non significherebbe posti di lavoro per i loro "clientes", nè auto-celebrazione per le nostre brave amministrazioni.
Le uniche dirette operistiche che vengono trasmesse in Italia sono quelle dei teatri locali, che così percepiscono qualche soldino in diritti.

Sul cinema bisogna porre dei distinguo. Non tutto il cinema è autofinanziato. Ci sono registi di nicchia, che girano film che non va a vedere nessuno tranne i "competenti", e che qualcuno decide pertento essere film "di qualità", insomma "cultura", e così vengono finanziati coi soldi dello Stato. .


Tutto questo avviene in Italia e in molti paesi europei.
Ma per esempio non avviene in America: lì il cinema "alto" (nel senso suddetto: ossia elitario per target e strumenti espressivi) è comunque affidato ai privati, i famosi produttori "indipendenti". E se questo si fa, vuol dire che comunque esiste una parte di pubblico cinematografico che apprezza quei prodotti e li difende pagando il biglietto.
Da noi invece ci sono commissioni (di politici o intellettuali scelti da politici) che distribuiscono sovvenzioni pubbliche con criteri altamente discutibili.
Anche in questo caso, facciamo un po' di conti: questo cinema "tutelato" italiano trae reale giovamento dalla tutela di stato? Migliora la sua qualità? Riesce per questo a interloquire col pubblico? Direi di no.
Sono prodotti che continuano a non essere visti, a non avere circuito, a non interessare se non quelli che li fanno. Molti di loro non escono nemmeno nelle sale d'essai e non sono riversati in dvd.
L'unica cosa certa è che questi prodotti "culturali" finiscono molto spesso per esprimere posizioni etiche e ideali assai vicine a quelle di chi li ha sovvenzionati.
Ecco perché la parola "indipendente" (così giusta nel caso dello sperimentalismo americano) mi suona male pensando alla cinematografia d'élite italiana ed europea.
Ancora una volta la "protezione" pubblica come la concepiamo in Europa non mi pare dia alcun vero contributo, anzi....

Salutoni,
Mat

PS: ma davvero a nessun altro (tranne a me e Tuc) interessa questo discorso? Ero convinto che vi sarebbero stati tanti più contributi...
Lo interpreto come un fatto positivo (dal mio punto di vista). Vuol dire che la "tragedia" dei tagli del FUS non è affatto considerata tale dagli appassionati di musica e di Opera in Italia. Ne sono contento...
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » sab 12 set 2009, 16:35

MatMarazzi ha scritto:Gli stadi sono stati costruiti di quelle dimensioni perché qualcuno è riuscito a convincere milioni di persone ad appassionarsi a questo sport invece che ad altri.
Non sono nati prima i milioni di tifosi, poi il calcio.
E' nato prima il calcio, poi gli impresari che ci si sono messi per guadagnarci, infine i milioni di tifosi.

Dici benissimo, ma così convergi con le mie posizioni. :)
Bisognerebbe dunque assimilare l'opera al calcio, ergo popolarizzarla, renderla fruibile a tanti che la considerano una forma musicale polverosa e pertanto non se ne curano.
Altrimenti si rischia davvero che diventi una forma di arte "alta", appunto paragonabile all'albergo a * * * * *, con conseguenti esborsi astronomici per assistervi, e pubblico scremato in base al censo e all'estrazione sociale.

Ma per esempio non avviene in America: lì il cinema "alto" (nel senso suddetto: ossia elitario per target e strumenti espressivi) è comunque affidato ai privati, i famosi produttori "indipendenti". E se questo si fa, vuol dire che comunque esiste una parte di pubblico cinematografico che apprezza quei prodotti e li difende pagando il biglietto.

Sì, certo, esiste un pubblico di nicchia, ma appunto senza i mecenati di cui parli (i produttori indipendenti) una forma artistica del genere non si sosterrebbe.
Pensa alla ricerca, universitaria e non, in campo umanistico - ma non solo. Produce articoli su riviste che non escono dal circuito degli atenei e delle fondazioni culturali, oppure, quando va bene, libri che solo in una minoranza risicata di casi si rivolgono al pubblico non specialista.

PS: ma davvero a nessun altro (tranne a me e Tuc) interessa questo discorso? Ero convinto che vi sarebbero stati tanti più contributi...

Sì, è vero! Aspetto anch'io qualche altra voce. :)
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » sab 12 set 2009, 17:14

Tucidide ha scritto:Dici benissimo, ma così convergi con le mie posizioni. :)

No Tuc... dirò malissimo ma non dico affatto quel che stai dicendo tu. :P

Per come la vedo io, infatti, se ci dovesse saltare in mente l'idea strampalata di riconvertire l'opera in una forma di intrattenimento "popolare" e di massa (come Pippo Baudo nelle sue baracconate televisive) allora sì che sarebbe la fine.
L'opera poteva permettersi il lusso di essere popolare quando non c'era la concorrenza di TV, musica pop, cinema e altro... Ora sarebbe un suicidio.
Io stesso, quando voglio rilassarmi, non metto su l'Angelo di Fuoco di Prokof'ev o la Rodelinda! :D
Vado su Sky a cercare qualche bella scematina comica! :)

Per fortuna i teatri di tutto il mondo sono allineati nell'evitare il rischio che tu (ma non io) auspichi.
E fanno bene, per me! Lo vedo anche nel piccolissimo del mio club di operomani!
Io stesso se propongo una gita all'Arena di Verona mi ritrovo col pullman vuoto; se suggerisco la Zelmira a Pesaro le cose vanno già meglio. Quando poi ho proposto l'Elektra di Carsen e Ozawa a Firenze, hanno aderito settanta persone e un pullman da solo non bastava.

Altrimenti si rischia davvero che diventi una forma di arte "alta", appunto paragonabile all'albergo a * * * * *, con conseguenti esborsi astronomici per assistervi, e pubblico scremato in base al censo e all'estrazione sociale.


Uff... Tuc, Tuc...
E dire che avevo ben ben specificato che nel mio esempio, l'albergo a cinque stelle si distingueva dall'Opera di oggi perchè nel primo caso la selezione era "economica" mentre nel secondo caso era "intellettuale".
La ragione del mio esempio era legata al fatto che ...in entrambi i casi di selezione si trattava!
A unire le due cose era solo l'esigenza di non buttarsi su un'utenza di massa, bensì di circoscrivere il proprio "target" e questo non per snobismo, ma per sopravvivenza.

Ahimé, specificarlo non è bastato!
L'equazione che tu metti avanti ("intellettuale" = "per pochi ricchi") è secondo me talmente forzata e demagogica che (scusa la franchezza) non me l'aspettavo da un acuto osservatore come te.
Se il teatro d'opera puntasse a conquistare i ricchi, caro Tuc, non metterebbe in campo letture registiche complesse, lingue originali, edizioni integrali tavolta lunghissime...
Queste sono cose che, al contrario, spaventano...
Eppure questo sono le cose che attraggono quel tipco di pubblico che non va all'opera per il "fun".
Poi che sia ricco o no, sono fatti suoi.

Ora, se sei d'accordo, tornerei al topic: è giusto o no che gli stati sovvenzionino lo spettacolo, spettacolo che tu pure vorresti fosse giudicato solo dal pubblico?
Quanto può valere il giudizio del pubblico, se la mano che nutre i teatri non è la sua, bensì quella dello stato? Non cogli una piccola contraddizione in ciò che scrivi? :)


Sì, certo, esiste un pubblico di nicchia (ndr: per il cinema "indipendente" americano), ma appunto senza i mecenati di cui parli (i produttori indipendenti) una forma artistica del genere non si sosterrebbe.


Ma no, Tuc. Anche questa è un'equazione infondata: "produttori indipendenti" = "mecenati".
Il produttore indipendente non affatto è un mecenate, ossia un riccone di buon cuore che investe a fondo perduto nell'Arte... Ma scherziamo! :)
è un imprenditore vero e proprio, CHE CI GUADAGNA, altrimenti si dedicherebbe a qualcos' altro.
Per sopravvivere alla concorrenze dei mastodonti del Cinema, è costretto a rivolgersi a un altro pubblico, un pubblico meno numeroso ma insoddisfatto dei prodotti del cinema "a grande budget".
Ed è a quel pubblico che egli "vende" i proprio prodotti, guadagnandoci! (mentre ci perderebbe se si mettesse a fare film di massa).

Anche nell'opera, non è di mecenati che abbiamo bisogno, ma di veri impresari della cultura!
E' per questo che anche le tesi di Baricco non mi convincono affatto!

Pensa alla ricerca, universitaria e non, in campo umanistico - ma non solo. Produce articoli su riviste che non escono dal circuito degli atenei e delle fondazioni culturali, oppure, quando va bene, libri che solo in una minoranza risicata di casi si rivolgono al pubblico non specialista.


Guarda... non entro nel merito della "ricerca di Stato" (anche se è vero che ci sono collegamenti con ciò di cui stiamo parlando) perché è decisamente off topic e francamente non è questione che riguardi un forum di appassionati d'opera.
Quando ne parleremo a tu per tu, ti dirò cosa penso dell'università italiana... E a quali rimedi ricorrerei io!!!! :evil: : Andry : : Andry :

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Re: I tagli del FUS

Messaggioda VGobbi » sab 12 set 2009, 23:32

Francamente, non ci avevo mai pensato per un taglio drastico dei fondi al FUS, per far si che davvero gli impresari si sveglino e si diano da fare. In effetti, a pensarci bene, finche' c'e' lo Stato che si occupa dell'arte, a chi gli conviene sbattersi?

Altro discorso interessantissimo e' quello delle orchestre. Ovverossia assumere gli orchestrali privatamente, a seconda delle opere che si eseguono. Anche in questo caso (e si vede che l'informazione fa passare solo quel che gli fa comodo), non sapevo assolutamente che nei maggiori teatri stranieri, non esistono dipendenti stabili.

Pero', vorrei dire una cosa, senza passare per buonista neh. Proviamoci noi a metterci nei panni degli orchestrali che si vedono "tagliato" il loro stipendio od addirittura il posto di lavoro ... Insomma, non e' cosi' facile, sopra tutto ora ed in un periodo di forte crisi economica (anche se molta gente ci "mangia" sopra!!!), poter trattare serenamente un argomento cosi' complesso come la vera riforma sugli "spettacoli dal vivo", in particolare l'opera.
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » dom 13 set 2009, 20:00

VGobbi ha scritto:Francamente, non ci avevo mai pensato per un taglio drastico dei fondi al FUS, per far si che davvero gli impresari si sveglino e si diano da fare. In effetti, a pensarci bene, finche' c'e' lo Stato che si occupa dell'arte, a chi gli conviene sbattersi?


Caro Vit,
era proprio quel che cercavo di dire...

Altro discorso interessantissimo e' quello delle orchestre. Ovverossia assumere gli orchestrali privatamente, a seconda delle opere che si eseguono. Anche in questo caso (e si vede che l'informazione fa passare solo quel che gli fa comodo), non sapevo assolutamente che nei maggiori teatri stranieri, non esistono dipendenti stabili.


Mi fa piacere che lo condividi... per me è semplicemente la scoperta dell'acqua calda.
Devo però rettificare: in molti teatri stranieri ci sono le orchestre e i cori stabili, ma in genere si tratta di teatri di "stato": ce li hanno il Covent Garden, l'Opéra di Parigi, la Staatsoper di Vienna, ecc...
Io puntavo il dito su quelli che invece hanno deciso di farne a meno (lo Chatelet di Parigi e il Nederlandse Opera di Amsterdam) come esempio per il futuro...
Se i nostri teatri fossero ricchie e stabili come il Covent Garden, allora pazienza! Si tengano pure i loro orchestrali-dipendenti.
Ma poiché sono alla frutta, meglio prendere a modello formule più agili e moderne.
Che il Comunale di Bologna o il Massimo di Palermo abbiano l'orchestra stabile come il Covent Garden a me fa solo ridere...


Pero', vorrei dire una cosa, senza passare per buonista neh. Proviamoci noi a metterci nei panni degli orchestrali che si vedono "tagliato" il loro stipendio od addirittura il posto di lavoro ... Insomma, non e' cosi' facile, sopra tutto ora ed in un periodo di forte crisi economica (anche se molta gente ci "mangia" sopra!!!), poter trattare serenamente un argomento cosi' complesso come la vera riforma sugli "spettacoli dal vivo", in particolare l'opera.
[/quote]

Eh be'... Vit.
Come non darti ragione! E' dura per tutti... è vero.
Ma è dura anche per i giovani musiciti disoccupati, che non trovano lavoro proprio perchè le nostre orchestre sono blindate da assurdi privilegi...

Occorrerebbe semplicemente che lo stato (invece di erogare a fondo perduto) stesse vicino - con consulenze e aiuti diretti - a queste orchestre nella trasformazione in organismi privati, sostenendoli e supportandoli per alcuni anni.
Era lo stesso che - secondo me - non è stato fatto sulla questione del FUS.
Invece che limitarsi a tagliare, sarebbe stato meglio programmare una fase di conversione di un quattro-cinque anni, durante la quale dare il tempo ai soggetti di riconvertirsi, fino a sostenersi da soli.

Nonostante l'umana comprensione per i poveri orchestrali dei teatri d'opera (che peraltro finora hanno goduto di tanti privilegi), lo Stato non può opporsi alle evoluzioni dei tempi e alle esigenze della società, fosse pure per ragioni umanitarie.
Sarebbe come se, quando sono nate le automobili, lo stato si fosse arrabattato per salvaguardare (con la forza) il posto di lavoro a quelli che ferrano i cavalli!

Io almeno la penso così,
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda Tucidide » dom 13 set 2009, 20:43

MatMarazzi ha scritto:Per come la vedo io, infatti, se ci dovesse saltare in mente l'idea strampalata di riconvertire l'opera in una forma di intrattenimento "popolare" e di massa (come Pippo Baudo nelle sue baracconate televisive) allora sì che sarebbe la fine.
L'opera poteva permettersi il lusso di essere popolare quando non c'era la concorrenza di TV, musica pop, cinema e altro... Ora sarebbe un suicidio.
Io stesso, quando voglio rilassarmi, non metto su l'Angelo di Fuoco di Prokof'ev o la Rodelinda! :D
Vado su Sky a cercare qualche bella scematina comica! :)

Per fortuna i teatri di tutto il mondo sono allineati nell'evitare il rischio che tu (ma non io) auspichi.

Pippo Baudo non l'ho citato io, ma tu. :)
Ti lascio tutta la responsabilità di dire che simbolo ed alfiere dell'opera "popolare" sia Pippo Baudo (magari con l'ex consorte). :D
Io mi riferivo alla possibilità di riaffermare il genere musicale dell'opera anche in schiere di non appassionati della prim'ora.
Ti dirò di più: a mio avviso, la moderna tendenza nel mondo dell'opera (potremmo dire la new wave), che tanto è incresciosa a passatisti di varia natura, ha in sé le potenzialità per attirare anche coloro che non hanno l'anima del melomane "vecchia maniera".
E non parlo solo di un pubblico intellettuale, che a teatro è in grado di comprendere le regie più ermetiche o complesse, stracolme di circonvoluzioni semantiche, o di capire influenze e sostrati musicali di un artista, bensì anche di chiunque viva nel mondo d'adesso.
In fondo, è proprio questo il rimprovero mosso da alcuni allo stato attuale delle cose nel mondo dell'opera: il fatto di non rappresentare il passato, conservando antiche prassi in modo immutabile, ma di reinterpretare una forma d'arte vecchia in chiave nuova, senza curarsi di non rispettarne le forme originarie.

E dire che avevo ben ben specificato che nel mio esempio, l'albergo a cinque stelle si distingueva dall'Opera di oggi perchè nel primo caso la selezione era "economica" mentre nel secondo caso era "intellettuale".
La ragione del mio esempio era legata al fatto che ...in entrambi i casi di selezione si trattava!
A unire le due cose era solo l'esigenza di non buttarsi su un'utenza di massa, bensì di circoscrivere il proprio "target" e questo non per snobismo, ma per sopravvivenza.

Ma no, Mat, avevo capito benissimo. :)
Solamente, credo che specificare una cosa sulla carta non significa scongiurarla nella realtà. :)
La mia obiezione partiva semplicemente dalla legge della domanda e dell'offerta.
Una bottiglia d'acqua costa poco al supermercato, moltissimo nel deserto. Dunque, se l'opera è un genere "per pochi", il rischio che salga di prezzo c'è.

Tu comunque dici:

Il produttore indipendente non affatto è un mecenate, ossia un riccone di buon cuore che investe a fondo perduto nell'Arte... Ma scherziamo! :)
è un imprenditore vero e proprio, CHE CI GUADAGNA, altrimenti si dedicherebbe a qualcos' altro.
Per sopravvivere alla concorrenze dei mastodonti del Cinema, è costretto a rivolgersi a un altro pubblico, un pubblico meno numeroso ma insoddisfatto dei prodotti del cinema "a grande budget".
Ed è a quel pubblico che egli "vende" i proprio prodotti, guadagnandoci! (mentre ci perderebbe se si mettesse a fare film di massa).

Come ti dicevo, non conosco bene (anzi, proprio per niente) il caso del cinema.
Ma proviamo comunque a tirare le somme.
Tu risparmieresti sulle orchestre e sui cori, assunti solo all'occorrenza e non stabili, e sui compensi agli artisti, proponendo contratti per moltissime repliche in giro per il mondo.
Allora io ti dico: se la cosa funzionasse, sarei il primo a darti sostegno.
Ma dimmi una cosa sola: tu pensi che i soldi risparmiati in questo modo potrebbero consentire ai teatri di vivere con gli introiti dei biglietti (non aumentati di prezzo), degli abbonamenti, degli sponsor privati e delle convenzioni con alberghi e strutture turistiche, senza un euro di finanziamento pubblico?
E' questo il solo punto su cui non sono convinto.
La questione della popolarizzazione, dell'intellettualizzazione sarebbe secondaria. Venga pure chi vuole, se alla fine i teatri non vanno in rosso! :D

Saluti
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda MatMarazzi » lun 14 set 2009, 14:53

Tucidide ha scritto:Pippo Baudo non l'ho citato io, ma tu. :)
Ti lascio tutta la responsabilità di dire che simbolo ed alfiere dell'opera "popolare" sia Pippo Baudo (magari con l'ex consorte). :D


Certo, Tuc, che l'ho citato! :)
Perchè è così che andrebbe finire l'Opera se decidessimo di toglierla agli alti livelli in cui si è assestata e trasformata in intrattenimento per "grandi masse".
Riemergerebbero i tenori strappacore, le primedonne vestite e truccate da "pazze" (perché, si sa, le dive dell'opera sono sempre un po' vecchio stile), i Gigli che vanno a cantare "Papaveri e Papere" a San Remo...
Come altrimenti vedi una "popolarizzazione" dell'Opera oggi?

Io mi riferivo alla possibilità di riaffermare il genere musicale dell'opera anche in schiere di non appassionati della prim'ora.


Certo! Ma come, se posso chiedertelo?
Con la bellezza delle voci? La melodiosità delle melodie immortali? La suggestiva modernità delle regie di Guth? Le scenografie tecnologiche? I virtuosismi di Florez?
Pensi davvero che una di queste cose abbia la pur vaga possibilità di competere con Beyoncé o Tom Cruise? :)
No.. Tuc, non ce l'ha!
Nessuna di queste cose può, oggi, proporsi come forma di intrattenimento di massa.

Mettiamoci il cuore in pace: l'epoca in cui i nostri bisnonni andavano in bicicletta all'arena di verona e in cui i muratori, lavorando, cantavano l'Andrea Chenier è finita per sempre. Possiamo dispiacercene (io un po' me ne dispiaccio).
Ma se vogliamo che l'opera viva dobbiamo essere felici delle sue evoluzioni.
Oggi è diventata un genere "alto" e questa è la sua sola possiblità di salvezza...

Ti dirò di più: a mio avviso, la moderna tendenza nel mondo dell'opera (potremmo dire la new wave), che tanto è incresciosa a passatisti di varia natura, ha in sé le potenzialità per attirare anche coloro che non hanno l'anima del melomane "vecchia maniera".
E non parlo solo di un pubblico intellettuale, che a teatro è in grado di comprendere le regie più ermetiche o complesse, stracolme di circonvoluzioni semantiche, o di capire influenze e sostrati musicali di un artista, bensì anche di chiunque viva nel mondo d'adesso.
In fondo, è proprio questo il rimprovero mosso da alcuni allo stato attuale delle cose nel mondo dell'opera: il fatto di non rappresentare il passato, conservando antiche prassi in modo immutabile, ma di reinterpretare una forma d'arte vecchia in chiave nuova, senza curarsi di non rispettarne le forme originarie.


Allora, Tuc... :)
La confidenza a cui mi autorizza l'ormai nostra lunga frequentazione... mi fa pensare che tu abbia la tendenza a mescolare concetti diversi.
:oops:
Da quel che mi pare di capire, vorresti attribuire all'innalzamento del linguaggio "operistico" in senso intellettuale... la responsabilità di tenere lontani i "nuovi appassionati" e addirittura adombri un'alleanza di questa logica con i "passatisti di varia natura".
Così facendo, secondo me, attui un rovesciamento completo della questione.

Quelli che tu chiami "melomani vecchia maniera" (i passatisti) sono i primi a non tollerare la svolta "alta" della Lirica.
Guarda caso, sono proprio loro che odiano i registi, odiano i filologi, vorrebbero abolire la prassi della lingua originale, sono fieri di snobbare il repertorio "difficile" (e non solo perché è oltre la loro portata), odiano l'aspetto drammaturgico dell'opera (che secondo loro è solo "canto" e il canto è solo "atletismo"), provano brividi di orrore all'idea che ci si possa relazionare contenutisticamente con l'attualità, ce l'hanno con Wagner - tanto da sognare di puccinizzarlo - e sono disposti a innalzare sugli altari qualsiasi cantante di cinquant'anni fa (fosse pure una mezza tacca) semplicemente perché lontano dall'orrore che l'opera oggi (ma soprattutto il pubblico di oggi) rappresenta per loro.
In quanto sopravvissuti di un vecchio modo di intendere l'opera (ora vecchio, ma vitale ai loro anni), si sentono esclusi, tagliati fuori, giudicati con sufficienza, e reagiscono con ferocia: idrofobici difensori della loro giovinezza, farebbero di tutto per tenere lontano dall'opera il "nuovo" pubblico.

Contrariamente a quanto tu affermi (e a quanto vorrebbero i nostalgici) proprio la recente specializzazione operistica come cultura "alta" (in atto da molti decenni, ma generalizzata solo dagli anni '90) e il conseguente aggiornamento del linguaggio ha favorito l'ingresso a teatro di un'enormità di nuovi appassionati.
Gente che fino a vent'anni fa snobbava l'opera (la considerava un genere finito, pieno di tenori con capelli cotonati e camicia bianca aperta sul petto villoso intenti a singhiozzare la Tosca...) oggi riempie i teatri e guarda con rispetto al genere che amiamo.
Trent'anni fa i teatri d'opera erano vuoti. Oggi sono pieni...


La mia obiezione partiva semplicemente dalla legge della domanda e dell'offerta.
Una bottiglia d'acqua costa poco al supermercato, moltissimo nel deserto. Dunque, se l'opera è un genere "per pochi", il rischio che salga di prezzo c'è.

L'economia, per quanto mi risulta, non è così manichea.
C'è da tenere presente, Tuc, che il prodotto di massa ha spese maggiori di un prodotto a target limitato.
La pubblcità per i prodotti di massa costa di più (perché deve rivolgersi a strati amplissimi della popolazione e perchè è più difficile farsi vedere in un contesto di maggiore concorrenza). Le sovrastrutture costano di più (non è la stessa cosa aprire al pubblico un teatro d'opera e un mega-stadio per concerti rock che richiamano centinaia di migliaia di persone). I "divi" costano di più: convocare una rock-star o divo del cinema implica costi ben lontani da quelli di un genere di spettacolo a target più scelto e più ridotto.
Rivolgersi a un pubblico "selezionato" non implica un proporzionale aumento di costi.

Detto questo, è vero che i biglietti dell'opera sono ultimamente aumentati parecchio: ma non me ne scandalizzo (basta rinunciare a un decine di stupide pizze il sabato sera e puoi andare in prima categoria a Salisburgo; basta rinunciare alla settimana al mare e puoi andartene a Aix-en-Provence).
C'è poi da dire che oggi si sono nettamente differenziati due tipi di fruizione: quella "live" e quella di lontano (tramite dvd, satelliti, internet). Quest'ultima trent'anni fa non c'era. Dato che chiunque oggi può sentire come si canta e vedere una regia anche senza muoversi di casa, è giusto - per me - che chi vuole essere "dentro" l'avvenimento, paghi un poco di più.

Ma ora torniamo a parlare di contributi pubblici.

Ma dimmi una cosa sola: tu pensi che i soldi risparmiati in questo modo potrebbero consentire ai teatri di vivere con gli introiti dei biglietti (non aumentati di prezzo), degli abbonamenti, degli sponsor privati e delle convenzioni con alberghi e strutture turistiche, senza un euro di finanziamento pubblico?


Io ne sono ultra-convinto.
Ma non è questo il punto: il punto è che se non ci si riesce, allora vuol dire che l'Opera deve chiudere il suo pluri-secolare capitolo.
Non ci sarebbe nulla di male; altre prestigiosissime forme d'arte hanno chiuso le loro vicende, una volta esaurito il loro rapporto con l'umanità.
Se davvero non ci sono abbastanza cultori al mondo da tenere in piedi la forma d'arte che amiamo, allora vuol dire che è diventata un ramo secco.

Il punto è che non credo proprio sia così.
Gli appassionati d'opera oggi sono milioni: i teatri sono pieni, i siti e i blog operistici sempre più numerosi, i video su youtube gettonatissimi, le file davanti a teatro (con codazzi isterici di bagarini) sempre più lunghe; e c'è gente che attraversa le alpi per assistere a un grande debutto o a una nuova produzione.
A questo entusiastico dinamismo (che solo trent'anni fa, prima della svolta "alta", sembrava tramontato) non ha fatto seguito un adeguamento della produzione e dell'organizzazione.
E temo che non ci sarà finché gli Stati lo renderanno - con la loro stessa presenza - impossibile.

Salutoni,
Matteo

PS: vorrei pubblicamente ringraziare chi, tramite Pietro, ha espresso ammirazione e condivisione per quanto ho scritto! ;)
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Re: I tagli del FUS

Messaggioda beckmesser » lun 14 set 2009, 16:54

Argomento tosto: provo a dire la mia, anche se il rischio di parlare a vanvera è alto, dato che non sono certo esperto di economia o di gestione teatrale… In linea generale, sono abbastanza d’accordo con la posizione di Matteo, ma credo che occorrerebbe distinguere fra l’idea del contributo statale alla cultura teatrale in sé e come esso è strutturato in Italia. I disastri che sono sotto gli occhi di tutti, a mio parere, non derivano tanto dal fatto che lo Stato intervenga, quanto dal come interviene, ed in particolare dal concorrere di due fattori: (i) chi è deputato a spendere (sovrintendente) non è chiamato in nessun modo a rispondere di quel che fa, e (ii) se il contributo non basta e si crea un buco, pazienza, dopo un paio di scioperi delle masse lo Stato ripiana. Non per voler sempre mitizzare “l’estero”, ma l’impressione è che, tanto per dire, se il capo del Covent Garden organizza due stagioni da schifo e crea un deficit da 15 milioni, se ne va. Da noi, il sovrintendente in questione si dimette lui (per di più recriminando) e due mesi dopo lo troviamo a capo di un altro teatro a 100km.

Io credo che l’idea di Matteo sia interessante e utile, ma applicata tout court dubito possa funzionare, e non credo che il paragone coi musicals regga fino in fondo. Per rientrare dei costi (che comuque, a naso, direi sono minori) un musical macina centinaia e centinaia di recite nello stesso teatro, per anni e anni. Non credo che per uno spettacolo lirico possa funzionare. Mettiamo il caso che il sovrintendente di una Scala organizzata col metodo-Marazzi decida di allestire un Don Carlo. Che fa? Deve trovare un’orchestra (diciamo 80-90 uomini), un coro (diciamo altrettanti), un cast (diciamo una trentina fra primi e coperture), altro personale artistico (maestri sostituti, regista con aiuti, ecc: diciamo un’altra ventina). Quante recite può organizzare a Milano? Diciamo una ventina (e sono molte, dato che un teatro come la Scala deve garantire un certo numero di titoli all’anno…). Poi cosa fa? Trova un altro teatro interessato, che si prende tutti le 200 e passa persone coinvolte per un’altra ventina di recite? E poi via così… Mi sembra difficile, almeno per i grandi teatri: può funzionare per teatri relativamente piccoli (Chatelet, Favart: che poi possono farlo perché hanno finanziamenti pubblici…) o per i festival, ma non oltre. La mia ricetta, per il mondo teatrale italiano, sarebbe la seguente:
- 2 o 3 teatri “di Stato” (ossia finanziati, in parte, pubblicamente): diciamo Scala e Opera di Roma, organizzati in fondazioni autentiche (non le penose foglie di fico che sono le fondazioni teatrali attuali) e con propri organici stabili; con una condizione: azzeramento e rinegoziazione di tutti i contratti collettivi attualmente in vigore nel settore; ho avuto modo, per esigenze professionali, di vederne alcuni e sono quanto di più assurdo, anacronistico e cervellotico sia dato immaginare…;
- tutto il resto, organizzato col metodo-Marazzi, al limite prevedendo un contributo pubblico (magari locale) in proporzione non al numero di spettacoli fatti (che non significa nulla) ma ai finanziamenti privati che riescono a procurarsi: riesci a convincere (per qualità della proposta, previsioni di ritorni sul territorio ecc) dei privati a darti 100? Bene, io pubblico ne metto altri 10 (sempre che mi dimostri di spenderli, ovviamente…).

Due parole sull’altra tranche del 3D. Personalmente concordo in pieno con Matteo: l’idea dell’opera lirica come spettacolo “popolare” e che la salvezza (ma salvezza da cosa, poi? L’opera starebbe benissimo se non fosse gestita da incompetenti) stia nel convincere le folle ad andare a teatro, secondo me non sta né in cielo né in terra. Qualsiasi genere di spettacolo produce un repertorio che è, in parte, puro entertainment e, in parte, “arte”. Kubrick è cinema e i Vanzina sono cinema; Moccia è “letteratura contemporanea” (si fa per dire) e David Wallace è letteratura contemporanea (senza virgolette…); nel ‘700, Mozart era melodramma e Martin Soler era melodramma. Nell’opera lirica contemporanea (che non crea più repertorio) vale lo stesso principio: un Rigoletto Nucci-Pizzi-Oren è “entertainment”, non produce pensiero, non fa progredire il genere, serve solo a far passare una serata fuori di casa; una Carmen Antonacci-Gardiner o un Lohengrin Kaufmann-Jones (che, ahimé, non ho visto) sono altra cosa, e non solo nei risultati: proprio programmaticamente, come genere. Sono sfide intellettuali per accettare le quali serve un minimo di preparazione, di impegno e fatica (come per leggere Wallace o guardare Kubrick). È roba che necessariamente è rivolta a una “élite”, ma il bello è che si tratta di una delle ”élite” più democraticamente formate che esistano: serve solo interesse e un minimo di impegno. I soldi non c’entrano nulla (o c’entrano poco): quando avevo 18 anni andavo a teatro in treno, dormivo in ostello e prendevo posti in piedi; oggi, se serve, vado in aereo, trovo un albergo e a teatro mi siedo. È il costo di un qualsiasi svago, non maggiore di chi segue la squadra del cuore in trasferta… E non credo sia corretto confondere le folle che cercano gli spettacoli della Netrebko o le scene descritte da Matteo fuori dal teatro di Monaco per il Lohengrin per esempi di interesse “popolare”: è chiaro che, se si crea un “evento” teatrale (o almeno qualcosa supposto essere tale), la domanda supererà sempre l’offerta, ma il “popolare” c’entra poco o nulla.

Oddio, ne è uscito un pippone: chiedo venia.

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