da giulia grisi » mer 03 ott 2007, 16:14
Piange e soffre Luisa al Festival Verdi di Parma, in quello che dovrebbe essere il tempio del canto verdiano, modello per gli altri teatri italiani ed esteri. E spiace, perché molte occasioni si sono perdute non certo per cause di forza maggiore, mancanza di mezzi o di voci, ma per l’assenza di una linea chiara che ispirasse la riproposizione di questo titolo.
Se non si ha nulla da dire, se non si ha una concezione stilistica precisa di ciò che si vuole allestire, non si và da nessuna parte, nemmeno nella routine, perché la routine odierna, a differenza di quella che si faceva sino ad una ventina d’anni fa, esula ormai anche dalle minime competenze in fatto di gusto, pertinenza stilistica appunto, fondamenti della tecnica di canto…..etc.
Parma allestisce Luisa Miller paga dell’aver messo in cartellone tre grandi nomi, forse il meglio che si possa trovare oggi sul mercato, ma non va oltre: dà loro una bacchetta di mestiere ma non certo di personalità, o che abbia la capacità di imporre una cifra personale di fronte a cotanti nomi ( talora nemmeno l’andare a tempo....), ed un regista che non vessa gli artisti con le note di regia, ma che mette insieme due o tre numeri dejà vue, di segno evidentemente contraddittorio sia per quanto attiene la scenografia, che i costumi. Del resto ciò basta a creare un successo da parte di un loggione felice di vedere i suoi beniamini, anche questi lasciano desiderare dal punto di vista vocale e musicale.
Attesa al riscatto dopo l’imbarazzante Norma di Barcellona e a dover dimostrare che la stagione che l’attende è alla sua portata, contrariamente all’opinione dei più, Fiorenza Cedolins si è presentata puntuale, con il ruolo depurato da taluni effettacci praticati in quel di Madrid due anni fa ( alludo, ad esempio, al Tu puniscimi o signor che veniva risolto ricorrendo troppo al registro di petto in zona grave….), cercando pulizia delle agilità, lirismi frequenti con smorzatore e piani, puntando, cioè, su una Luisa dimessa, lirica, intensa fin troppo ( proprio il Tu puniscimi o signor era veramente troppo sulla difensiva, perchè il momento è tragico..). Tutto ciò è stato di certo il lato migliore della serata, oltre che della prova della Cedolins, la sola che abbia esibito una linea di canto, o meglio, abbia tentato di avere una linea di canto vera, elegante e pertinente nell’accento. Se le si deve ammirazione per questo, resta il fatto che la voce è ridotta al lumicino, da soprano da Elisir d’amore più che da Aida e Trovatore ( !!! ), senza armonici, priva completamente della zona bassa e degli acuti estremi, che suonano ormai piccoli, fissi e talora veramente gridati. Ha evitato la dizione artefatta esibita altre volte, ha cercato di legare sul centro anche laddove tutto è diventato complicato, tanto che talora i suoni stanno nella bocca, un po’ arrotati in zona centrale. Insomma, ha cercato di cantare “ bello” e pulito, nella misura delle sue attuali condizioni vocali, col risultato che l’entrata ha lasciato tutti un po’ lì per la sorpresa data dalla magrezza del mezzo, gli staccati non facili; si è difesa al concertato primo; ha avuto scarsa drammaticità nella scena con Wurm, dove soltanto nella stretta finale c’è stato un il giusto peso specifico; maluccio il quartetto a cappella, con qualche stonacchiata in alto e si è difesa nel duetto col padre e nel finale del III atto, ove è arrivata molto stanca, cempennando anche alcuni staccati. Che dire alla fine? La Cedolins sa quel che si dovrebbe fare, ma le riesce soltanto in parte. E' sempre sorvegliata e tesa perchè tutto è innaturale, difficile; la voce non ha "il giro" e questo spiace agli ammiratori di un tempo. L'altra sera il futuro degli impegni è apparso spaventosamente sovradimensionato rispetto alle attuali capacità tecniche ed alle possibilità della voce.
Nucci ha cantato come sempre: capito che la serata girava maluccio, sul freddino andante, ha ben pensato di darci dentro nell’aria e di berciare, nel vero senso della parola, la cabaletta, memore del motto che per suscitare gli applausi si deve fare di tutto, “ anche calarsi le mutande !”. E così è stato: il cantare vociante paga l’orecchio del popolo, e che il baritono da Verdi debba fraseggiare legando e non ghermendo, smorzare e rinforzare i suoni invece di abbaiarli, tutti se ne sono dimenticati. Il fatto di essere al Festival di Verdi, poi, non importava a nessuno. Ottenuta l’ovazione che ha un po’ smosso le acque, il nostro simpatico baritono nonnetto si è placato, è ritornato ad un canto più quieto, con una voce che, a parte gli acuti estremi, è straordinariamente fresca ed invidiabile. Grande uomo di teatro Nucci, non c’è che dire. Peccato che ogni tanto non resista e si faccia tentare dal canto lupino e volgare.
Quanto ad Alvarez, ha fornito, insieme alla Franci ( che mai è stata contralto, e Dio sa che ci faceva a cantare Federica, che è ruolo serio e non da caratterista!!), una prova di vero malcanto, anche se con una voce di qualità. Ma cosa sia il canto, e cosa distingua il fatto di avere la dote dall’essere un cantante, questo tenore pare proprio non saperlo. La sua prova si può definire sinteticamente urla e falsetti, falsetti e urla. La sua “generosità” del “buttarla fuori” tutta, del cantare a squarciagola, con la mano sul cuore, non porta da nessuna parte. Il personaggio è sempre lo stesso, non diverso dal brutto Riccardo del recente Ballo parigino o dal Cavaradossi areniano. Passa il duetto d’entrata con Luisa, arrivano gli zittii per entrambi al duetto Federica-Rodolfo, regge di prepotenza la scena col padre. Nessuna nobiltà, un accento genericamente e banalmente irruente, che può anche andar bene, appunto nella scena di sfida a Walter ( sempre ammesso che anche lì si debba urlare… ), ma che disturba l’ascoltatore nel recitativo e nell’aria, straordinario momento di inventiva musicale che ha letteralmente distrutto. E qui ci si domanda se chi sta in buca, a Parma come a Parigi, non sappia o non possa moderare questo canto inconsulto, a squarciagola, acuti fatti con contrazioni di gola, singulti e penosi falsettini che vorrebbero sembrare pianissimi senza esserlo, per carenza di sostegno della voce. Mormoravano i vecchietti in palco con me l’altra sera, ed hanno anche mormorato all’indirizzo di un loggione che plaude in questo modo simili esibizioni. Rodolfo è nobile, romantico, estatico, e nell’aria ricorda con malinconia il momento più bello della sua vita: è mai possibile che urli??? Da lì in poi, sempre più stanco, Alvarez è andato verso la fine dell’opera, col fiato anche evidentemente corto nella scena finale con Luisa, vociando a vanvera, con gli acuti indietro e tutto quanto ne consegue.
E si!!! Si può proprio dire che a Parma, in questa Miller, chi voleva cantare come si dovrebbe non poteva, e chi poteva non ci ha provato quasi per nulla. E il maestro in buca qui che fa? Serve solo a battere il tempo? E la Direzione Artistica che fa? Come tutela le peculiarità del canto verdiano? E’ sufficiente questa ruotine dei più grani nomi del momento? Che idea si fa un giovane oggi di come si dovrebbe cantare Verdi? Da come applaudivano i ragazzi del loggione, si potrebbe ben dire che anche qui la tradizione del canto è perduta.