Dirò la mia.
La sorpresa maggiore arriva da Albrecht. E' l'esempio lampante di quello che su questo forum sosteniamo quando invochiamo un nuovo corso del teatro straussiano. Certo, il suono non è bellone come con i grandi straussiani del secolo scorso (e le caramellose fotocopie di oggi), ma l'ordito orchestrale, i temi (che sono tanti quanto quelli wagneriani ma difficilissimi da stanare perchè costituiti a volte di piccole cellule ritmiche), le stratificazioni dei colori, i numerosi attimi di musica da camera (l'apertura del II atto è esemplare) sono resi con uno straordinario virtuosismo.
Poi, siamo d'accordo, se qualcuno si ferma alla cornice e da Strauss pretende "le opalescenti e cristalline cascate di suoni" (l'ho letta, giuro) allora Albrecht sarà l'ultimo degli orrori.
Guth. Forse la mia aspettativa era troppo alta. Vi dirò la verita: si tratta di un ottimo spettacolo che però mi è parso un po' vecchio. Il konzept era chiarissimo, Guth stava sul pezzo,i simboli mi sono apparsi perfettamente decifrabili, ma non ho sentito, non so come dire, quel colpo di reni che Guth mi ha comunicato in Ariadne o, ancor più, nei due capolavori che sono Don Giovanni e Tristano. Secondo me affidare a un regista geniale -ma comunque nato e cresciuto tra i dramaturgen di Francoforte e quindi propenso a narrare per simboli- un opera così intricata a livello simbolico come la Frau significa correre il rischio di farne una faccenda esclusivamente seria privandola di quell'aspetto suggestivo e fiabesco che comunque sia Strauss che Hoffmanstahl si sono dannati l'anima per preservare. Insomma, è uno spettacolo che mi è piaciuto, ma non mi sono emozionato.
Cast.
Magee. Non ci siamo. Mi dispiace andare contro a tutti gli entusiasmi, e forse sbaglio, ma la soprano americana è il classico esempio di miscasting. Per cantare la parte dell'Imperatrice (e quasi i quattro quinti dei ruoli sopranili di Strauss) occorre padroneggiare alla perfezione la zona fa-reb-re naturale della tessitura. Non basta avere queste note. Occorre che la cantante in questa zona ci si trovi a proprio agio, sia la zona in cui la voce corre meglio, non mostri il minimo sforzo e la minima frattura. Ora, la Magee, che è brava e volonterosa, arriva sicura si e no al sol naturale. Da lì in su le note ci sono ma forzate, gli acuti sono presi con la rincorsa, l'articolazione della parola si perde nello sforzo di tenere l'intonazione. Ed è la stessa cosa che succede -con risultati peggiori, lo ammetto- sia alla Pieczonka che alla Schwanenmills e a tante altre straussiane di oggi. Siamo alle solite. Gli addetti al casting dicono "è Strauss, allora ci vuole il vocione così come ci vuole il direttorone che dirige l'orchestrona. Bisogna che le voci passino". E non si rendono conto che il vero nemico della voce di soprano non sono nè gli archi nè gli ottoni nè le percussioni, ma i legni. Che guardacaso Strauss -non così sprovveduto in fatto di orchestrazione- usa con estrema parsimonia quando cantano i suoi soprani. (al contrario di Mozart
) Ciò non toglie che la Magee almeno capisca il personaggio e, per il rotto della cuffia, lo mantenga a galla.
Per Botha vale lo stesso principio. L'Imperatore è un eroe e quindi ci vuole il tenorone macinatristani. E invece la parte spinge un buona terza sopra rispetto a quella richiesta agli heldentenor wagneriani. E così l'entrata e il finale (sebbene sonore e potenti) erano a un pelo dalla rottura. L'aria del falco -più centrale, con sprofondi quasi baritonali- è andata meglio.
Pankratova. Già sentita nella parte qui non è che sia andata meglio. Il volume è impressionante ma io ho nelle orecchie quel cataclisma teatrale, quel totem immenso e magnetico che si chiama Evelyn Herlitzius ed è... come paragonare il Canio di Caruso con quello di Bonisolli.
Mi è piaciuta molto la Schuster. E' la terza volta che la sento dal vivo e ogni volta migliora. Certo, la sua Nutrice è quella instradata sull'onde della cattiva da cabaret berlinese, tutta espressionismo e Caligari, ma funziona e, nel terz'atto, sbaraglia.
Struckmann mi ha dimostrato come sia ingrato il ruolo di Barak. O hai una personalità immensa oppure finisci vampirizzato dagli altri componenti della banda. Vi dico la verità, non so esprimere un giudizio che abbia un senso perchè me lo ricordo poco.
Detto questo non sarà stata la Frau dei miei sogni (e forse sono un po' severo, ma da spettatore pagante posso permettermelo) però me la sono gustata dalla prima nota all'ultima. E' una delle poche opere -a prescindere da come sia allestita- che per me ha funzioni catartiche.
Qual'è la Frau dei miei sogni e forse delle mie libidini?
Damrau, Herlitzius, Finley, Denoke, Yongoon-Lee, Los Angeles Philharmoniker, Salonen e regia di Jones.
WSM