La tesi è suggestiva, ma non mi convince in pieno. Intravedo il rischio che, per amor di paradosso, venga sottovalutato uno dei nuclei portanti del Tristano, altrettanto sconvolgente di quello, descritto benissimo da Maugham, del retrospettivo scandaglio autoanalitico del personaggio maschile del terzo atto.
Ossia, la centralità del duetto II, al di là del preziosismo lambiccato di certi indugi testuali (che renderebbero la declamazione del solo libretto improponibile), proprio nella audacia della sua realizzazione musicale, ossia, come tutti sanno, con la progressiva sospensione armonica, correlativo del dissolvimento dell’intenzione e della volontà razionale dei personaggi, del loro lasciarsi annullare nella spirale dell’indistinzione fino a raggiungere l’acme di un connubio identificato, dopo la ripresa del canto di Brangäne, nella sezione conclusiva, con un movimento a spirale che non a caso, verrà ripreso quasi integralmente nel finale terzo, nella trasfigurazione di Isolde.
E’ troppo scontato far presente che la letteralità di questa citazione a conclusione della macerazione psicologica e intellettuale del soliloquio di
Tristan e di tutta l'opera suggerisce, in fondo, che la risposta al tormentato anelito di Tristan era già stata data nell’atto precedente, e che l’estasi sensuale ed erotica raggiunta dai due amanti nel momento supremo della notte era il momento compiuto dell’appagamento e della liberazione, la realizzazione, sia pure toccata in modo intermittente, di quell’”uno” a cui aspirano?
Certo, le risposte agli interrogativi di un’opera così polivalente come il Tristan possono essere più d’una …
In ogni caso, io tenderei, più che a negare, a capovolgere la prospettiva degli interventi che mi hanno preceduto, sottolineando in Wagner- e segnatamente in quello di Tristan - non tanto la capacità di servirsi dell’eros come strumento o anello di passaggio in una ricerca di comunicazione fra il soggetto e il tutto, quindi come un elemento interno ad un processo di natura eminentemente intellettuale, su cui del resto sono stati spesi fiumi di inchiostro di altissimo livello, ma piuttosto la capacità di fare proprie le sfere concettuali che gli derivano dalla cultura in cui è profondamente immerso- da Novalis a Schopenhauer - rivestendole di una carica di sensualità che solo l’audacia del trattamento musicale rende esplicita e tangibile.
Vorrei riabilitare, insomma, la banale considerazione che la “notte amorosa” di Tristan è la premessa imprescindibile di altre, posteriori notti operistiche in cui la carica dell’eros perturbante si affermerà in maniera ancora più conclamata ed ossessiva, ad es. quella di Salome e di Pelléas.
Come breve tocco aggiuntivo di gusto personale, e per rispondere ad un’altra delle domande iniziali di Maugham, ossia chi abbia espresso o possa ancora farci passare questi significati, dico che che tutto questo, all’ascolto, me lo fanno capire soprattuto la morbidezza di Karajan e la carnalità esposta degli interpreti vocali nell’edizione Bernstein.
Saluti, Fabrizio