dottorcajus ha scritto:Aggiungo che la volta in cui Merritt mi colpì maggiormente fu in occasione dell'unica recita di Zelmira eseguita alla Fenice di Venezia dove, a mio parere, fu vocalmente impressionante.
Sono davvero contento che l'Arnould di Merritt abbia prodotto nel DrCajus le mie stesse impressioni e soprattutto che anche per lui sia vistosa la differenza di efficienza nei ruoli Nozzari rispetto ai ruoli Nourrit.
Quest'ultimo (Nourrit e le sue parti) resta ancora un mistero: il problema non sono gli acuti; a me poco importa che li facciano in falsettone o di pettto. Il problema è il retroterra culturale di questi ruoli e l'intensità già romantica (quindi dalla linea intensa, dall'emozione profonda) della loro scrittura.
Gedda resta, al momento, l'unico che si sia "avvicinato": intellettualismo e pienezza aulicizzante delle linea non gli mancavano. Peccato che si sia trattato solo di un avvicinamento: intanto perché questi ruoli sono stati affrontati troppo tardi (magari Gedda avesse scoperto Ugonotti e Guglielmo Tell fin dagli anni '50); in secondo luogo perché al tenore svedese mancava il "tormento" interoriore che logora dall'interno il ruoli Nourrit.
Sempre troppo ironico, sempre troppo "rinascimentale" per queste parti, spesso distaccato...
A parte questo, è Gedda che finora - secondo me - si è avvicinato di più. Questo del distacco espressivo (con l'aggiunta del piedistallo e della pompa trombonesca) era il limite anche di Lauri Volpi, che pure vocalmente, tecnicamente e persino intellettualmente è stato l'altro "quasi-Nourrit" di cui abbia memoria.
Ma torniamo all'editoriale.
Rodrigo ha scritto:Detto questo resto dell’opinione che, dal loro punto di vista, i sostenitori del canto “coperto” qualche ragione ce l’hanno con riferimento agli ulteriori sviluppi della vocalità romantica. L’applicazione di questi stilemi “americani” fuori dall’alveo rossiniano (e delle opere ad esso assimilabili) si è rivelata quanto meno problematica. Nessuno tra gli alfieri della vocalità coloristica è riuscito veramente a “sperigliare le carte” nel repertorio verdiano. Non l’Arrigo di Merritt, non le prove di Ramey (salvo gli incunaboli di Oberto e Attila), e del resto neppure la Horne e la Sutherland avevano mietuto allori.
Grosso modo, Rodrigo, è proprio quel che ho scritto io.
Sui singoli termini suggerirei qualche minuscolo aggiustamento (devi scusarmi, ma sai che io sono relativista).
Nell'eseguire i vari repertori noi non siamo alla ricerca di linguaggi "giusti" (vana chimera di comodo di molti interpreti filologici), ma di linguaggi "efficienti oggi", con cui "tradurre" i vari repertori.
Andiamo per tentativi finché non troviamo quello che ci persuade di più, rispettando contemporaneamente il dato oggettivo dello spartito e l'orizzonte di attesa del pubblico odierno.
Mai mi sognerei di affermare che una Horne o un Blake cantassero come ai tempi di Rossini. Sono anzi certo che se Rosssini avesse sentito nel 1820 certi gracidii di Blake o certe apertissime sparate di petto della Horne sarebbe rimasto basito. I suoni del "colorismo" (nati dall'emulazione del canto non classico novecentesco) non potevano esistere tali e quali negli anni di Rossini.
Per cui, in base al mio punto di vista, il "colorismo" non è "il" modo per cantare il Rossini pre-romantico, bensì quello che finora si è rivelato "più efficiente" per tradurne i molteplici aspetti nel nostro tempo.
Ci potranno essere altre formule in futuro ma (se parliamo di pre-romanticismo) il ritorno a un vocalismo classico e omogneo non sta al paragone.
Anche la questione dei limiti del "colorismo" (ogni tecnica vocale elaborata dall'uomo presenta dei limiti) è un argomento che avevo affrontato: la diatriba pro e contro l'Arnoldo di Merritt lo dimostra. Quidni sì... al momento cerchiamo voci più omogenee e compatte per il Romanticismo.
E tuttavia... è difficile prevedere le strade che la storia del canto può imboccare.
come dicevamo in altro thread, non sono forse i baritoni coloristi - sia pure non rossiniani - (Hampson, Schovus, Keenlyside) che si stanno impossessando dei ruoli per baritono verdiano, a dispetto delle loro disomogeneità e della piccolezza dei loro suoni? Ci avresti creduto solo vent'anni fa quando Cappuccilli sembrava ancora il modello ideale per questo repertorio?
Ci avresti creduto che Vienna e Londra avrebbero fatto gli esauriti per il Macbeth di un keenlyside? E che fra pochi giorni sentiremo il suo Rigoletto? (di cui non mancherò di relazionarvi).
E che un Hampson (dopo Macbeth, Conte di Luna, Marchese di Posa, Carlo V dell'Ernani, Boccanegra, Renato, ecc...) sarebbe giunto ad annunciare per l'anno prossimo il suo primo Francesco dei Masnadieri?
D'altro canto sono coloristi il 90% degli attuali interpreti del barocco?
Con questo non discuto che i "vocalisti" tradizionali (quelli del canto coperto e omogeneo a tutti i costi) restino gli interpreti più efficienti per tanto repertorio, specie protoromantico... però anche lì... il caso di Kunde in Rubini ha aperto molte strade.
E a questo proposito, in rapporto alla mia descrizione di Kunde nei ruoli rubini tu scrivi:
sembra il ritratto di Alfredo Kraus… Ecco tra i “Rubini redivivi” ci metterei anche lui (e il Pavarotti delle serate migliori ).
Va anche notato che, diversamente da quanto verificatosi per il Rossini serio, una tradizione rubiniana non si era del tutto smarrita.
Prima di Kunde, Kraus è stato, hai ragione, l'interprete novecentesco più efficiente nei ruoli Rubini. Peccato che se ne sia accorto tardissimo (Puritani mostrano già qualche segno di senilità), e che fra i suoi seicento Rigoletti e Traviate, i più inutili Faust di questo mondo, ecc... ecc... non si sia preso la briga di studiare Anna Bolena o il Pirata e di approfondire seriamente la questione. Peccato davvero.
Comunque è vero: Rubiniani (magari presi nei singoli personaggi) nel corso del '900 ce ne sono stati.
Però non è del tutto vero che nella mia descrizione di Kunde abbia detto "solo" cose riferibili anche a Kraus.
Ho infatti parlati di "melodizzare inargentato, liquido, screziato di colori pastello", ho parlato di "stimbrature iridescenti" e di "sventagliate di colori"...
Tutti aspetti che Kraus, dal canto più omogeneo e tradizionale, possedeva in minor misura di Kunde (così come la flessibilità ritmica e la consapevolezza strettamente musicale). Per questo, pur riconoscendo il vistoso debito di Kunde nei confronti di Kraus, io considero i suoi Rubini superiori a quelli del maestro, più vari e incisivi...
Che sia ancora una volta una questione di "colori" (sia pure declinati nella particolare variante "alla Kunde")?
Non lo so... sono ipotesi che ti sottopongo.
Un salutone e grazie delle tue riflessioni (e speriamo davvero che Ford trasferisca i "suoi" colori a Torquato Tasso, Belisario e Nabucco...)
Mat