Ieri sera ho sentito due tenori. Il primo, di levatura storica. Il secondo, un cantante comunque eccellente, di quelli che ne nascono uno ogni dieci anni, ma molto piú ordinario, di certo non di livello storico.
Così il programma: nei Lieder Kaufmann è strepitoso. Un senso della parola unico (inutile seguire il testo: la dizione, l´accento è di una chiarezza adamantina. Non serviva davvero capire il tedesco per comprendere cosa stesse cantando), una miniera di colori, un´estrema attenzione al dettaglio senza perdere mai di vista la visione complessiva, ogni Lied diverso dall´altro, vocalmente una serie di miracoli in successione (certi attacchi in pianissimo anche nelle note più acute davvero prodigiosi). Questo è Kaufmann. Un genio assoluto del teatro musicale. Dichterliebe, Wesendonck, Lieder di Strauss: capolavori assoluti. Serata storica. Il pubblico, silenzioso, attento, partecipe, lo applaude caloroso.
Poi i bis, in cui il tenore si dimostra particolarmente generoso e -sia detto- un po´ ruffiano. Ma questo tenore è un altro tenore. Inutile nascondersi dietro un dito: qui siamo su un livello decisamente inferiore. Altissimo, ci mancherebbe altro (Kaufmann è pur sempre Kaufmann!): nessuno -oggi- saprebbe cantare Verdi così. Ma dal punto di vista interpretativo non dimostra neppure lontanamente quello scavo che aveva illuminato i Liede. L´aria di Alvaro (personaggio reso come il solito eroe maudit) si polverizza in una miniatura in cui si stenta a riconoscere una vera interpretazione. Dal punto di vista vocale non si può poi non avvertire una certa quale estraneitá al linguaggio vocalista verdiano. Lo ripeto: oggi come oggi, in Verdi, nessuno gli saprebbe stare alla pari (Alvarez, Giordani, Villazon, Fraccaro, Vargas...), ma -a confronto con il concerto di Lieder- si avvertiva davvero un gradino. A quanto pare però questo gradino l´hanno notato i soliti operadischini rompimaroni che amano fare le pulci al più grande tenore del momento
: il pubblico, a questi bis, è invece letteralmente impazzito! Scene di esaltazione prossime alla vera e propria antropofagia che mi era capitato di vedere solo con l´ultimo Domingo.
Kaufmann deve decidere cosa vuol fare da grande. Restare il grandissimo, raffinato, intelligente, geniale artista che potrebbe continuare ad essere e che gli garantirebbe un sicuro posto di riferimento nella storia dell´interpretazione. Oppure accettare un´aurea mediocritas, e tramutarsi nel tenore da loggione, idolo delle folle, che rischia di diventare (circa quest´ultimo scenario il Divino, tanto per cambiare, aveva ragione: lo riconosco e, umilmente, mi cospargo di cenere il capo
).