da stecca » sab 11 dic 2010, 10:52
Vienna: Un Ballo in maschera 8 dicembre 2010
Per la prima volta nella mia vita sono stato alla gloriosa Staatsoper di Vienna in occasione della prima di Un Ballo in Maschera ovvero di una delle mie opere preferite in assoluto anche se tutt’altro che facile da mettere in scena come Dio comanda trattandosi di quel Verdi della maturità tanto sublime quanto assai esigente nella vocal scrittura.
Non a caso la storia interpretativa del Ballo ha visto riuscire con il buco nel dopoguerra ben poche ciambelle e se i più grandi tenori si sono cimentati chi prima chi dopo (da Di Stefano a Pavarotti o da Bergonzi a Domingo fino a Carreras) nel memorabile ruolo di Riccardo alias Gustavo, cosiccome i più accreditati baritoni nel ruolo strappa-applausi di Renato (da Cappuccilli a Bruson fino a Nucci), il non meno bello ruolo di Amelia, eccezion fatta per la superba interpretazione di Leontyne Price, ha registrato alcuni illustri “intoppi” a cominciare da Maria Callas come sempre artista di straordinario spessore ma vocalista meno impeccabile nella celeberrima inaugurazione scaligera con Gavazzeni o da Renata Tebaldi verdiana doc giunta tuttavia troppo tardi alla registrazione Decca, senza contare altre superbe cantanti quali Leyla Gencer o Renata Scotto.
In estrema sintesi potremmo dire che per ritrovare le ultime Amelie degne di rilievo occorre risalire alla Caballé degli anni d’oro (sua l’ultima grande Amelia scaligera datata tuttavia 1975) oppure alla giovane Ricciarelli e penso al bellissimo DVD di Londra con Abbado anche lui datato pur sempre 1975.
Quanto al non meno importante ruolo della maga Ulrica notori sono gli scempi dispensati a man bassa negli ultimi anni ma qui potremmo cavarcela dicendo che le Uriche davvero azzeccate del dopo-guerra si contano sulle dita di una mano sola e fors’anco…monca.
Ecco perché, ad onta di una straordinaria bellezza musicale e di un riuscitissimo impianto teatrale, il Ballo in maschera è tra le opere di repertorio una delle più rischiose da mettere in cantiere e quindi cara grazia se negli attuali tempi grami se ne esce con le ossa intere.
A Vienna fanno musica ogni sera e da quel che ho potuto capire seppure in una sola serata tutti a cominciare dall’ultimo degli orchestrali per finire al meno rodato dei comprimari, conoscono a mena dito il mestiere, e garantiscono un livello medio che dovrebbe fare la differenza tra un grande Teatro di tradizione ed una velleitaria improvvisazione magari strombazzata da grancasse mediatiche, quindi la macchina risulta oliata a dovere e procede secondo copione e pertanto nessun problema ad allestire un ballo in maschera a giorni alterni tra un Elisir ed una Medea. Del resto questo Teatro ha visto ivi esibirsi i più grandi direttori ed i più grandi interpreti lirici mondiali ed il pubblico di Vienna è un pubblico più che preparato.
Dico questo per dire che la rappresentazione cui ho assistito, e che era la ennesima ripresa di un vecchissimo spettacolo assolutamente tradizionale di De Bosio non ha avuto nulla di memorabile, ma ci ha fatto godere appieno delle meraviglie di tale incredibile capolavoro verdiano e che quindi si è trattato di una serata perfettamente riuscita e giustamente premiata da un pubblico soddisfatto.
La solida direzione di Auguin non ha avuto nulla di "geniale" ma si è mostrata rispettosa dello spartito ed ha saputo cogliere, ed è questa a mio parere la cosa più importante in opere come il Ballo, il giusto ritmo e colore dell’opera, garantendone così la finale riuscita grazie anche ad una orchestra, eccezion fatta per i fiati talvolta un po’ troppo ingombranti, ed a un coro a prova di professionale bomba.
Meno felici, ed in tutti i sensi, le note provenienti da due membri del quintetto del cast riunito per l’occasione, e mi riferisco alla poco significativa Novikova nel pigolante ruolo di Oscar (ma la Grubrerova su disco rimane un lusso eccessivo) ed alla ibrida voce di tale Krasteva nella micidiale parte contraltile di Ulrica.
Il trio protagonista però ha funzionato a dovere e se il beniamino locale Ramon Vargas ormai definitivamente votato al repertorio verdiano e per il quale a mio parere non sempre mostra colore, accento e volume adatto (Alfredo ed il Duca vogliono voce diversa da Riccardo o Don Carlo), ha cantato senza sbavature e con punte di eccellenza nella non facile “è scherzo od è follia”, le note più liete sono arrivate dai due cantanti impegnati nei rispettivi ruoli di Renato e di Amelia.
Il baritono romeno Gorge Petean mi ha positivamente impressionato ed anche se ogni tanto mostra di avere particolarmente amato in gioventù più il sommo Cappuccilli del più raffinato Bruson ha saputo destreggiarsi con onore, cogliendo un personale e meritato successo al termine della nota romanza del terzo atto davvero suggestivamente eseguita.
Tengo per ultima la Amelia di Micaela Carosi cantante che non avevo mai sentito dal vivo e che era reduce da tantissime Aide in giro per il mondo inframmezzate da una recente Tosca italiana, e che in quel di Vienna aveva già cantato Butterfly e la Forza verdiana.
La voce è importante e notevole sia per volume, cosa che oggi come oggi non guasta visto che le cosiddette grandi voci di certo non abbondano, che per colore, che, soprattutto nel registro centrale, è indubbiamente verdiano nel senso più proprio e tradizionale del termine, e le sue note acute a piena voce, che coprivano nei concertati coro ed orchestra, mi hanno talvolta ricordato la mia compianta amica Dimitrova.
La Carosi mostra poi di cantare con sicurezza assoluta una parte tutt’altro che semplice e così sia la celebre entrata del primo atto segreta acerba cura che richiede micidiali scarti versi l’alto ed a freddo, sia la grande scena di inizio secondo vengono risolti con lodevole facilità, ivi compreso l’attacco scoperto del perfido Si della cadenza della grande romanza.
Se posso muovere un appunto ad una voce che ribadisco oggi avercene, checchè ne possano dire certi soloncini in servizio pernacchie permanente più innamorati di loro stessi che dei vecchi microsolchi che tanto vorrebbero ingenuamente riesumare, è quello di cantare sempre tutto in forte e di ridurre al minimo i fiati ed i rubati nelle parti più auliche che in Verdi non mancano, ed infatti la cosa che mi è piaciuta meno è stata la esecuzione della nota invocazione del 3 atto che non mi ha trasmesso quelle palpitazioni e quei languori che sapevano modulare i pianissimi, magari anche abusati, di una Caballé o di una Ricciarelli.
Ciò posto rimane il fatto che sentire una bella voce piena e ricca di armonici che nel grande duetto d’amore deve trattenersi per non sovrastare del tutto il tenore che in questo caso pareva talvolta un fragile Nemorino al suo cospetto, fa pur sempre bene, ed infatti il pubblico viennese alla fine ha tributato un giusto trionfo ai principali interpreti di questa bella serata che, e qui concludo, ha saputo soprattutto rispettare il grande Verdi, ed il fatto che questo succeda a Vienna e non a Parma o alla Scala (vd. recenti Aida e Don Carlo) la dice lunga…ahimè.
P.S. aggiungo e non per polemica o per gossip ma perchè è giusto che gli appassionati di lirica sappiano come vanno le cose che per avere osato dire in chat che ho torvato quella della Carosi una voce verdiana il mio ennesimo nick (che avevo dovuto ineventarmi per ivi scrivere) è stato immediatamente bannato da uno degli admin del blog della grisi.