Caro Rodrigo,
grazie come sempre delle brillanti contro-proposte.
Proverò a rispondere, nei limiti delle mie opinioni, e chiedo scusa in anticipo se quello che scriverò sembrerà fuori tema...
Ma secondo me qui è in gioco tutto il pensiero politico verdiano.
Partiamo dalla prima obiezione di Rodrigo.
Tu dici: se Carlo V fosse davvero l'esaltazione degli Asburgo, allora Ernani rischierebbe di sembrare un soggetto "reazionario" (filo austriaco e pertanto anti-italiano). Mentre in realtà era un soggetto audace e antimonarchico.
Già, ma tu non consideri, Rodrigo, che nell'Ernani i soggetti in campo non sono due (i sudditi e la monarchia), bensì tre:
i sudditi, la monarchia e l'impero.
Ernani è effettivamente (come tu affermi) un manifesto liberale perchè mette sotto accusa la monarchia.
Ma ad essa non contrappone, che so, una repubblica! No... contrappone l'impero, come simbolo universalistico di un potere sovra-statale, sovra-nazionale, grandiosa utopia di unione di popoli differenti all'ombra del messaggio cristiano.
Io non ho mai detto che Hugo, Piave e Verdi volessero esaltare la monarchia di Carlo V in Spagna! Tutt'altro!
la presentano come una cosa ignominiosa.
Ho detto piuttosto - e sfido chiunque a dire il contrario - che, nel criticare la monarchia (e dunque gli Asburgo) essi esaltano quel che c'è sopra.
O tu, in Ernani, vedi una critica anche al Sacro Romano Impero?
Be' se quella è una critica, vorrei riceverne anche io!
Rodrigo ha scritto:1) Se Verdi avesse veramente visto in Carlo V l'incanazione della più alta epopea politica immaginabile Ernani diventerebbe, per assurdo, l'opera legittimistica per eccellenza.
Certo, se vediamo in Carlo V unicamente un rappresentante della casa arciducale d'Austria.
Ma non è così. Lo è solo nella prima parte dell'opera...
Politcamente parlando, nell'opera non c'è un solo Carlo: ce ne sono due.
Il primo (Carlo PRIMO di Spagna) non ha altri meriti se non quello di essere l'erede della propria famiglia: è espressione di un potere monarchico assolutista (a cui Ernani si oppone e che Verdi descrive come tirannico e vessatorio).
Il suo è un potere circoscritto a uno stato; vi grava e vi si impone dall'alto.
Questo potere nell'opera è messo sotto accusa.
Il secondo si chiama invece Carlo QUINTO; non governa uno stato, ma un insieme di Stati: non è più un monarca, ma una sintesi di popoli e di culture.
Non accede al potere per investitura divina (ossia per discendenze, matrimoni o guerre) ma in seguito a nomina elettiva.
Rappresenta, questo secondo Carlo, non la frammentarietà aggressiva e tirannica del potere "monarchico", ma l'unità trascendente di un principio politico sublime (per Verdi) e assoluto, che compone le differenze e i contrasti d'Europa in una gigantesca, grandiosa, entusiasmante sintesi cristiana.
Ecco perché il personaggio si trasforma anche psicologicamente in modo così grandioso e radicale sotto ai nostri occhi.
Perché ad Aquisgrana muore il Re Asburgico e nasce l'Imperatore Cristiano.
Le parole che Piave mette in bocca a CArlo (quinto e non più primo) sono straordinarie e uniche in tutto il corpus verdiano.
"ora chiamato sono
al più sublime trono; della virtù com'aquila sui vanni m'alzerò e vincitor dei secoli (!) il nome mio farò"
Quando mai in un'opera verdiana un istituto politico era stato esaltato con la stessa enfasi con cui qui si esalta l'impero?
MAI
Riflettici bene, Rodrigo.
Verdi e i suoi librettisti non hanno mai alzato panegirici a nessun tipo di Stato: anche nei suoi testi più "patriottici", Verdi si era limitato ad esaltare l'anelito di riscatto degli Italiani, il loro diritto a liberarsi delle oppressioni straniere, ma non c'è una volta che si sia messo a celebrare la "forma" istituzionale dello Stato Italiano dopo che esso si fu costituito.
Non c'è nemmeno una volta che prenda posizione a proposito di un modello possibile di Stato (repubblicano alla Mazzini o monarchico alla Cavour).
E dire che ci sarebbe voluto poco a rappresentare in una sua opera una "repubblica perfetta" (bastava piazzarla in qualche opera) o una "perfetta monarchia" e tutti ci avrebbero visto l'immagine dell'Italia nuova secondo Verdi.
E invece su questo punto il "patriota" Verdi se ne sta zitto.
Insomma, il suo patriottismo si ferma alla necessità di sloggiare i governi esteri. Nulla però ci illumina su che tipo di stato egli volesse, o se egli amasse davvero questa Italia-Stato uscita dalla scrivania di Cavour.
A giudicare dalle opere, non sappiamo se Verdi amasse davvero il modello di "Stato moderno", vasto territorialmente, livellante, autoreferenziale e svincolato da superiori controlli (mentre l'Ernani - e non solo - ci dimostra quanto amasse quello dell'Impero).
E' però evidente nella sua opera che gli "stati moderni" descritti... non fanno per niente una bella figura.
Per nessuno di essi Verdi spreca le parole che CArlo V rivolgerà all'Impero.
In compenso... non c'è uno Stato che non appaia infernale.
In certi casi gli Stati sono controllati da poteri disumani e micidiali, e questo vale tanto per le repubbliche (la Venezia dei dieci nei due Foscari), quanto per le monarchie (i Sacerdoti nell'Aida). Quelli che dovrebbero essere istituti governativi sono macchine di morte.
Oppure possiamo trovare stati dilaniati da contrasti partitici, e ancora una volta possono essere repubbliche (il Boccanegra), oppure monarchie (don Carlos).
Ci sono Stati ostaggi di interessi privati, in cui il monarca si fa tiranno e sfrutta il suo potere per il proprio tornaconto (schillerianamente i Masnadieri o la Miller, ma anche l'Alzira e persino Lombardi e Trovatore).
E quanti altri Stati vediamo nelle opere di Verdi in mano a monarchi corrotti (Macbeth, duca di Mantova), o imbelli (Giovanna d'Arco) o deliranti (Nabucco)!
Lo Stato tradizionale (non importa se autocratico o parlamentare) è sempre nelle opere di VErdi un luogo del terrore.
Nessuno stato moderno è descritto positivamente.
Piuttosto Verdi pare divertirsi a sottolineare continuamente la fragilità e la crudeltà insita in tutte le monarchie e repubbliche che siano autoreferenziali, autogestite e non sottoposte a un controllo (etico-politico) superiore...
E al contrario l'impero (come fratellanza cristiana di popoli) è descritto ultra-positivamente, con un enfasi che (ripeto) non apparirà mai più in nessuna opera verdiana per alcun istituto politico.
Il SUBLIME TRONO.
Ossia il grande Sogno romano-cristiano di un istituto politico che non assoggetta i popoli ma li unisce.
Non è un caso! Non può esserlo!
Tanto più che nell'Ernani la glorificazione carolingia è talmente importante che ad essi Verdi e Piave collegano - altro caso unico in tutto il corpus Verdiano - la grandiosa palingenesi di un personaggio: don Carlo appunto che ...diventa un altro solo per aver sfiorato il "più sublime trono", e che da esso viene trasportato nella storia sui "vanni della virtù".
CAZZAROLA (scusate il francesismo) se non è una presa di posizione questa!
Carlo V rinnega Carlo I.
OSSIA:
L'impero rinnega la monarchia.
Il tema dell'universalismo europeista tornerà in Verdi (appena di sfuggita) in una sola altra opera... che sì sarebbe a firma di Solera, ma non a caso riveduta e corretta dallo stesso Piave che firmò l'Ernani: Attila.
Molti lamentano le "fragilità" drammaturgiche di Attila, per il fatto che proprio l'Unno, la maledizione di Roma, vi appare come il personaggio più positivo.
Strano!
In un'opera che più patriottica non si potrebbe (almeno in teoria) abbiamo tre "patrioti italianisti" che accumulano figure meschine, non fanno che tramare nell'ombra, ordire congiure e poi sventarsele tra loro, esprimere il loro eroismo con coppe avvelenate e pugnalate alle spalle...
Non parliamo poi del glorioso Ezio, il grande Romano degli Immortali Vertici, che sarebbe dispostissimo a vendere agli Unni i quattro quinti dell'Impero pur di aggiudicarsi l'Italia (e che giustamente si becca del "traditor spergiuro" proprio da colui che dovrebbe essere il barbaro).
Il "barbaro", al contrario, si comporta sempre in modo che più nobile e virtuoso non si potrebbe: coraggiosissimo in guerra (e non con trame e congiure, ma in campo aperto), egli rispetta l'ospite, onora il nemico, concede la vita a donne e congiurati, dispensa grazie e favori e (tanto per gradire) si inginocchia davanti al Papa e risparmia Roma.
Il pubblico semplice rimane spiazzato, e invece è così semplice.
Attila è il personaggio "migliore" dell'opera perché a suo modo rappresenta la stessa vocazione "universalistica" e sovra-statale che anche Carlo V incarna.
E' sì un barbaro, ma alla fine Verdi gli conferisce la gloria dello stesso "sogno" universalistico che Verdi celebrava: egli di fronte a Roma (città simbolo di un ideale sovra-nazionale) si ferma; di fronte al Papa (simbolo di un credo sovranazionale) si inginocchia.
Spiegato il mio punto di vista, provo a rispondere più nel dettaglio alle tue osservazioni.
Un melodramma dove si esalta la missione civilizzatrice e "mistica" degli Asburgo sarebbe stata un vero invito a nozze per tutti gli austriacanti della penisola (ce n'erano, ce n'erano...) e l'imperialregia amministrazione ne avrebbe dovuto fare un'opera feticcio da rappresentare come istrumentum regni.
Certo che ce n'erano di Austricanti!
Se è per questo, ce ne sono ancora!
...fra cui il sottoscritto, che non può fare a meno di pensare a come sarebbero state più belle la sua vita, la sua formazione e le sue soddisfazioni professionali se la Modena in cui è nato non fosse in questo aborto di Stato che chiamiamo Italia, bensì ancora amministrata dagli Asburgo!
Quindi è vero, hai ragione: austricanti c'erano!
In fondo lo stesso Verdi può considerarsi austricante, considerato che i suoi patrioticissimi cori furono pagati con soldi degli Asburgo.
E tuttavia, scherzi a parte, ho già detto che - per me - l'esaltazione di Carlo V in Ernani non è affatto un inno agli Asburgo, bensì all'universalità dello statuto imperiale.
Voglio ribadire ancora una volta (scusami se mi ripeto) che come re asburgico (di Spagna) Carlo viene presentato malissimo: un vero tiranno, anzi un tiranno-bulletto.
E' solo come
Sacro e Romano Imperatore che diventa sublime.
E non sono io a dirlo, ma gli stessi Castigliani, i quali contro Carlo I avevano affilato i pugnal, mentre intonano inni di gloria a Carlo Magno Imperator.
E invece sin dai tempi di Bellini - tentato anch'egli dalla vicenda - Eranani era reputato proprio l'opposto: un pericoloso manifesto liberale. E tale venne considerato dal pubblico senza eccezione.
Stessa risposta: certo! Ernani era un testo pericoloso perché contestava lo statuto "monarchico".
Ma questo non toglie che contemporaneamente esaltasse lo statuto imperiale, che è esattamente ciò che avevo detto io.
2) Il temperamento stesso di Carlo rivela qualcosa di diverso e di molto meno lineare anche rispetto ad un "romanzo di formazione" dal libertinismo scapestrato alla presa di coscienza del lato sacrale del potere.
Alla luce di quanto detto (e sempre ammesso che si accetti la mia teoria) tutta la tua analisi psicologica di Carlo V (espressa al punto 2) mi appare terribilmente forzata.
Scusami ma lo devo dire!
Quel che tu vedi come "incoerenza" e instabilità a me pare invece una coerentissima umanità.
Intanto non è vero che il personaggio ad Aquisgrana prenda coscienza del lato "sacrale del potere".
Se il "potere" (genericamente inteso) avesse un lato "sacrale", perché Carlo non l'ha scoperto quando è divenuto monarca di Castiglia e di Aragona?
No Rodrigo: non è della sacralità del potere che Carlo prende coscienza ad Aquisgrana, ma
della sacralità dell'Impero, rispetto alla non-sacralità della monarchia.
L'approccio ad Elvira nel primo atto è incredibile: si passa in pochissime battute dall'estasi stilnovistica (con promessa di una vita da Cenerentola al ballo) di "Da quel dì che t'ho veduta... di mia corte onor sarai" ad un brutale tentativo di ratto che pare adombrare addirittura uno stupro senza tanti complimenti e infatti Elvira terrorizzata si chiede "il re dov'è?".
Ma tu guarda alle volte come si leggono in modo differente i libretti.
Sembra che io e te parliamo di un'opera diversa!
A me pare che in questo duetto si imprima una coerenza psicologica esemplare da parte di entrambi i personaggi, alla luce di una spavalda e provocatoria ironia. Vi trovo un miracolo di allusioni beffarde, di sfide e rilanci ...in cui non manca (poiché amore non c'è) una certa esplicita simpatia.
Giova ricordare (e gioverebbe ricordarlo a Muti e compagnia) che questo re e questa nota dama della corte aragonese non sono affatto i maturi polentoni emilano-veneti chi ci hanno servito la Freni e Bruson; sono due ragazzi
di nemmeno vent'anni, parimenti ardimentosi, ribelli e sensuali, MOLTO disinvolti e spregiudicati entrambi.
Lui è il potente scavezzacollo di buona famiglia, che si diverte a esasperare i propri vassalli (specie i "buoni vegliardi" con le belle fidanzate), sprezzandone le cortes, violandone i castelli e usurpandone i letti.
Lei - che non è da meno - è la rovente Dona sol, nota per la sua determinazione a seguire i propri impulsi e la predilezione per i bei banditacci irsuti (a cui corrisponde l'altrettanto esplicita repulsa per "odiati vegli" e "immondi spettri").
Tu dici che Elvira sarebbe "terrorizzata" nel dire:"il re dov'è?"
Io proprio mi chiedo se stiamo leggendo lo stesso libretto!
Un'eroina d'opera terrorizzata urlerebbe "Dio pietoso", magari svenendo... Oppure invocherebbe Dal Ciel aita!.
Non si metterebbe a guardare di sotto in su l'assalitore, spiazzandolo con un bel: "questo sì che è un comportamento da re!!"
E lui, per nulla da meno, "davvero vuoi sapere dov'è il re? vieni che te lo faccio vedere!!!"
Questo Piave è un genio!
Come fai, Rodrigo, a non percepire l'ironia di botte e risposte che pervade tutto il duetto?
Fin dall'inizio!
...Senti come Elvira apostrofa il proprio visitatore: "Voi qui... a quest'ora!"
...A quest'ora!
E poco dopo "e l'onor mio?"
eheheheheh....
Non male per una che - come sanno benissimo entrambi - è lì con le valige pronte in attesa di farsi rapire e disonorare da un fuorilegge!
E che dire della tono aspro e civettuolo insieme con cui la ragazzi rintuzza le proposte indecenti!
"non m'amate! Voi mentite"
Ti sembra il tono di una virtuosa (?) terrorizzata!
A me pare l'ironia strafottente di una ragazza caliente che sa il fatto suo!
"Tolga Iddio!" poi è un capolavoro.
e ancora "ah cessate" (ora basta, suvvia, non esagerare ...)
Terrore Rodrigo? Ma davvero ce lo vedi?
E che ne dici delle profferte di Carlo? "mi segui e
ben vedrai quanto io t'ami" (appena mi sarò tolto i calzoni)
E tu chiami "stilnovistico" il modo in cui Carlo le si rivolge? "Gioia e vita esser tu dei del tuo amante.... del tuo re"
Io lo trovo invece sarcastico e beffardo, in perfetta coerenza col personaggio.
E poi il capolavoro!
"e un masnadiero fai superbo del tuo cor"?
Tu non ci vedi un sorriso malizioso in questa frase?
E soprattutto non ce lo vedi nella risposta di lei?
"ogni cor serba un mistero..."
E quando mai Elvira quella matta di Elvira si tira indietro di fronte alle facezie di un corteggiatore sfacciato?
Ma come abbiamo fatto a tollerare per tanti anni che le Arangi-Lombardi e i Galeffi ci massacrassero questi due personaggi fantastici!!!
Loro due (Elvira e Carlo I; Ernani è già più "virtuoso" di quei due matti: sarà che lui è castigliano e non aragonese come loro) sono perfettamente in sintonia fra loro! Ok, non si amano! Ma parlano la stessa lingua, si stuzzicano, giocano, si provocano...
Sono giovani, energici e appassionati e anche insolenti, e scalpitano come farebbe ogni giovane ricco in un mondo di vecchi.
E a questo proposito è anche ovvio che a Carlo anche Ernani risulti simpaticissimo!!!
Sono i vassalli vecchi e pedanti che il re-bullo detesta, mentre i giovani e i fuorilegge gli piacciono!
Ernani è un ribelle! Uno che non la manda a dire! Uno che molla sganascioni ai tipi come Silva!
E' uno che tratta i vecchi da vecchi e le ragazze da ragazze!
Carlo gongola di soddisfazione a conoscerlo ...e ancora di più all'idea di poter giocare con lui ai maschi "alfa" che si contendono la femmina!
Non mi spiego come tu possa trovare contraddittori i comportamenti di Carlo verso Ernani.
Eppure è a me sembrano così semplici...
Non lo fa arrestare proprio perché gli è simpaticissimo (Finalmente un tipo in gamba! Macché arrestarlo: che vada libero a menar calci anche lui a questi vecchi aristocratici!)
Lo spinge varie volte a fuggire, lo cava di impaccio... Nulla di strano che lo chiami "fido". Anzi...
La mutevolezza di Carlo si ripete nel secondo atto dove dalla minaccia di tortura per gli uomini di Silva e di decapitazione di quest'ultimo si salta alla lusinga di "vieni meco sol di rose" con generale indulto.
ò
Ma nessuna mutevolezza, Rodrigo! Almeno per me...
Il disgusto del giovane CArlo I per i sudditi spagnoli e in particolare i vecchi vassalli è totale.
Non c'è gioia più grande per lui che offendere la gente come Silva, calpestarne l'orgoglio.
Il sussurro amoroso a Elvira non è solo un omaggio alla bella donna (che pure, dato il tipo, ci sta); è anche uno schiaffo politico rivolto a Silva, della cui fidanzata palpa pubblicamente il sedere: che qualcuno lo fermi se ha il coraggio!
dove sarebbe l'instabilità? dove l'incoerenza?
Chiudiamo con la scena di Aquisgrana: dapprima filosofeggia sulla vanità delle cose e sull'imperativo categorico di dare gloria al proprio nome nel ricordo glorioso di Carlo Magno, poi minaccia tutti quanti con una violenza inaudita che nulla serba della nobiltà cui aspirava poco prima. Ecco: se egli avesse perdonato i congiurati subito dopo l'incoronazione potrei sottoscrivere in pieno la proposta di Mat. Tuttavia solo la preghiera di Elvira lo spinge a un gesto di clemenza ed a porsi nella linea del glorioso impero carolingio.
Francamente non ti capisco.
Secondo te cosa avrebbe dovuto fare il novello imperatore (sia pure appena salito sulle ali della virtù) di fronte a decine di congiurati che si sono radunati in una chiesa col proposito di ammazzarlo? Correre ad abbracciarli tutti spargendo fiori?
Non è che un imperatore, perché virtuoso, non debba far applicare la legge: banditi e assassini sono pur sempre banditi e assassini.
Il fatto che poi decida di graziarli tutti (il ché non era affatto richiesto) è un segno che il miracolo ha operato in lui.
Tanto che l'atto si chiama "La Clemenza".
E, mi spiace, ma Elvira non c'entra niente in questo.
Il libretto parla chiaro: Carlo "fissa intensamente la statua di Carlo Magno" ed è a lui che rivolge il suo canto e la sua munificenza.
Non a Elvira che anzi a questo punto è talmente lontana da lui che le rivolgerà la parola solo per consegnarla nella braccia del suo ...ex amico-nemico.
E' come un addio alla sua gioventù.
Che Elvira e Ernani restino pure ai loro amori e alle altre cose da "ragazzi"... Lui non può più permettersi di essere come loro, perché "il più sublime trono" reclama da lui una svolta di vita.
Insomma, a me pare che il personaggio di Carlo non sia affatto incoerente o instabile come tu lo definisci.
E' molto complesso, questo sì, e non riconducibile a buonistici e inamidati schemi dell'operismo tradizionale.
Al contrario è articolato psicologicamente, sfumato e ricco come tutti i personaggi di Piave, con l'aggiunta di questa sublime virata (politica e umana).
Era un giovane col tipico sangue caliente; era un re con la tipica arroganza tirannica.
Poi diventa un imperatore!
Certo ...se dobbiamo spiegare tutta questa complessità affidandoci ai modi noiosi e cerimoniosi dei vecchi baritoni grand-seigneurs che piacciono a Celletti & C... stiamo freschi.
Salutoni e scusa la logorrea.
Mat