VICENZA 2012
Mercoledì scorso ho ricevuto da un'amica l'invito ad assistere al Ratto dal Serraglio in programma nelle settimane dell'Olimpico.
Ci sono andato con entusiasmo, un po' per ascoltare per la prima volta un'opera nel contesto palladiano (ebbene sì, non c'ero mai stato), un po' per rivedere un caro amico come Titta Rigon, anima del festival e direttore dello spettacolo, un po' perché il Ratto è un'opera che ho visto poche volte, direi tre in tutto, e senza mai ricavarne grosse emozioni.
La prima volta fu in uno spettacolo bolognese del 1986: vi si riprendeva il glorioso (e già vecchiotto) allestimento salisburghese di Strehler; dirigeva il giovanissimo Thielemann (se io avevo sedici anni, anche lui doveva essere un ragazzino). Nel cast ricordo solo il Pedrillo di William Matteuzzi.
Quattro anni dopo (luglio del 1990) vidi un altro Ratto, non più stimolante, a Aix-en-Provence.
L'allestimento, carino e basta, era di Lavelli (nome allora amatissimo dai francesi, che però mi deluse anche in altre occasioni). Tra i cantanti ricordo solo Susan Patterson e Jakko Rhyanenen, entrambi non troppo in parte.
Perché vedessi un altro Ratto dovettero passare altri dodici anni: 2002, alla Pergola di Firenze, e anche in questo caso fu più la noia che il divertimento.
L'accoppiata Mehta-Gramss fu generalmente deleteria; il cast brillava solo per la Blondchen di Patrizia Ciofi. Come Osmin io credevo di aver sentito Rydl, ma amici con memoria migliore di me insistono che fosse Kristinsson... e questo dimostra quanto l'iterprete (chiunque fosse) mi avesse colpito.
La Mei fu come al solito insipida in Kostanze, mentre Trost in questo repertorio non ha molto da dire (mentre in Strauss e Henze mi parve, dieci anni dopo, fantastico).
Essendo da allora trascorsi altri dieci anni, ero contento di aggiungere un nuovo Ratto alla mia galleria, ma a onor del giusto... ciò a cui ho assistito a Vicenza non dovrebbe essere inserito nella lista, trattandosi proprio di un'opera diversa.
Sapevo che non si sarebbe tratto dell'Entführung aus dem Serail bensì del Ratto dal Serraglio, in Italiano, ma pensavo che si sarebbe trattato di un recupero della vecchia traduzione ritmica che anche la Callas affrontò alla Scala nel '52 (quella di "Tutte le torture" che tante cantanti nostrane hanno affrontato).
E già così l'operazione mi sembrava interessante.
Ma in realtà Rigon è andato a pescare un'edizione che del Ratto è piuttosto una geniale, pazzoide, complessa e affascinante riduzione: un pastiche talmente fantasioso e personale da doversi considerare come un qualcosa di diverso.
Nelle sue appassionate ricerche, Rigon ha infatti scoperto che Pietro Lichtenthal, grande divulgatore-dilettante di Mozart ai primi dell'800, nonché amico personale di Carl Thomas Mozart (figlio di tanto padre), tentò di far eseguire il Ratto alla Scala, nel 1838.
Solo che, per farlo, dovette approntare un'edizione che si adattasse alle consuetudini operistiche del teatro milanese.
E quindi la traduzione in italiano è il meno....
Ci sono infatti i recitativi, tutti musicati secondo un'estetica da Fratelli Ricci, che creano uno stridore espressionistico rispetto al resto.
Poi c'è la questione di Pacha Selim, che non può più essere un attore, e che pertanto passa a un basso profondo (come si conviene a un personaggio simile).
Il povero Osmin, per distinguersi da lui, non potrà essere un basso profondo a sua volta (come nell'orginale) ma dovrà trasformarsi in buffo....
Tanto che al celebre "Ha, wie will ich triumphieren" (che qui diventa la cabaletta -!!!- di un duetto fra i due bassi) chi tiene la linea bassa è Selim e non Osmin.
Niente da soprendersi, infine, che il finale sia affidato a un grande assolo di Kostanze, quasi il rondò di una primadonna rossiniana.
Ma siamo ancora all'inzio...
Tutta la struttura dell'opera, la distribuzione delle parti, l'organizzazione narrativa è abilmente e completamente stravolta. Si è talmente stupefatti da ciò che si sente, che non ci si sorprende nemmeno più che sul più bello (in perfetta coerenza col principio "divulgatore" di Lichtenthal) saltino fuori temi del Don Giovanni, del Flauto Magico e persino - per celebrare l'ingresso di Selim - la Marcia Turca.
Nel complesso un ascolto stimolantissimo, che ci illumina sulle convenzione drammaturgico-musica dell'epoca e soprattutto ci mette sotto gli occhi il cozzare strutturale e poetico di forme lontane fra loro non solo esteticamente, ma anche geograficamente e storicamente: il Singspiel e l'opera italiana semiseria di età donizettiana.
Queste operazioni storico-culturali siamo condannati a vederle in teatri piccoli e vivaci come quello di Vicenza.
Forse perché lì al timone sono messe persone che amano l'opera più del partito di appartenenza.
Sulla parte "esecutiva" (essendo ospite) non ho il diritto di pronunciarmi. Dico solo che il clima avventuroso, giovane e un po' garibaldino che si respira all'Olimpico fa parte del divertimento e che - anche se alcuni cantanti scontano la loro scarsa esperienza - non sono mancati esempi di interessanti potenzialità.
Salutoni,
mat