Buongiorno a tutti. Sono nuovo, chiedo ospitalità, dopo un lungo periodo di lettura per ambientarmi con voi vi sottopongo il quesito in oggetto.
Mi è sorto questo dubbio tornando da Milano il 23 dicembre scorso dopo il Tristano. Mi frullava in testa da un pezzo. Dov’è tutta questa decantata sensualità e erotismo in Tristano? O meglio, se c’è, dove lo può trovare uno spettatore del 2007?
Inoltre, siamo davvero sicuri che l’erotismo e la passione travolgente dei sensi siano il punto centrale della musica e della drammaturgia (per me sempre pari sono da Handel a Britten) dell’opera in questione?
Lasciamo per un attimo da parte quanto una certa critica e una certa musicologia hanno scritto anche a ragione per decenni (passione, stordimento dei sensi, trasgressione, erotismo a fior di pelle…) e guardiamo da vicino l’opera. Ovviamente nello spazio consentito dal forum e dagli scarsi mezzi critici di cui posso disporre visto che musicologo non sono.
Al di là delle suggestioni erotiche che a un pubblico ottocentesco poteva suggerire il cromatismo esasperato (a noi fa ovviamente molto meno effetto) o l’imitazione copulatoria di alcuni temi in realtà io di erotico e passionale in Tristano trovo davvero poco. E ne ho visti e ne ho ascoltati.
Se guardiamo al libretto ci si accorge che Tristano dice in punto di morte “Ach, Isolde, Isolde!
Wie schön bist du!”. Solo in punto di morte fa un riferimento diciamo “umano” alle grazie terrene della sua compagna. Guarda un po’, solo prima di morire e dopo un duetto d’amore di quelle proporzioni se ne esce con la frase che invece ti aspetteresti subito da un amante appassionato. E ci arriva dopo un incredibile percorso psicanalitico, questo sì, che da solo basterebbe a collocare Wagner nel mondo dei grandi.
Tristano è a Kareol in uno stato di profonda depressione. Non si tratta di semplice tristezza momentanea o dello scoramento che tutti abbiamo provato quando la morosa ci ha mollato. No, Tristano non vuole più vivere. E’ ormai passato in un mondo mentale da cui non riesce più a tornare indietro. Da questa disposizione d’animo, da laggiù, non riesce più rivestire la vita e le cose che lo circondano di significato. Per usare le parole di Bowles in“Sheltering sky” riferite a Port: “era andato in un mondo in cui era talmente solo che non riusciva più a ricordarsi di cosa volesse dire non essere solo”.
Tristano si trova in questo stato d’animo non perché ha perso la faccia di fronte a Re Marke con le sue tiritere, ma a causa di un nodo profondo dentro di sé che lui non potrebbe sciogliere neanche con tutte le Isolde del mondo al suo fianco; perché si tratta di un problema esclusivamente suo che parte da molto prima della comparsa di Isolde nella sua vita. E quindi fa una scelta. Decide di scavare dentro se stesso tramite un percorso introspettivo doloroso e ripercorre tutte le tappe della sua vita per arrivare a capire dove si annidi il mostro che alimenta il suo male oscuro.
Semplificando si tratta del classico percorso di analisi che Freud doveva ancora elaborare ma che Wagner a quanto pare già presentiva. E Tristano, al termine dei suoi monologhi individua questo problema nell’abbandono. Solo Kurwenald non lo abbandona, ma Kurnewald non è un essere umano, è un cagnolone fedele che non può risolvere i problemi del nostro eroe. Tristano è stato sempre abbandonato da tutti. E di conseguenza anche lui abbandona, come ha fatto con Isolde consegnandola in maniera autolesionistica a Marke. Ed è proprio questo senso di perdita continua e devastante che gli ha creato una sorta di nucleo freddo nell’anima che lo blocca e non gli permette un abbandono totale dei sensi all’amore. Tutto viene filtrato prima dalla testa. O dal filtro d’amore che, come scusante per un anti-emotivo come lui, non è mal trovata. Lui stesso ha distillato il filtro, no? Solo quando Tristano riesce a individuare il nodo e lo scioglie, ecco che salta fuori l’essere umano. “Isotta, come sei bella.” Tutto qui. Semplice, semplice. E muore, l’avete notato?, senza le dimensioni epiche di altri eroi ed eroine wagneriane. Un accordo secco degli archi e dell’arpa. Un semplice “plin”. (Ascoltatevi Bernstein) Ed è tutto finito. Tristano esce di scena.
Secondo me siamo lontani anni luce dalle atmosfere razional-emotive del duettone, dagli sfinimenti postorgasmici dell’inno simil-Novalis, dai paradossi di due amanti che parlano di sè in terza persona, dal linguaggio infarcito di sciarade, di zeppe, di giochi sintattico-linguistici più consoni a due enigmisti che a due esseri travolti dalla passione. Su una musica straordinaria questo polpettone linguistico può essere un peso; ma non sono arcaismi, come capita di sentire e leggere, ma secondo me vere e proprie scelte drammaturgiche, consapevoli, messe in atto da Wagner per arrivare a quell’accordo finale che chiude il discorso in tutta semplicità.
Abbandono e perdita, dicevo, guardacaso proprio i territori teatrali e musicali dove Wagner si esprime con maggior sincerità emotiva e geniale incisività. Wotan, non sto a dirvi dove perché lo sapete benissimo, Sachs, Siegmund…
E qui allargo il discorso. E’ mai riuscito Wagner nelle sue opere ad esprimere genuinamente ovvero senza pesanti mediazioni culturali la passione fisica e emotiva tra uomo e donna? A me viene in mente solo il finale primo di Walkiria. Ma lì non si tratta di una coppia normale, ma di fratello e sorella. Un incesto, addirittura, con sopra un rapimento. Parsifal e Kundry? Anche li siamo dalle parte dell’analisi e non della passione. Schlingensief a Bayreuth sfiorava il problema (e purtroppo non ci stava sopra) trasformando per un attimo il giardino di Klingsor in uno studio medico dove Kundry con taccuino ascoltava Parsifal steso sul lettino. “Parlami della tua mamma, caro, e dimmi cosa ricordi di lei”. Olandese e Senta? Lì siamo dalle parti di un uomo-icona. Elsa-Lohengrin? Lì addirittura non si arriva neppure a consumare. Venere e Tannhauser? Non lasciatevi trarre in inganno dalla confezione parigina. Wagner era un maestro nel depistaggio e il baccanale per me è quanto di più eroticamente falso abbia mai scritto un compositore sessualmente inerte come Wagner. Siegfried e Brunhilde nel Sigfrido? A mio parere non è neanche un duetto d’amore. Morabito a Stoccarda li metteva in una stanza che ricorda da vicino quella spettrale del finale di 2001 odissea nello spazio e la legge in chiave di iniziazione sessuale.
E allora, secondo voi, tutta questa passione e turbamento dei sensi, questo hard-core ante litteram cui molti fanno riferimento parlando del Tristano e di altre opere wagneriane, esiste ancora per noi spettatori del 2007? O non è mai esistito? O sono io che non lo sento? O non ce lo fanno sentire?
Grazie dell'ospitalità
Somerset