Tucidide ha scritto:Vickers cantava con emissione apertissima, non si curava per nulla della rotondità del suono, emetteva spesso suoni gracchianti e a volte davvero sgradevoli... come Blake, anche peggio.
Però è questo, come dicevo, il punto.
Be' Tucidide, se posso permettermi la battuta
, ho l'impressione che per te il "suono" sia molto importante, tanto da attribuirgli (al suono) responsabilità di tipo musicale e drammatico.
Insomma sei un po' dalla parte di Celletti, con la differenza che lui "esclude" tutta una serie di suoni (in quanto non belcantistici) che invece tu "ammetti" sulla scorta del piacere che procurano e dell'entusiasmo popolare che hanno suscitato.
Questo spiega perché tu ami gente come Melchior, la Flagstad, lo stesso Pavarotti (posso metterci, almeno per diversi personaggi, la Fleming?), benché come attori e musicisti abbiano spesso poco da dire o da dare.
Almeno a me pare così...
Ora io non ho nulla contro il suono, solo che non lo considero veicolo diretto di emozioni teatrali e musicali (se non in misura molto limitata).
Non mi convince l'idea che un suono "così e così" possa essere espressione di sensualità, o eroismo, o "iper-problematicità"...
Non nego che ci sia un po' di vero, e che un embrione di emozione teatrale e musicale sia contenuto già nel suono, ma poi l'arte del canto e dell'interpretazione sono cose talmente complesse da far passare il suono in secondo o terzo piano, almeno per me.
E' come quando (per fare un esempio) ti dicono che il tedesco è una lingua dura, dai suoni arcigni, mentre l'italiano ha una cantabilità infinitamente maggiore.
Ok, sarà pure vero... però quando senti un lied di Schubert o di Brahms, una simile constatazione ti appare inutile, di nessun interesse.
E, di tutto quello che avresti da dire, l'ultimo problema è "la durezza del tedesco".
Per me è lo stesso se parliamo di suono vocale.
Anche a me interessa che un cantante possieda una voce e una tecnica compatibile con le esigenze specifiche di un'opera (e credo che sia Vickers, sia Bergonzi, sia Pavarotti fossero da questo punto di vista dei Riccardi accettabili), ma giunti a questo siamo ancora a monte del problema.
Se bastasse aver un timbro "potenzialmente" giusto per essere degli interpreti operistici allora sarebbe un mestiere facile.
Il vero problema sono poi gli aspetti musicali e drammatici che configurano un'interpretazione.
In Verdi, e anche in Wagner, quel tipo di canto rappresentava, soprattutto in quegli anni, una novità assoluta.
Quindi secondo te l'effetto shock di Vickers è dovuto principalmente a ragioni vocali.
Io non credo.
Ricordo la prima volta che ho sentito "Dio mi potevi scagliar" dell'edizione Serafin (la scoprii nei primi anni '80)
Rimasi di stucco.
Ritenevo quel brano noioso ed enfatico, scarso di ispirazione, un insopportabile indugio narrativo utile solo a mettere in evidenza il tenore: questo era l'effetto (devo essere sincero) che mi aveva procurato Del Monaco e non solo lui.
Vickers è stato una rivelazione: con lui "Dio mi potevi scagliar" sembrava un grande Lied, anzi l'adagio di una sonata romantica.
La voce, il timbro nemmeno lo sentivo: sentivo la ricerca espressiva dell'interprete, fin nel cuore del colore, e la consapevolezza del musicista (che si impossessa del ritmo, lo manipola, se ne fa trascinare; che fra sussurri, crescendi, colori cangianti esalta la linerarità ossessiva e dolcissima del tema).
Stessa emozione con Aida: in teoria Vickers non ha niente di quel che mi aspetto da Radames (per cui preferisco un'interpretazione giovane e una vocalità acuta), ma almeno sento un tenore verdiano che è anche interprete e musicista.
Lauri Volpi ha tutte le caratteristiche che cerco in un Radames e che Vickers non ha.
E' acuto, giovanile, squillante, idealista.
Eppure alla fine preferisco Vickers, perché - anche se non ha la voce che vorrei - è un attore e un musicista di maggiore statura. E il suo Radames vive di questo.
E c'è poco da fare: l'interpretazione è veicolata soprattutto dai suoni che il cantante emette.
Per te!
Per me è veicolata dalle sue risorse musicali e interpretative.
Il Tristan di Vickers è un personaggio tormentato perché è tormentata la sua voce: a lui basta, come tu dici, esasperare la dinamica, adagiarsi, e il tutto, che suonerebbe convenzionale se affidato ad una tecnica di emissione "tradizionale", diventa per incanto innovativo.
Io però non ho affatto detto questo.
Intanto per me il Tristano di Vickers non è poi così tormentato (certo! Può sembrarlo paragonato a Melchior!
)
E' espressivo, è coinvolgente, ma non mi dà l'idea di una particolare profondità di intenti, nè di una vera comprensione di Schopenauer.
Ma se anche fosse come tu dici, se Vickers fosse un tristan tormentato e solitario, questo dipenderebbe secondo me dalla sua visione del personaggio e dalla capacità di comunicarla.
Non dal fatto (come tu pretendi) che sia tormentata la sua voce.
La Callas aveva una voce tragica e grandiosa? si, ok.
E questo spiega l'efficienza della sua Norma!
Ok, allora come giustifichiamo Fiorilla, Amina e Cio-cio-san?
Il "suono" non conta, nella definizione di una psicologia o di una poetica: conta la capacità tecnica dell'interprete e del musicista.
Devo dirla tutta? Spesso una voce molto caratterizzata, secondo me, lede un'interpretazione, perché l'interprete finisce per affidarvisi troppo.
Quante cantanti, con la voce sensualissima, finiscono per essere delle Carmen noiose?
Per Verdi, lo stesso: da Tamagno a Del Monaco, quasi tutti gli Otello sono lucenti, eroici, in posa statuaria (con la grande eccezione di Vinay), poi arriva questo qua, e nell'Esulatate rimani interdetto: voce sfibrata, gracchiante, rauca... PAM!!! Fine delle certezze!
Dov'è l'eroe?
Perché secondo te l'eroismo è dato dal timbro?
Un personaggio, secondo me, è eroico se "musicalmente e teatralmente" viene fatto eroico.
Non si è eroici perché - sia merto sia caso - uno si ritrova una voce stentorea.
Scusa se cito ancora il caso di Lauritz Melchior, come esempio di voce stentorea e saldissima, ma anche di personalità paccioccona, rilassata, prevedibile (con la facciotta sorridente, la panciotta abbondante, l'allegria da attempato chansonnier scandinavo). Non riuscirei a pensare a un Tristano meno eroico del suo.
Tu per esempio dici che nell'Esultate Vickers sembrava poco eroico?
Io ho i miei dubbi.
Quando il pubblico vedeva irrompere in scena quel gigante che si muoveva come un leone fra lampi e marosi, lanciando sferzanti sguardi "azzurri", non credo che avesse una sensazione di eroismo inferiore a quella che dava Del Monaco, piccoletto, coll'orecchino e molto meno spettacolare nella recitazione.
Inoltre a me l'"Esultate" di Vickers ha sempre dato l'idea di una forza smisurata.
Sarà per come si avventava sul ritmo (invece di indugiare mezz'ora su ogni nota); sarà per come articolava le sillabe e arrotava le r (l'orrrrgoglio, in marrr, nostrrrra, glorrrrria), sarà anche per quell'impeto di lotta contro gli elementi che l'appoggiatura sul si naturale - steccata la metà delle volte - non riusciva a ridurre.
L'"Esultate" di Del Monaco era elettrizzante (a livello sonoro) ma Vickers lo superava per l'intensità gigantesca e guerriera.
L'ho già detto tante volte e so di risultare pedante e ripetitivo: ma per me si può essere terrorizzanti con una voce chiara e acuta, così come si può essere seducenti con voci aspre, o eroici con voci morbide e vellutate.
Se usi gli strumenti della musica e della recitazione, il suono si riduce a essere un accessorio, imprescindibile ok, ma pur sempre accessario.
Almeno per me.
Salutoni
Mat