Milady ha scritto:Caro mat,
non sono mai stata una vociomane col cuore in mano.Ma quando un'opera è fatta per trascinare lo spettatore , io mi lascio travolgere ( con molta riluttanza se è cantata e interpretata in maniera abborracciata)
Cara Milady,
Questa tua frase pone fra le righe un interrogativo interessante.
Nemmeno io sono un vociomane col cuore in mano, ma anche io mi lascio travolgere facilissimamente all'opera, basta che creda a ciò che vedo, che è proprio quello che dicevi tu.
Da ragazzo mi commuoveva molto lo Chénier (lo vidi la prima volta a dodici anni, per il mio "debutto" alla Scala: eravamo nel 1983). A casa sentivo e risentivo l'edizione Stella-Corelli-Sereni e mi pareva struggente persino il primo monologo di Gérard (che brividi nel "son sessant'anni").
Ma gli anni '80 sono trascorsi e io sono diventato un quasi-quarantenne degli anni 2010.
E mi chiedo se i dodicenni di oggi, nel mutamento dei valori in corso, proverebbero gli stessi brividi nel sentire il servo si sente trafitto dalla vista del padre-chino e sfinito, umiliato per la vita che gli ha imposto e che a stento reprime, fra l'amore e la pietà, il disprezzo.
Sono problematiche che possono parlare così intensamente al pubblico (e agli artisti) di oggi?
Non mi riferissco solo all'Andrea Chénier, ma a tutto il repertorio (oggi abbastanza negletto) del tardo romanticismo italiano e francese; un teatro nato vecchio, nostalgico anche ai suoi tempi, idealizzante, sentimentale e forzosamente edificante, mentre il mondo andava avanti (nelle direzioni del realismo o del simbolismo europei).
Io non credo che questo sia il momento buono per mettere in scena le opere della nostalgia, come Andrea Chenier (o le opere di Catalani, di Reyer, di Delibes, di Smareglia) tutte bellissime, come bellissimo è lo Chénier, ma oggi il futuro incombe, ci schiaccia e ci condiziona.
Oggi è l'epoca giusta per proporre le opere che guardano avanti, che si gettano nel domani: non ti sembra strano che - dopo tanti anni di silenzio - un'opera come il Kroll Roger di Szymanovsky o il Dottor Faust di Busoni abbiano avuto tante produzioni?
Non ti sembra significativo che il "musical" americano degli anni 20 stia progressivamente invadendo i teatri d'opera?
E che mi dici della "Tetralogicomania" (come dicono i Francesi) per cui ogni teatro, teatrino o teatruccio al mondo l'ha messa in cantiere negli ultimi dieci anni?
Le opere che guardano al futuro funzionano benissimo: ispirano gli artisti e attraggono il pubblico.
Le opere come Andrea Chenier sono eseguite invece con stanchezza, con clichés, con interpreti che "scimmiottano" impeti e valori che non sentono (Alvarez... Alagna...) e pubblico che - a torto, si intende - le guarda con sufficienza.
Una soluzione potrebbe essere quella di prendere questi titoli e rivoltarli completamente, cercandovi problemi e prospettive nuove, come proponi tu.
Certo che lo Chénier si potrebbe cantare diversamente e certo che ci vorrebbe una rilettura nonché una regia rivoluzionarie.
Sarebbe splendido.
Sì, si potrebbe.
Ma io penso che non sia onesto... Io credo nell'assoluta libertà creativa dell'interprete, purché "scateni" l'opera da cui parte, non la "travesta" in qualcos'altro.
La rilettura e le regia rivoluzionaria potrebbero oggi consentire il rilancio del neoclassicismo (Spontini, Mayr) o del "vero" romanticismo (Meyerbeer in primis).
Potrebbero finalmente scatenare il primo Verdi, come ha fatto con Handel e Monteverdi...
Ma per il "tardo romanticismo" io credo sia meglio aspettare che questo nostro vivacissimo mondo cambi di nuovo... e riscopra il valore della nostalgia, il fascino dello "ieri", il mistero del sogno e dell'ideale.
Kaufmann ?
Sì... Se Chenier deve essere, lui e solo lui oggi sarebbe plausibile.
Lo Chenier idealizzato, romantico, finalmente raccolto psicologicamente, introverso, crepuscolare, malinconico, sconfitto, non esteriorizzato e caciarone.
Ma ha già dichiarato in un'intervista di non sentire il fascino del personaggio... nemmeno lui!
Salutoni,
Mat