Proviamo a fare un altro confronto di "classicissimi" per tenore.
In questo caso prendiamo un aria che tra le due guerre era divenuta un ossessione: bis di ogni concerto, jolly per ogni tenore alla ricerca di applausi facili. L'aria di Mylio del Roi d'Ys di Lalo.
Il gran successo di quest'aria in sala da concerto dipende forse dalla piacevolezza sdolcinata, apparentemente senza problemi.
Eppure a ben guardare non è poi così semplice.
Intanto ci sono quei due scomodissimi si bemolle pianissimo...
Come li si risolve?
La risposta più semplice (e avallata dalla cosiddetta "scuola francese") è il falsetto.
Ma il falsetto, lo sappiamo, se non è ben fatto, rischia il ridicolo il più delle volte.
Altri evitano il falsetto e risolvono uno dei due (alle volte il primo alle volte il secondo) tentando una smorzatura "in voce", che però è un exploit tecnico non da poco.
Altri ancora abbassano tutto di un tono.
Ma la difficoltà maggiore del brano, secondo me, è nel trovare l'accento giusto.
In realtà il personaggio di Mylio non è "leggero": il suo creatore fu il celebre Talazac, già primo Des Grieux, primo Gérald della Lakmé e primo Hoffman, tutti personaggi di virilità e impeto superiori a quello che normalmente si richiedeva all'Opéra Comique.
L'opera è di argomento eroico e lui è un cavaliere, un guerriero.
Questa Aubade si staglia dunque come un'oasi di leggerezza rispetto al complesso della parte.
Inoltre non si tratta (come molti credono) del solito canto d'amore alla finestra dell'amata: è un gioco, che fa parte del cerimoniale che precede le nozze di Milyo e Rozanne. Secondo il rituale castellano, gli amici dello sposo, come in un addio al celibato, devono fare la corte alle amiche della sposa, scimmiottando le eterne schermaglie fra i sessi.
E' a questo punto che interviene il cavaliere, rivolgendo alle ragazze la sua "aubade".
L'elemento scherzoso, insomma, dovrebbe prevalere su quello sentimentale; lo dico perché gli interpreti che esagerano in rallentamenti e piagnistei (adeguandosi all'apparente candore lirico dell'aria) ne tradiscono facilmente lo spirito.
Comunque ecco il testo.
Puisqu’on ne peut fléchir ces jalouses gardiennes,
Ah! laissez-moi conter mes peines ... et mon émoi.
Vainement, ma bien-aimée!
On croit me désespérer;
Près de ta porte fermée
Je veux encore demeurer.
Les soleils pourront s’étendre.
Les nuits remplacer les jours.
Sans t’accuser et sans me plaindre
Là, je resterai toujours.
Je le sais, ton âme est douce,
Et l’heure bientôt viendra
Où la main qui me repousse
Vers la mienne se tendra.
Ne sois pas trop tardive
A te laisser attendrir,
Si Rozenn bientôt n’arrive,
Je vais, hélas! mourir.
Su Youtube si trovano decine di interpretazioni diverse.
Io partirei con questo tenore americano che pochi ricordano (forse di più quelli della mia età), ossia Robert Swensen, che per alcuni anni si è fatto apprezzare nel repertorio mozartiano.
Anche se il vocalismo è molto forbito (e i si bemolle smorzati a regola d'arte), conserva degli americani il segreto del colore!
E questo rende il suo canto più carnale e appassionato.
Anche se a non tutti piaceranno i suoi falsettini striminzitissimi, a me convince in pieno questo tenore francese degli anni 50, Herny Legay (fra l'altro il Des Grieux della mia prima Manon in LP con la de Los Angeles).
Il respiro scanzonato, a tratta un po' femmineo ma mobile e francesissimo, mi sembra irresistibile.
Lui sì che sa di cosa parla l'aria e cosa dovrebbe descrivere...
Sarà anche perché è diretto da un gigante come André Cluytens.
Agli amanti di voci storiche, risparmierò Fleta (sbrodolosissimo) e l'oltraggioso Gigli (che fa cariare i denti).
Vorrei al contrario proporvi una delle mie recenti passioni: Devries David, leggenda dell'Opéra Cominque, creatore di innumerevoli ruoli (fra cui Paco della Vida Breve), che ci consegna un'esecuzione stupefacente, secondo me addirittura definitiva per comprensione del momento teatrale e poesia.
La sua leggerezza ha un qualcosa di discreto, di nobile, da cavaliere medievale, quasi imbarazzato di dover giostrare con le fanciulle.
L'accento è netto ma senza affettazione e i si bemolle filati a regola d'arte.
Non certo a questi livelli, però mi pare che Florez si disimpegni con più fantasia del solito, soprattutto nella seconda parte.
Aiutato dall'accompagnamento pianistico e dal clima del concerto, lui pare smarrire completamente il senso teatrale del brano.
Dopo poche battute si rifugia in clima cullante e sfumato, di sogno adolescenziale, eppure l'effetto (avulso dal contesto) è notevole.
La seconda strofa in particolare, ricca di rubati, ha una delicatezza che commuove.
Poi, d'accordo, i si bemolle non sono affatto perfetti (ah... la dinamica in acuto! Suo eterno tallone d'Achille!).
Attendo le vostre opinioni.
Salutoni,
Mat