Maria Chiara ha scritto:E vocalmente deve avere la tecnica (qualunque sia,d'accordo: SOLO IL RISULTATO CONTA) e per sostenere certe tessiture acutissime ( Rigoletto,il Conte di Luna,Renato) e per " reggere" certe grandi frasi della scrittura,che so,di Nabucco,di Simone,di Carlo V senza boccheggiare dopo dieci secondi.
ehehehe... carissima, che dire?
mi commuove che ti adatti a concedere che la tecnica possa essere una "qualunque, solo il risultato conta"
Ma non riesco a prenderlo come un omaggio alle mie idee!
Se il risultato di cui parli è conseguire "certi suoni" (quelli che a te piacciono, quelli a cui sei abituata, quelli che ritieni giusti) allora la tecnica vocale non potrà essere "qualunque"!
Il problema si pone se qualcuno non considera affatto un risultato in Verdi un approccio come quello che tu ami, quello alla De Luca o Galeffi!
O se ritiene che quelle che tu ci esponi come caratteristiche del baritono Verdiano non siano in realtà che l'immagine del lungo scempio operato, nel corso del 900, su questi personaggi meravigliosi!
Io ho ascoltato Verdi per tutta la vita, non mi stancherò mai di adorarlo, eppure mi sono sempre annoiato con i personaggi baritonali.
I tenori e i soprani (e penso valga per tutti) attiravano tutta la mia attenzione.
Al contrario mi riconoscevo nella battuta di Shaw per cui il baritono non sarebbe altri che quello che non vuole che il tenore si porti a letto il soprano.
Eppure quando mi sono trovato a riflettere davvero sui baritoni verdiani, ho capito che il problema non stava in loro - che anzi sono forse i veri protagonisti della poetica verdiana - ma nel modo con cui me li si propinava.
Partiamo dalla vocalità.
Per noi il baritono "verdiano" è praticamente un basso un po' più acuto. La voce è scura, il baricentro è grave.
Poi ci affanniamo a dire, come fai tu, che "le tessiture sono acutissime".
Ma non è vero! Che ragione aveva Verdi di far strangolare i suoi cantanti imponendo loro tessiture acutissime...
Lui scriveva per loro!
Se ci sembrano acutissime, è solo perché sono state pensate per voci molto più acute di quelle che, da un secolo, piazziamo in questo repertorio.
La verità è che il baritono verdiano dovrebbe essere ...un tenore un po' più grave dell'altro.
Il baritono verdiano deriva dal baritono donizettiano (ronconiano), tipologia vocale che per anni abbiamo ritenuto ...nata dal nulla, improvvisamente, dopo che per secoli se ne era fatto bellamente a meno.
Chi si occupa di storia della vocalità, però, sa che nessuna tipologia vocale, ma proprio nessuna, nasce dal nulla.
Persino i più stravaganti compositori novecenteschi forgiano i loro personaggi su tipologie vocali esistenti e fissate da secoli di tradizione.
Allo stesso modo il baritono romantico non è un fungo ma deriva dal baritenore proto-romantico.
E' praticamente il baritenore privato del falsetto, del quale non solo mantiene le caratteristiche vocali (ovviamente soppressa una buona quinta in acuto) ma soprattutto le funzioni drammaturgiche, la sua contrapposizione col tenore acuto.
Nell'opera pre- e proto-romantica il tenore acuto (poi rubiniano) evoca il sentimento, mentre quello baritonale l'eroismo; il primo si eleva alla spiritualità, quello baritonale scende alla carne e alla materia.
Enorme poi è la differenza etica: il tenore acuto incarna il bene, la virtù (donde anche una certa fissità simbolica, scarsa psicologia), mentre quello baritonale si oppone, si ribella, urla la sua rabbia, rantola nella sua sconfitta.
Insomma, il tenore acuto (rubiniano) profuma di incenso; quello baritonale (Nozzari, ma più ancora Nourrit, Garcia, Donzelli) puzza di zolfo.
Che c'è di diverso rispetto al successivo dualismo fra tenore e baritono in Donizetti e Verdi?
Assolutamente niente... l'uno è la continuazione dell'altro!
L'unica differenza, come abbiamo detto, è che, dopo il 1835, il falsetto non c'è più.
Questa filiazione ci può aiutare a capire che tipo di voce dovrebbe avere il baritono verdiano.
E anche quale"significato" drammaturgico ricoprire.
Una vocalità "tenorile" non solo valorizzerebbe finalmente la musica di Verdi (senza che dobbiamo affannarci a dire che le tessiture sono "acutissime") ma svelerebbe quel lato più giovane, ardimentoso e chiaro che i baritononi "classici" (come dici tu) celano dietro le loro pose epiche e signorili, con la mano sul cuore.
E ancora emergerebbe quel senso di passione guerriera e fallimento blasfemo che già caratterizzava gli Idomeneo e i Mitridate, i Pirro e gli Agorante, gli Achille di Paer, i Pollione di Bellini, i Don Ruiz di Donizetti.
Più che il discorso vocale, è il discorso poetico che mi affascina.
I baritenori pre-romantici (pensa a un Garcia, ma anche a un Nourrit) erano sulfurei! Essi incarnavano il grido di un'epoca, il crollo di un mondo, la paura del nuovo dell'Ancième Regime! Altro che "ampollosi e magniloquenti"...
Quest'ultimo aspetto è soprattutto vero per Verdi, la cui opera è espressione delle più accese inquietudini romantiche: tutto in Verdi si risolve in agitazione, rivolta, nevrosi ... non a caso il baritono (proprio per queste radici) è il registro a cui affida i suoi personaggi più agitati e moderni.
Il tenore è molto meno dinamico e forse ...meno verdiano: ha troppe responsabilità etiche, vocazioni spirituali.
E' vero che ogni tanto anche il tenore si ribella; si fa bandito e urla la sua rabbia (e guarda caso sono i ruoli "più baritonali" che Verdi abbia scritto per questa corda).
Ma in genere vogliamo paragonare la complessità, la mobilità, l'ironia di Re Carlo rispetto a Ernani? O le contraddizioni morali e sentimentali di un Conte di Luna rispetto alla prevedibilità di Manrico? O l'umanità più spiccia, strafottente, alle volte infantile di Carlo di Vargas rispetto alla continua (quella sì ampollosa) lamentosità di Alvaro?
Verdi è il più acceso e insurrezionale dei compositori operistici, è il baritono è proprio colui su cui può elaborare tutti quegli aspetti che rendono così composita e indecifrabile l'umanità, nel bene come nel male.
Altro che il caricaturale deuteragonista solenne e austero "con una mano sul cuore e l'altra sull'elsa ", come molto brillantemente hai scritto.
Non si potrebbe (ahimé) descrivere meglio di come hai fatto tu il tradimento che per un secolo abbiamo perpetrato su questi personaggi.
Maria Chiara ha scritto:E allora,vediamo un po' come sarebbe questo baritono verdiano.
L'unico personaggio baritonale che si stacca dagli altri e vive di luce assolutamente propria e particolare e' il povero Rigoletto,proprio il piu' tremendamente bello e difficile da cantare e interpretare.Gli altri sono Re ( barbari e no),Grandi di Spagna,Dogi, fieri nobiluomini,con la eccezione di un paio di figure grasso-grosso borghesi,come Germont e il vecchio Miller.
L'accento aulico,la fierezza,la dignita' di comportamento sono loro "must", e anche lo stesso Buffone e' una creatura di Victor Hugo e quindi quel tanto di magniloquenza e quel tanto di ampollosita' e di roboanza sono cose che gli appartengono.
Sono lontani dal vilain del Verismo: solo Jago,e in genere per demerito di chi lo interpreta,gli si puo' avvicinare anche sensibilmente.Quindi, diciamolo,la raffigurazione classica del baritono con la mano sinistra sul cuore e la destra sull'elsa della spada dovrebbe avere una credibilita' teatrale e storica superiore a quella degli azzimati giovanetti mozartiani di cui parlava Matt a proposito del Posa di Hampson.
Ecco... la tua analisi descrive bene non tanto ciò che è o dovrebbe essere il baritono verdiano, ma come lo abbiamo trasformato.
Inutile dire che, se andiamo un attimo a guardare spartiti e libretti, le cose stanno in modo ben diverso.
Si fa presto a evocare lo statuto sociale di un personaggio (Re, grandi di Spagna, Dogi...) e pretendere, per conseguenza, che esso posi a nobiluomo da favoline cappa e spada.
Se però si va a guardare, si scopre che, ad esempio, uno dei due Dogi che hai citato è un vecchio novantenne, compromesso, calpestato, irriso e insultato persino quando riesce a trovare la forza di ruggire! L'altro poi (Boccanegra) è un pirata, un popolano portato al potere a suon di cazzotti da una sommossa delle plebi!
Come non aspettarsi da un tipo del genere se non toni eleganti e aristocratici?
Si fa presto a dire che il Re Carlo dell'Ernani è un sovrano... sì, lo è!
E' un sovrano che se la fa con i banditi e va nottetempo a molestare le mogli dei suoi vassalli! Per fortuna che, avendo una mano sul cuore e una sull'elsa, non ne ha una terza per palpare il culo di Elvira!
Si fa presto a dire che Don Carlo di Vargas è figlio di un grande di Spagna... certo, ma è anche uno studente fuori corso, ventenne rissoso che bazzica le osterie in piena notte (e un'osteria in piena notte è proprio il posto dove mi aspetterei di incontrare un Galeffi o un Tagliabue che fanno a gare di mezzevoci).
Si fa presto a dire che Germont è un grosso-grasso borghese, certo... eppure è anche uno che sa come trattare le Lorettes del Demi-monde (forse le frequentava anche lui?) e dove trovarle. Forse se lo affidassimo a gente meno grasso-grossa di quelli che piacciono a te ci accorgeremmo che non è affatto grasso-grosso come credevamo!
Keenlyside, ti assicuro, non era nè grasso, nè grosso.
E il conte di Luna?
Certo... un nobile... ma è anche un ventenne dal sangue caldo, che si porta dietro le truppe andando in piena notte al verone della sua bella (come non immaginarsi un De Luca in calzamaglia a fare le stesse prodezze?), si batte con un ricercato, bestemmia, mescola interessi di stato con interessi privati ("abuso forse quel poter che pieno in me commise il prence") e si nasconde all'ingresso di un convento per rapire una suora!
Sinceramente io un tipo "aulico e dignitoso" come questo, avrei paura a incontrarlo di notte in una strada isolata!
Il colmo è quando leggo che Rigoletto (essendo tratto da Hugo!!) dovrebbe esibire toni "ampollosi e magniloquenti"!
Ma certo! Ovvio! Ampolloso e magniloquente è la prima cosa che Hugo e Verdi hanno pensato quando hanno deciso di dedicare le loro fatiche a un popolano deforme e squattrinato che per vivere fa il buffone!
Mi sembra di sognare! Eppure (la tristezza è questa) Maria Chiara ha ragione...
E' esattamente in questo modo che da decenni sopportiamo di veder massacrati i più entusiasmanti personaggi verdiani.
E' interessante chiederci ci siamo arrivati?
Quali sono state le tappe di un simile tradimento?
Il primo colpo l'ha inferto, secondo me, l'evoluzione della voce del tenore all'alba del ventesimo secolo.
Per quasi tutto l '800 il tenore era stato la voce dell'altezza (in senso vocale e in senso etico).
A lui spettava l'amore sentimentale, mentre l'amore fisico (e la sua rabbiosa carnalità) era del baritono.
Quando però la distinzione fra amore spirituale e amore carnale è venuta meno (con la fine delle poetiche romantiche), allora il tenore ha cominciato a rivendicare un po' di "carne" anche per sè.
Già la rivoluzione wagneriana ha imposto un tipo di tenore più scuro, centralizzante, baritonale; avvallato dai successivi realismi e verismi, il nuovo tenore "drammatico" (così venne chiamato) si impossessò di molte caratteristiche - anche vocali - che prima erano state del baritono.
A questo punto il problema era... come distinguere il "nuovo tenore" dal baritono, nelle vecchie opere in cui entrambe le figure erano presenti...
"baritonalizzandosi" il tenore, il baritono doveva scendere a sua volta... assomigliare timbricamente ai bassi, diventare più scuro come timbro e più grave come baricentro. In pratica assimilarsi al vecchio "basso cantante" di scuola italiana o al nuovo "bass-baritono" di marca wagneriana.
Ma mentre i nuovi personaggi (Scarpia ad esempio) furono forgiati sulle nuove caratteristiche, quelli vecchi (tutti quelli Verdiani) furono traditi da voci inadatte, completamente prive di quell'antica e indispensabile radice "tenorile".
Senza i bagliori, lo slancio, il suono quasi tenorile... i baritoni verdiani hanno perso la gioventù, l'ardore, la rivolta che li caratterizzava.
Inoltre, come i tenori "drammatici" hanno cominciato a strangolarsi per sostenere la scrittura verdiana, così anche i baritono hanno cominciato a impiastricciare e tendere le loro parti. In tutto il '900 non c'è nessuno che abbia eseguito il sol naturale del Balen con il pianissimo richiesto.
Fa eccezione solo Fischer Dieskau (sia pure con uno smunto falsettino) proprio nel brano che Maria Chiara ci ha proposto.
Naturalmente nemmeno Galeffi faceva il sol filato (troppo acuto anche per lui, come per tutti).
E all'ampollosità? Come ci siamo arrivati?
In parte come conseguenza dell'oscuramento dei personaggi (e conseguente invecchiamento).
Ma in parte anche allo specifico contributo dei baritoni "eleganti" che tanto piacciono a Maria Chiara.
Da questo punto di vista conviene premettere che non tutti i baritoni verdiani novecenteschi sono stati "Grand Seigneur". Ci sono stati anche i declamatori.
Fin dalla contrapposizione Battistini-Ruffo le scuole si sono diversificate.
L'applicazione del declamato alla scrittura verdiana nasceva, forse, da buone intenzioni. L'intento era quello di valorizzare il potenziale di modernità e forza di questi personaggi coi mezzi che il nuovo stile di canto metteva a disposizione (e che tqnto bene funzionava in Wagner e nei nuovi repertori).
Purtroppo però gli strumenti del declamato non possono dar conto decentemente di una scrittura le cui radici sono antiche e belcantistiche.
Anche per questo i verdiani declamatori sono spesso stati avversati (la famosa "scuola del muggito" denunciata da Celletti buonanima).
Il problema è che i"Grand Seigneurs" da Belle Epoque (dall'icona battistiniana, a De Luca, Amato, Galeffi, giù giù fino a Bruson) hanno fatto anche peggio..
Seppure più lineari e corretti nell'emissione, in termini teatrali e musicali finirono per azzerare il senso stesso di questi grandi anti-eroi romantici.
Con la stessa superficialità con cui allora si trattava tutto il repertorio sentito come "vecchio", essi posero il baritono verdiano su piedistalli, come bozzetti ridicoli che nulla hanno a che spartire con ciò che Maria Chiara definisce "credibilità teatrale e storica"...
Oggi, per fortuna, non esistono più i verdiani "grand Seigneurs".
Il pubblico li ha praticamente aboliti almeno dai tempi di Bruson.
Sopravvivono invece i declamatori, che dominano le produzioni Verdiane. Io ormai non li sopporto più.
Sono d'accordo che gente come Lucic, Ddobber, Alvarez meritano stima e rispetto, ma in Verdi non sono più disposto a sopportarli.
Qualcuno ricorderà che qualche anno fa, avevo augurato a un sommo baritenore come Bruce Ford di concludere la sua carriera buttandosi su Torquato Tasso, Belisario e Nabucco, in modo da dimostrare scientificamente la radice tenorile del baritono romantico.
Non mi ha ascoltato!
Ha preferito uscire di scena come tutti con malinconiche e periferiche repliche dei suoi vecchi successi. Peggio per lui!
Nell'attesa che qualche tenore capisca che c'è più soddisfazione a cantare benissimo Don CArlo che a strillare Alvaro, sono felicissimo di accogliere in Verdi i baritoni coloristi e la loro "rivoluzione" (sì, Maria Chiara... stiamo parando di una vera rivoluzione! Dopo un Macbeth come quello di Hampson - forse il più completo e perfetto che sia attestato - non si torna ai Taddei o ai McNeal!).
Se non altro i baritono coloristi sono acuti come estensione, chiari come timbro, multiformi come tecnica e, quel che più conta, talmente energici, carismatici e moderni da assurgere a veri protagonisti, come è giusto che sia, dato che è proprio il baritono il protagonista delle opere di Verdi.
Salutoni,
Mat