I Vespri Siciliani a Genova
Be' insomma...
Alla fine una serata accettabile, a tratti emozionante, con una compagnia di canto buona, una regia fiacca ma senza danni, una direzione calibrata e accurata e una primadonna notevolissima.
I difetti: l'aver proposto la versione nella solita traduzione italiana, notoriamente orrida e senza alcuna giustificazione; l'aver operato i più spietati e inammissibili tagli nella pura linea gavazzeniana (venendo però quarant'anni dopo); l'aver scelto (forse per evitare la fuga del pubblico) di unificare i primi tre atti, col risultato di rendere il pubblico stanco e irrequieto proprio nel meraviglioso atto terzo.
I pregi però non sono mancati.
La direzione di Palumbo era curata, cameristica negli accompagnamenti e caratterizzata da una grande capacità di sottolineare (con equilibri sonori molto suggestivi) i momenti più "emotivi" di arie e duetti.
La regia di Serban era veramente povera, nonostante il gran nome del regista: pur ammettendo le diverse belle idee e alcuni bei giochi illuministici, mi dava la sensazione più di voler fare "qualcosa" (tanto per non smentire la propria celebrità) che di ragionare veramente sui problemi e le tensioni di questo titolo.
Il cast (a parte la primadonna) era fatto di onesti professionisti, da cui poco mi sarei aspettato e che invece sono stati in grado di valorizzare le rispettive parti.
Molto bene (per me) Vassallo, che certo è piuttosto monolitico, ma che del governatore Monfort ha dato un taglio altero e virile, ma non privo di suadenti dolcezze.
"In braccio alle dovizie" è stato davvero appassionante.
Chiamato a sostituire Anastassov (stranamente indisposto) come Procida, Luiz-Ottavio Faria si è avvantaggiato della sua voce densa e piena, dai gravi facili, e della sua buona personalità scenica.
Per quanto riguarda Casanova, la sua presenza è talmente infelice da pregiudicare ogni scampolo di credibilità: c'è un limite oltre il quale non si dovrebbe andare. Però vocalmente ha avuto anche ottimi momenti, soprattutto per le sfumature, i pianissimi, il bel senso della frase musicale.
I difetti sono la tendenza a sbraitare le frasi più concitate e una certa retorica dozzinale a livello espressivo; inoltre è arrivato stanco e sfibrato proprio alla sua grande aria, dove ha fallito alcuni pianissimi ed è dovuto scendere a compromessi con la sezione finale.
Comunque alla fine, facendo la pesa di limiti e pregi (e considerando che nel ruolo di Arrigo gli interpreti convincenti sono ben pochi) la sufficienza se l'è meritata.
La fuori classe era la Radvanovsky, almeno per me, che avevo sentito pochi mesi fa a Londra nello Stiffelio.
La parte di Elena conviene alla sua recitazione sobria ma incisiva, ai suoi modi incoerenti ed enigmatici. La vocalità è soprendentissima: non esente da sonorità un po' gutturali, ha tuttavia una potenza tale da riempire il teatro e da imporsi con violenza su orchestra e coro. Possiede magnifiche sfumature, pianissimi corposi e seducenti, bel senso del legato, autorevolezza da grande interprete. Ha eseguito integralmente la spaventosa cadenza di "Arrigo, parli a un core", e nelle tante frasi "mezzosopranili" scritte per la Cruvelli si è imposta con insolita perentorietà.
Il momento meno esaltante è stato il bolero, e non tanto per le agilità appena decorose (me nemmeno infami) quanto per la pessima idea di concludere con un mi sopracuto schiacciatissimo e teso allo spasimo.
Il pubblico ha applaudito ugualmente (di fronte a una simile Elena vorrei vedere....) ma la scenetta che è seguita ci ha ricordato che - anche se acquistiamo gli spettacoli a Parigi - siamo sempre in Italia.
Un tipo ha gridato "buuuu", un altro gli ha risposto "Vedovo Callas!" e allora lui ha replicato "cretino..." il tutto mentre il soprano, con i fiori in mano, attendeva di riprendere l'opera.
Contestazioni ugualmente vetero-loggionistiche sono piovute sul direttore: qualcuno ha gridato "sveglia" e all'uscita diversi "buuu" fra i pur numerosi applausi. L'ira malinconica di chi rimpiange il Verdi barricadero.
Salutoni,
Matteo