Negli ultimi tre mesi si sono avvicendate sui palcoscenici del Nord Italia quattro opere del giovane Verdi: “Giovanna d’Arco” e “I due Foscari” a Milano; “Stiffelio” a Venezia; “Attila” a Bologna. Ho potuto assistere in teatro ai primi tre titoli (rispettivamente nelle date del 4 dicembre, 22 marzo e 28 gennaio), mentre del quarto ho potuto beneficiare della sola fruizione video della prima rappresentazione grazie a Rai 5. Molto è già stato scritto, e non vorrei riscrivere la solita storiella di concezione e genesi delle opere, nè tanto meno l’analisi formale. Vorrei più semplicemente presentare un breve confronto sull’operato dei tre teatri ponendo alcune domande.
Quale teatro ha avuto maggiore intraprendenza? Sicuramente il Teatro alla Scala che ha voluto presentare quale inaugurazione di stagione, con tutte le critiche del caso, un’opera praticamente misconosciuta ai più quale la “Giovanna d’Arco”. E vi è riuscito, presentando il miglior cast attualmente ipotizzabile per il titolo; una regia a mio parere intrigante, mai scontata e che riusciva ad attirare lo spettatore; nutrivo pregiudizi sul Verdi di Chailly, invece mi ha favorevolmente stupido la sua direzione che ha saputo imprimere alla partitura una sua drammaticità intrinseca ed è riuscito a rivelarne tutti gli aspetti, complice anche un coro in forma più che smagliante. L’idea di Chailly è stata quindi vincente: far conoscere a molti (anche grazie alla ripresa video) un’opera di Verdi ormai negletta, mettendo in evidenza luci e ombre della partitura. “I due Foscari” è sicuramente stato un prezioso tassello in quanto ci ha mostrato: la preziosa direzione di Michele Mariotti; un altro ruolo stupendamente cantato da Francesco Meli; la crescita di un nuovo bel baritono verdiano; una regia senza infamia e senza lode ma che almeno non ha disturbato più di tanto lo spettacolo. Ecco, forse avrei osato con un titolo ancora più raro, per esempio “I Lombardi alla prima crociata” oppure “La battaglia di Legnano”, facilmente montabili con lo stesso cast a disposizione. Spero ciò accada nelle prossime stagioni.
Quale teatro ha avuto la peggio? La Fenice ha presentato il titolo a mio parere più interessante dei quattro, un’opera molto particolare per tematica e stile, molto vicino alla “Luisa Miller” e praticamente attaccata a quel che sarà la trilogia popolare. Nonostante l’ottima prova del direttore Daniele Rustioni e del tenore Stefano Secco, la produzione ha avuto una palla al piede molto grossa: la regia assolutamente infondata, visivamente brutta, inguardabile di Johannes Weigand. Stankar era un piuttosto rozzo Dimitri Platanias; benino Julianna di Giacomo quale Lina, classica voce torrenziale ma spesso poco accurata, e buone le parti di fianco. È sicuramente apprezzabile la volontà del Teatro (che a dicembre riproporrà l’Attila bolognese) ma alcune volte mi chiedo se è necessario recuperare opere desuete a tutti i costi, ovvero con mezzi inappropriati non si da valore a titoli che non risplendono di luce propria, anzi alcune volte si ottiene l’effetto contrario.
Qual’è lo stato dell’arte verdiana attuale? Faccio alcuni nomi: Francesco Meli, Luca Salsi, Daniele Rustioni, Michele Mariotti, Stefano Secco, Anna Pirozzi, Fabio Sartori, Simone Piazzolla. Sono i nomi che dovrebbero ritornare spesso nel presentare titoli verdiani agli italiani. E non parlo solo del giovane Verdi, ma anche “La forza del destino” e “I vespri siciliani” (che dovrebbe aprire la stagione scaligera 2017-2018) soffrono spesso di carenza di rappresentazioni. Solo affidando il repertorio verdiano a chi ha la pazienza della dedizione potremo vedere produzioni interessanti che danno nuovo lustro a titoli poco frequentati.
Magari nei prossimi giorni mi verranno nuovi quesiti, ma ci tenevo a lasciare qualche appunto.
Voi cosa ne pensate?