Provo a buttar giù due righe su questo spettacolo, precisando comunque di averlo visto solo online (peraltro con un video di qualità tecnica fenomenale, con buona pace delle schifezze proposte recentemente su Rai5).
Rispetto ad altre sue precedenti prove registiche, questo spettacolo di Martin Kusej si pone su un livello ben superiore. Certo, siamo sempre ancorati in una lettura molto “ideologica”, vincolata ad un Konzept piuttosto “pesante” (le solite ossessioni per il sesso, la violenza e la morte), e tradotta visivamente nelle solite immagini da filomne splatter. Però, complessivamente, lo spettacolo funziona.
Per Kusej l’opera è la storia dell’autodistruzione di una famiglia determinata dal senso di colpa della ribelle Leonora, innescato dal suo desiderio di libertà. Una famiglia borghese, retta da un padre-padrone, in cui l’educazione rigidamente cattolica esclude ogni tipo di affetto e alimenta un’atmosfera di soffocante repressione (molto efficace la scena iniziale, con la famiglia riunita attorno alla tavola per la benedizione e la cena),
dando ragione dei sensi di colpa che perseguiteranno Leonora nel corso dell’intera vicenda. Così anche l’amore (ma è vero amore? O piuttosto solo un disperato tentativo di evasione?) per un giovane scapestrato, anti-borghese, dai capelli rasta, amante del vino e delle belle donne, diventa per Leonora una via di fuga da questa realtà opprimente. Poi si verifica l’uccisione involontaria del padre-padrone da parte di Alvaro. E questo innesta in Leonora un senso di colpa che la accompagnerà fino alla fine dell’opera. Si ha l’impressione che – in realtà – l’uccisione del padre non sia altro che la proiezione del senso di colpa di Leonora, che freudianamente “uccide” il padre nel suo inane tentativo di liberarsi dalle costrizioni imposte da un’educazione eccessivamente rigida e di trovare autonomia e libertà. Autonomia e libertà che si riveleranno illusorie: Leonora non riuscirà mai a liberarsi dall’immagine paterna, che ritroverà nella figura del Padre Guardiano (un altro padre!), che Kusej fa interpretare dallo stesso cantante (il bravo Vitalij Kowaljow). Anche la stessa scenografia suggerisce questa ricerca impossibile di libertà. Il tavolo (simbolo fortissimo del legame alla “famiglia”) è un elemento sempre presente in scena. E la stessa casa paterna ritorna nei vari atti: nel secondo essa appare corrosa e disfatta (il deformante senso di colpa di Leonora),
nel terzo (scenicamente impressionante) la parete di fondo rappresenta la pianta dell’abitazione paterna sventrata da quella che potrebbe essere la deflagrazione di una bomba, ma anche (soprattutto?) la rappresentazione della ferita mortale inflitta da Alvaro/Leonora sul corpo del padre e sull'intera famiglia.
E poi l’ultimo atto, in cui la casa paterna è letteralmente invasa di bianche croci, ad indicare il fallimento di Leonora nel trovare pace e libertà in un Dio in cui la giovane donna ritrova la figura del padre che schiaccia ed opprime.
Tutto ciò che si vede sulla scena è proiezione del senso di colpa di Leonora per l’uccisione (vera o “simbolica” del padre): agli occhi velati dall’allucinata psicosi di Leonora, dopo la morte del Marchese di Calatrava il fratello Carlo si trasforma, da innocuo bambino in divisa da scolaretto, in adulto violento e vendicatore, vera e propria macchina da guerra (alla Full Metal Jacket), e ulteriore proiezione del senso di colpa della donna. E anche il sesso, immaginato e desiderato dalla giovane come naturale espressione di libertà e spontaneità, diventa – deformato dal senso di colpa di Leonora – una mostruosa, orrenda espressione di morte, e la scena con Preziosilla al III atto un’orgia fetish che ha il fetore insopportabile dei cadaveri dilaniati dalla guerra. Così, freudianamente, la pulsione di vita si annulla nella pulsione di morte.
Nel ruolo di Alvaro, Jonas Kaufmann si dimostra molto più convicente rispetto al recente Manrico debuttato sempre a Monaco lo scorso luglio. Pure, si avverte una certa qual estraneità al personaggio, che viene affrontato in modo piuttosto prevedibile, e senza quel lavoro di scavo interpretativo cui il grande tenore ha dato prova in altri ruoli. Anja Harteros è dal punto di vista vocale piuttosto in difficoltà, ma si riscatta con una grande presenza scenica. Lo stesso si può dire per Ludovic Tézier, il cui canto da autentico declamatore si sposa però benissimo con l’interpretazione aggressiva del personaggio voluta da Kusej. Molto bravi Vitalij Kowaljow, nel doppio ruolo del Marchese di Calatrava e del Padre Guardiano, e Renato Girolami come Fra Melitone, e francamente pessima la Preziosilla di Nadia Krasteva. L’orchestra e il coro (eccellenti!) sono guidati piuttosto maluccio da Asher Fisch, in una direzione imprecisa e schizofrenica per tempi e sonorità.
DM