vivelaboheme1 ha scritto:Von Trier è un immenso ma il suo lavoro "riporta" a Tristano, non è un film d'opera o un'opera in film.
E’ esattamente così: Melanchonia non parla di Tristan und Isolde, e tuttavia Melancholia sa di Tristan und Isolde, come di un profumo intenso che non puoi fare a meno di continuare a percepire dall’inizio alla fine del film. Per questo ho ritenuto opportuno segnalarlo su un forum dedicato all’opera lirica. A suo modo, Melancholia rappresenta una sorta di “terza via” (per quanto estrema) rispetto al film d’opera (come il Rigoletto di Miller) e all’opera filmata (come il Barbiere di Ponnelle).
Il Don Giovanni di Losey non m'è mai piaciuto, sia per l'impostazione fuorviante del Don di Raimondi sia per alcune incongruenze visive inammissibili in un film: la Berganza che sembrava la bisnonna di Zerlina era anticinematografica, improponibile.
Vero.
Trovo però che il DG di Losey resti comunque un film d’opera interessante, in cui l’estetismo esasperato non è frivolo e superficiale come, ad esempio, mostrato nel DG di Strehler, ma pervaso di angoscia e di morte. Il DG di Raimondi è un cadavere che si imbelletta per nascondere agli altri e a se stesso il puzzo di morte. E poi resta un film visivamente bellissimo grazie ad una fotografia strepitosa: la scelta di mostrare le ville palladiane emergere dalla nebbia della notte, il finale ambientato tra il fuoco e il fumo delle vetrerie di Murano… Da veneto (ancorché "trapiantato" al nord
) riconosco a Losey di essere riuscito a cogliere, come raramente mi è capitato di osservare, l’essenza della laguna veneta e di Venezia, quel misto inscindibile di bellezza lancinante che, come una rosa recisa, sembra sempre vivere il suo ultimo giorno.
Sempre affascinanti i rapporti tra film e opera. Agli albori della cinematografia, il film “imitava” il linguaggio e le convenzioni dell’opera. Si pensi, ad esempio, alla suddivisione “musicale” di Nosferatu di Murnau). Molti primi film si rifacevano alla trama di opere popolari (tanto per dire, uno dei primi cortometraggi riportava sullo schermo la vicenda della “Dama delle camelie”). I primi filmati di Melies utilizzavano scenografie dismesse di spettacoli d’opera. La stessa recitazione enfatica delle prime dive del muto si rifaceva con tutta probabilità agli stilemi gestuali dell’opera (interessanti un confronto tra i primi film del muto e le fotografie di alcune dive dell’opera).
Col passare del tempo, il cinema si è distanziato sempre più dall’opera, costituendosi come genere con una identità propria, un proprio linguaggio, delle convenzioni proprie. Ora, paradossalmente, è l’opera a rifarsi più o meno esplicitamente al linguaggio del cinema. Negli ultimi anni capita ad esempio di assistere a spettacoli operistici improntati ad un iperrealismo di stampo cinematografico (uno per tutti l’Onegin con la regia della Warner al Met). Ma sono molti gli esempi di registi d’opera che si rifanno al linguaggio e agli stilemi visivi o tecnici di grandi registi del cinema. Quanto devono gli spettacoli di Herheim alle atmosfere del cinema espressionista nordico (da Dreyer a Bergman)? Quanto gli spettacoli gelidamente perfetti (ed angosciosamente oppressivi) di Cerniakov al Kubrick di Full Metal Jacket? Quanto gli spettacoli “pulp” di Bieito alle opere di Almodovar? E si potrebbe continuare a lungo…
DM