Carissimi,
Ero incerto se lanciare o no questo argomento.
Quello che mi preoccupava erano i collegamenti (inevitabili) con l'attualità e la politica che, per regolamento, avevamo deciso di bandire dal nostro salotto.
Però (ci ho pensato a lungo) è anche vero che la gestione della Musica è una questione che riguarda direttamente noi appassionati, anche se - colpevolmente - abbiamo permesso per decenni che ci passasse sopra la testa, gestita tra politici e artisti come se noi non c'entrassimo nulla.
E' una questione di cui il nostro forum ha il dovere di parlare.
Così - dopo aver ascoltato l'opinione di Bagnoli e Maugham - vi sottopongo la questione, contando sul fatto che le opinioni che ne usciranno (che immagino saranno molto discordanti) non prescindano assolutamente mai dal rispetto che è dovuto - almeno qui - alle idee e ai valori di ciascuno di noi.
NOn passa giorno senza che non debba sentire (da parte di artisti e operatori dell'Opera) lamenti e contumelie sui tagli operati al Fondo Unico dello Spettacolo del presente governo, o che qualche giornalista o opinionista non tratteggi scenari apocalittici sulla stato della cultura in Italia (col solito invariabile ritornello "non toccate i nostri soldi, non toccate i nostri privilegi).
Di solito taccio e tengo per me quel che penso.
Riesco a tacere anche quando a sottoscrivere queste geremiadi sono direttori d'orchestra (dai forti ed ostentati legami politici) che pure percepiscono emolumenti scandalosi, da veri nababbi (e non solo per sè ma anche per i figli).
Finora sono riuscito a tacere (ma non so per quanto resisterò) anche quando mi è toccato di vedere a teatro striscioni eroico-lamentosi, appesi ai palchi dai dipendenti o dagli orchestrali, o subire - prima dell'inizio della rappresentazione - pistolotti sindacali indegnamente imposti a chi come me avrebbe tutto il diritto di non sentirli e di gustarsi lo spettacolo per cui ha pagato.
Solo una volta sono sbottato (eravamo al Comunale di Bologna) affermando a media voce che gli orchestrali dovrebbero pensare a suonare bene e non a imbrattare un palazzo pubblico che non è di loro proprietà; allora un distinto signore vicino a me mi ha risposto che invece "fanno bene! Il teatro è loro, di chi ci lavora".
Be... mi spiace per quel signore tanto distinto, ma non la penso così!
Così come non penso che casa mia sia dei muratori che l'hanno costruita.
E' mia perché l'ho pagata.
Così come il teatro è mio (più che dei dipendenti) perchè pago due volte per esso: come cittadino e come persona del pubblico pagante.
Bene. Ora ho deciso di non tacere più.
E vi confesso in tutta sincerità che anche io considero sbagliati i tagli del FUS, ma per la ragione che dovevano essere molto più radicali.
Ok, ok... Amemtto che la cosa non è stata fatta "cum grano salis": si sarebbe dovuto lavorare per un cambiamento progressivo e non semplicemente tagliare (che è fin troppo facile).
E non di meno ciò che io auspico, ciò in cui intravedo la salvezza dell'Opera in Italia, è la definitiva uscita dallo Stato dal mondo dell'Opera (e non solo).
E infatti secondo me l'inconfutabile crisi in cui i teatri annaspano e lo spaventoso ritardo rispetto al resto del mondo non sono dovute ai tagli di oggi, ma ai passati ottant'anni di gestione pubblica.
Per come la vedo io, l'unico che ha il diritto di dire "sì" o "no" a un prodotto artistico è il pubblico che ne fruisce, nelle sue varie e complesse componenti.
Ma perde questo diritto, ovviamente, nel momento in cui smette di "pagare".
Dal momento in cui la Politca "paga" per l'Opera è lei che ha la prima e l'ultima parola. Ed è appunto questo che avviene.
I teatri sono "controllati" dalla politica, ne sono un'emanazione (e questo vale per i piccoli e i grandi, per i vecchi enti e le nuove fondazioni): niente di più normale che la politica li usi per i propri scopi. Paga e quindi ne ha diritto.
Ecco perchè i teatri d'opera sono divenuti "rifugio" di politici e raccomandati, riserva per oceaniche clientele alla ricerca del posto fisso, persino (sia pure in modo più soft che in passato) veicolo di consenso gestito da intellettuali allineati (da una parte o dall'altra).
Non sto facendo generalizzazioni da Bar Sport; non sto parlando di buoni e di cattivi. Sto parlando di un sistema, non di singoli.
Io stesso - lo dico sempre - se fossi assessore alla cultura di una città sarei costretto a mettere da parte la mia passione per l'opera, per dedicarmi a ciò che un assessore deve fare e fa: politica.
La politica è necessaria, fondamentale, insostituibile alla dialettica civile.
MA NON C'ENTRA NULLA CON L'ARTE. E non deve entrarci! (anzi, come dicono certi simpatici blogghisti in rotta con la lingua italiana "non deve c'entrare")
Quindi non convincono le tesi per cui "qualcuno" buono c'è (tra i dirigenti teatrali, tra gli assessori, tra gli operatori) e quel che conta è l'onestà di ognuno di noi, non si deve fare di tutta un'erba un fascio, ecc...
No, cari miei. E' il sistema in discussione: il sistema del controllo statale del mondo dell'Opera. I singoli non contano.
E' un sistema che non può premiare le capacità, l'iniziativa, la preparazione, l''amore per l''opera, la voglia di realizzarla bene, la ricerca del consenso del pubblico (come farebbe un sistema di concorrenza e di rapporto col pubblico) perché deve operare le sue selezioni su altri criteri.
Puntando sui "suoi" criteri, la politica ha favorito l'incapacità fra i dirigenti e la disorganizzazione delle strutture (nonostante quantità di "amministrativi" che nessun teatro al mondo terrebbe), l'assoluta mancanza di ricambio nella casta, l'impossibilità del pubblico di far valere le proprie ragioni.
E non voglio nemmeno parlare della "selezione contenutistica" che la Politca inevitabilmente opera tra i prodotti artistici.
Non ne voglio parlare, eppure anche questo problema c'è!
E' perfettamente normale ad essere premiati siano i prodotti "graditi" o utili a chi paga per essi. Se fossimo politici lo faremmo anche noi!
La contestazione che di solito mi sento rivolgere è che, senza il contributo pubblico, l'Opera non si sosterrebbe.
E che il mercato sostiene solo cose volgari e demagogiche... che la raffinatezza e la cultura devono essere tutelate.
A smentire questa teoria basterebbe guardare la programmazione italiana: sarebbe questo il frutto della "tutela"?
Lo sbando estetico in cui annaspiamo? L'essere usciti da tutti i circuiti che contano?
Ma tuttavia, se anche così fosse, se davvero l'Opera fosse ormai un genere per pochi derelitti, incapace di sostenersi da sè senza l'aiuto dello Stato, allora pazienza! Vorrebbe dire - e lo dico da fanatico operomane - che è ora di chiuderla lì.
Non si tengono in vita i cadaveri. Vuol dire che la civiltà di oggi troverà altre espressioni di sè.
Ma non è così!
L'Opera (che oggi è una delle più seguite e vivaci fra le forme della cultura "alta") si sosterrebbe benissimo - anzi molto meglio - se a gestire la produzione non fossero la politica, con i suoi dirigenti fasulli e i suoi dipendenti pubblici - esorbitanti rispetto alle effettive necessità.
Talvolta mi sento dire è che nella Musica in Italia il "privato" esiste. Ma è talmente scalcinato che "W il sostegno pubblico".
Niente da dire: è vero.
In quel minuscolo settore di mercato che sono le "briciole" (festivalini, associazioni concertistiche, e tutto il resto della ratatouille musicale italiana) possiamo trovare anche imprese private.
Ma ancora una volta tutto è legato al pubblico, che organizza gli eventi, gestisce gli spazi e soprattutto eroga (secondo suoi insindacabili e ...prevedibili criteri) sovvenzioni a sostegno di alcuni e non di altri.
Tanti anni fa, da giovane, ho collaborato per un po' con lo staff di un'orchestra privata.
Quell'esperienza mi ha aperto gli occhi sul fatto che, finché c'è la politica di mezzo (ossia finché si sovvenzionano direttamente o indirettamente iniziative culturali) non c'è speranza di progresso.
Libero mercato? Ma fatemi il piacere!
Un teatro chiedeva un'orchestra per un evento. Vinceva chi si proponeva con un costo più basso.
Ok. Noi facevamo i calcoli al limite, compivamo salti mortali per travestire compensi da rimborsi, oscuravamo le prove, tiravamo la cinghia a livelli da fame....
Poi saltava fuori l'orchestra di un'altra città che si offriva per fare lo stesso concerto con mille euro.
Già... quell'orchestra era infatti già completamente sovvenzionata dal suo comune: anche soli mille euro in più erano per loro grasso che cola.
Noi non ci avremmo pagato nemmeno il trasporto degli strumenti.
Che competizione poteva esserci?
Che mercato c'è se qualcuno gode delle sovvenzioni della politca e altri no?
Come si può giocare a Monopoli, se uno dei concorrenti può a suo libero piacimento mettere le mani sulle riserve della banca e gli altri giocatori (anche se infinitamente più bravi) no?
E visto che parliamo di Orchestre, vorrei dire qualcosa a proposito di quelle stabili nei teatri d'opera, causa fra le più gravi del disavanzo dei nostri teatri (e non di meno sempre in prima fila a lamentarsi, far sciopero, attaccare striscioni, leggere pistolotti).
Io sogno da anni che tutte le orchestre impiegate nell'opera siano private, scritturate di volta in volta, produzione per produzione (come avviene in tanti teatri e festival importantissimi; come avviene anche in Italia per cantanti, direttori, registi), e sottoposte alle logiche del mercato.
Pare un'idea eversiva, quasi delirante, velleitaria e irrealizzabile.
Eppure, se così fosse, i teatri spenderebbero mille volte di meno, le esecuzioni sarebbero mille volte migliori e (soprattutto!!!) ci sarebbero più posti di lavoro per i giovani musicisti.
Ecco: questo è un bell'argomento che i detrattori dei "tagli del FUS" stranamente non considerano.
Sono migliaia i musicisti italiani (giovani e meno giovani) alla deriva, che dopo aver studiato una vita al conservatorio, essersi perfezionati, aver fatto la fame, ecc... si ritrovano senza sbocchi, costretti a tirare a campare con lezioncine private a cinquant'anni, perché le attività operistiche (ossia il maggior utilizzo della loro professione in Italia) sono blindate dalle orchestre e cori stabili, intoccabili e feroci nel difendere i loro privilegi.
Fra l'altro le orchestre private permetterebbero anche "specializzazioni" che oggi - pure - sono richieste ai cantanti.
Ci sono i wagneriani e i rossiniani, ci sono i barocchi e veristi, con nulla in comune fra loro.
E invece le nostre intoccabili, costosissime, pachidermiche (e spesso scalcinate) orchestre liriche vengono imposte sia in Wagner e Rossini, il Barocco e il Verismo, perché nessun altra orchestra può esibirsi in un teatro.
Mi fermo qui anche se so benissimo di non aver nemmeno sfiorato la complessità dell'argomento.
Ho solo buttato idee alla rinfusa.
Anche per questo attendo con impazienza le vostre opinioni; nell'attesa però voglio ribadire che per me sono state le sovvenzioni pubbliche e la gestione politica a uccidere l'Opera in Italia. Ciò che auspico è che artisti, operatori e professionisti dell'Opera tornino a scontrarsi e confrontarsi su una piattaforma di "libero mercato".
E la prossima volta che mi dovrò sciroppare un pistolotto sindacale a teatro contro i tagli del FUS, comincerò a inveire.
Salutoni,
Mat