Cari amici,
vorrei a mia volta intervenire sulla spinosa questione "otelliana", anche perchè fui il primo (con l'articolo su Tamagno, nella sezione "Interpreti storici") a proporla a Operadisc.
Triboulet traccia efficacemente la storia dei maggiori Otelli del secondo dopoguerra, tutti orientati alla variante "declamatoria" e baritonale (possiamo anche dire filo-wagneriana) che ha preso il sopravvento almeno da ottant'anni.
Inoltre ne osserva l'obbiettiva superiorità artistica (in particolare citando i "giganti" del gruppo come Vinay, Vickers, Del Monaco, io aggiungerei prima della guerra Zanelli, Merli) su quei pochi che hanno tentato la via del tenorismo acuto e romantico (Lauri Volpi - Pavarotti).
Verrebbe abbastanza facile affermare che ...allora gli Otelli "declamatori" sono meglio.
Verrebbe facile spingersi persino a credere che possa essere fuorviante rifarsi al modello di Tamagno per capire veramente Otello.
Triboulet ha scritto:Quanto a Tamagno, siamo sicuri che interpretativamente parlando avesse soddisfatto Verdi in tutto e per tutto?
(cut)
Come beckmesser sosteneva che la Colbran non era in grado di venire a capo di tutti i ruoli-Colbran, non è forse possibile che Tamagno stesso non fosse in grado di venire a capo del ruolo che Verdi aveva scritto per lui? quelle poche registrazioni confermano il suo agio in quelle tessiture ma ci dicono assai poco sulla realizzazione del personaggio. Se saltasse fuori un tenore contraltino in grado di tratteggiare una psicologia credibile attraverso tutte le sfumature che i tenori tedeschi o tedescofili realizzano sarei il primo ad applaudire, ma per quel che è la mia esperienza di esempi di questo tipo non ce n'è, almeno tra le cose immortalate su nastro.
Guardiamo ai fatti.
Che Verdi rompesse le scatole alle prove (e se la prendesse un po' con tutti, tranne Maurel) questo è evidente.
Che probabilmente sperasse in Tamagno un contegno più stilizzato e sobrio (e se la pigliasse anche con lui) non inficia minimamente il fatto che conosceva perfettamente Tamagno (che era stato fra l'altro l'Adorno della riscrittura milanese del Boccanegra, prova generale di Otello e Falstaff), che l'avesse voluto come Otello (e aggiungo io: non solo perché era famoso - non ancora famosissimo - ma proprio per i retaggi tardo romantici e meyerberiani che rappresentava), nè che non abbia mai messo in dubbio la sua supremazia nel ruolo nei quindici anni successivi ai quattro angoli del mondo.
Tamagno era l'Otello che Verdi voleva... Otello era il ruolo che Verdi aveva ricalcato sulle caratteristiche di Tamagno (lo dismostra la scrittura: il passaggio altissimo, i si naturali e i do SCRITTI nero su bianco sullo spartito, le filature sui sol e la bemolle).
Triboulet giustamente afferma che in fondo non sappiamo che "tipo di personaggio" Tamagno avesse ricavato dal personaggio.
Però, Triboulet, noi sappiamo benissimo che quello di Tamagno fu un PERSONAGGIO di quelli storici, di quelli che stordiscono e fanno la storia.
Lo sappiamo dalle cronache, lo sappiamo dai trionfi che ottenne in tutto il mondo.
Persino Chaliapine (ossia uno degli interpreti più intelligenti, moderni, sconvolgenti della sua epoca, attore di sottigliezza, cultura e profondità senza paragoni) nelle sue memorie racconta delle emozioni profondissime che la recitazione di Tamagno in Otello gli aveva procurato.
Tornando al confronto fra gli Otelli alla Tamagno (diciamo depositari delle "sante memorie" tardo-romantiche) e quelli declamatori e filo-wagneriani, le nostre possibilità di un reale paragone sono limitate.
Tu citi i grandi Otelli dagli anni '50 in poi... Ma in quel periodo l'ipotesi Tamagno era stata radicalmente messa da parte, al punto che nessun tenore "tardo-romantico" dopo Lauri Volpi (che per inciso fu mezzo contestato a Milano) osò più metterci becco.
Corelli, come tu stesso hai scritto, non ha osato. Pavarotti ha osato solo in disco e tardivamente (e con risultati musicalmente ed interpretativamente ridicoli).
Il fatto è che è proprio il "modello Tamagno" a non esistere più... Già Lauri Volpi era, ai suoi anni, considerato un'anomalia... figlio di un passatismo un po' trombone e ridicolo. E lui stesso osò Otello solo una volta e mai più.
Mentre i tenori drammatici e declamatori erano numerosi, tanto che si poteva operare una selezione "meritocratica" fra loro (Vinay, Vickers, Del Monaco erano le punte di diamante, non certo gli unici Otelli della loro specie).
Al contrario, quanti Lauri Volpi, Corelli e Pavarotti (ossia tenori alla Duprez) ci sono stati dopo la prima guerra mondiale?
E se questi soli tre hanno cantato otel
Il paragone pertanto è ingiusto: è evidente che in questa "guerra di otelli" vinceranno i declamatori, se confrontiamo solo gli interpreti degli ultimi ottant'anni.
E' come giocare una partita con da una parte decine di giocatori e dall'altra solo tre (tutti e tre, per altro, deboli o debolissimi sul fronte meramente interpretativo).
Triboulet ha scritto:Ora, a sentire quel poco che è rimasto dell'Otello di Lauri Volpi si rimane, o dovrei dire io rimango, stupefatti da un lato e un po' delusi dall'altro. Rimango stupefatto nel sentire come la voce svetti piuttosto facilmente e si produca in fraseggi e smorzati ancora con naturalezza (è pur sempre un Lauri Volpi degli anni 40) laddove altri si uccidono; deluso invece nel constatare che l'accento nobilmente aulico da Grand-Opéra, quell'atteggiamento un po' costruito ed a tratti enfatico, non sia molto credibile nell'esprimere gli stadi d'animo tormentati dell'Otello verdiano. Lo stesso Verdi ebbe qualche problemino con Tamagno proprio nella messa a punto del fronte interpretativo, diciamo così. Non è che Martinelli al Met mi convinca molto di più in questo senso, anzi forse è vocalmente meno dotato di Lauri Volpi, e pure più caricato. I tedeschi intanto (che riscoprivano Verdi ben prima di noi) trovavano in Otello la ghiotta occasione per creare un ponte ideale tra il cigno di Busseto e il maestro di Bayreuth; non sarà filologicamente corretto eseguire Verdi come se fosse Wagner, però certi cantanti wagneriani arrivarono ad una "verità" del personaggio che gli italiani (e loro epigoni) hanno spesso perso di vista: ascoltate qualche brano cantato da Melchior negli anni 30, è assolutamente stupefacente.
Lauri Volpi era un interprete di grande modestia, diciamolo una volta per tutte.
Era un trombone che in scena si pavoneggiava con piglio professorale, ma assolutamente incapace di capire la drammaturgia che è dietro il repertorio romantico.
Il suo grande merito era quello di aver compreso e addirittura "ricreato" quel suono (ed è un merito immenso), non di averne capito le ragioni poetiche e meno ancora di averlo messo in relazione con i suoi anni (cosa che invece la callas, ad esempio, avrebbe fatto).
Se senti la Ponselle o Merli o De Luca comprendi che dietro il loro passatismo pulsa la vita. Dietro Lauri Volpi lo stesso.
Il suo Otello è culturalmente e psicologicamente inesistente, proprio come i suoi Puritani o il suo Guglielmo Tell.
E' il suono che illumina. Il suono che brilla e barbaglia dei dardi fulgenti e dei volanti corsier. In quel suono io sento la verità del personaggio.
Se la sua rivoluzione non ha riportato Otello sulla retta via, non è per il suono, ma per la fiacchezza dell'espressione.
Problema suo... non del "modello Tamagno".
Martinelli poi, come diceva Enrico, c'entra poco con questo discorso, perché se come estensione (e vastità di repertorio) poteva ricordare il modello Tamagno e l'eredità Duprez, come tecnica, espressione e gusto ricordava in tutto e per tutto i declamatori post-carusiani, a cui si ispirava fino all'imitazione.
Lui pure, inoltre, era interprete oltraggioso di fiacchezza e banalità.
Per cercare di capire come stanno le cose, ossia avere un'idea più completa dell'Otello in stile Tamagno, occorre rifarsi ai venticinque anni che hanno preceduto la prima guerra mondiale, prima cioè che l'ipotesi declamatoria e wagneriana prendesse il sopravvento.
E qui l'articolo di Enrico è illuminante e chiarificatore.
Tamagno non era l'unico.
Sul suo modello si mossero i primi Otelli come Paoli, superbo di splendore e facilità.
Ma persino la superstar De Reszke, che fu il moro a Londra e New York.
Mi si dirà che sui trionfi di De Reszke, perchè di trionfi si trattò, gravò l'ombra di qualche perplessità, in questo ruolo.
Ma sono ombre di cui è facile capire l'origine: gli acuti faticosi, antico tallone d'achille del mito polacco.
E tuttavia anche De Reszke proveniva dalle sante memorie del tardo-romanticismo, di cui anzi fu - pur diversamente da Tamagno - l'ideale campione.
De Reszke fu il Romeo, il Raoul più struggente e cavalleresco (ma anche più sensualmente crepuscolare) di una generazione.
E persino il suo Wagner fu eletto a simbolo di una visione passatista, nostalgica, trionfatrice in quella Londra e quella New York che si ostinavano a negare le rivoluzioni di Wagner (difese a Bayreuth da Cosima) e a volerne a tutti i costi "normalizzare" le sconcertanti novità.
Pur diversissimo (per voce e temperamento) da Tamagno, De Reszke incarna a sua volta l'ideale di un Otello che guarda al passato, che contempla il crepuscolo del Romanticismo e che respira i profumi di Meyerbeer e Gounod.
Solo su una cosa non sono tanto d'accordo con Enrico, a proposito di Caruso e del suo "potenziale" Otello.
Nei due soli brani di Otello, Ora e per sempre e Sì pel ciel, è già lontanissimo da Tamagno: e non si tratta di voce "non adatta", dal momento che progettava, pare, di cantare l'opera tutta intera con Titta Ruffo.
Ebbene non sono d'accordo.
Se Caruso avesse sentito come "adatta" alla sua voce la scrittura di Otello, non avrebbe atteso i cinquant'anni per "progettare" di cantarla.
L'avrebbe cantanta anche prima.
Il progetto (se è vero che progetto ci fu e che avrebbe visto la luce) appartiene a una fase della carriera di Caruso in cui la sua fama era talmente grande che nessun ruolo gli sarebbe stato precluso.
Aveva forse la voce di Nourrit? Assolutamente no... Non mi pare che Ugonotti e Guglielmo Tell fossero fra i suoi personaggi ideali.
Eppure l'ultimo ruolo che Caruso mise in repertorio (non oso pensare con quali aggiustamenti) fu Eleazar della Juive.
Probabilmente ne fece qualcosa di grandioso: le sole fotografie di scena bastano a darci l'idea dell'interpretazione fantastica.
E tuttavia, in termini strettamente vocali, sappiamo che la parte non è adatta, come non è adatta quella di Otello.
Il "mitico" Caruso dopo la grande guerra avrebbe potuto cantare anche Puritani... Qualsiasi personaggio gli avrebbero offerto. Ma questo non ci autorizza a credere che la parte gli convenisse.
Probabilmente il suo Otello sarebbe stato l'antesignano dei grandi declamatori successivi, come i dischi con ruffo ci testimoniano: il "progetto" semmai ci dimostra che i tempi erano maturi perchè un altro tipo di tenore cominciasse ad allungare lo sguardo sul Moro di Venezia, evidentemente approfittando del declino irreversibile del tenore "tardo romantico" alla Tamagno.
Almeno così pare a me.
Scusate la prolissità e prima di salutare vorrei segnalare che un compromesso suggestivo fra l'Otello declamatorio e psicologico e quello tardo-romantico può essere rappresentata da Thill, che ci offre un'immagine abbastanza convincente di ciò che poteva essere De Reszke in questo ruolo.
Mat