Ho visto anche io, la recita del 18.
Tantissimi amici (Pesaro è anche questo: un luogo dove alla fine ci si ritrova tutti).
Parto dicendo che non sopporto più di leggere che l'opera ha un libretto schifoso. Sono le banalità solite che la gente legge, cita, rilegge, fa proprie.
Come il fatto che Cosima è una mostro che desidera sentir urlare i cantanti, che non sapeva nulla di ciò che voleva il marito (mentre lo sanno gli altri, ovviamente) e che ha fatto tutto quel che poteva per tradirne le volantà...
Tutte cose che qualcuno ha scritto, altri hanno citato, altri hanno letto, si assumono con pigrizia e con altrettanta pigrizia si ripetono.
Cosa non si fa pur di non usare le "celluline grigie" (come diceva Poirot).
Bene. Il libretto di Zelmira per me non è affatto brutto.
Certo, ha un limite (se così possiamo chiamarlo): non gli interessa la "narrazione" (come forse non interessava nemmeno a Rossini).
E' evidente che in Zelmira la narrazione è piena di buchi e inciampi: non ci sono nessi logici, le cose avvengono senza una ragione, le tradizionali tensioni classicistiche sono zoppicanti.
Noi oggi siamo talmente ossessionati da un'idea di drammaturgia lineare e narrativo, che non possiamo farne a meno.
Ma ci sono anche altri aspetti (che a Tottola evidentemente dovevano premere di più).
Il fatto è che l'opera seria nella Napoli dell'epoca (e segnatamente le opere serie di rossini) sono forme di teatro non tanto "narrativo", quanto piuttosto "architettonico".
La loro grandezza - se così posso esprimermi - è verticale, nella complessità della struttura, non orizzontale, nella evoluzione della storia (come potrebbe essere un libretto di Piave).
In compenso Tottola offre versi rigogliosi e perentori, estramemente eufonici ed emozionanti, recitativi raffinati ma mai involuti, belle evidenze ritmiche a cui Rossini si aggrappa per strutturare melodie di rara complessità.
Ma soprattutto quel che Tottola offre a Rossini sono psicologie affascinanti, complesse, aggettanti.
Perché un personaggio esca bene non importa che la trama in cui agisce sia perfetta: un personaggio può venire fuori anche da qualche pennellata psicologica ben assestata, da versi pregnanti di un'aria, dalla coerenza delle sue motivazioni.
Per creare un personaggio non è necessaria una "trama": così come si può capire qualcuno anche senza vederlo in azione; alle volte basta uno sguardo, un'espressione, una parola.
Zelmira, ad esempio, è un personaggio che affascina, per questo su cepennare continuo fra verità e menzogna, fra intenzione e azione, fra sentimenti e maschere. Ilo è meno contorto di altri eroi immaginati da Tottola per David, ma è comunque un suggestivo miscuglio di eroismo e mollezza, di infantilismo - sembra lui il figlio di Zelmira - e virile determinazione.
Quanto ad Antenore, non so come la pensino gli altri, ma per me è il più originale e possente dei ruoli Nozzari. E che dire dell'evidenza che assumono personaggi che in altre opere sarebbero stati semplicemente di contorno - Emma e Leucippo - niente più che i tradizionali "confidenti". Tottola ne fa personaggi di spessore.
Quindi grandi architetture, grandi personaggi, grandi versi. Ce n'è abbastanza di che giudicare eccellente il ibretto.
Resta poi il problema (un problema reale) che per il pubblico odierno può risultare faticoso sciropparsi un testo così lungo e così lacunoso nei nessi narrativi.
A noi (figli della civiltà delle fictions) le architetture non bastano più: senza una vicenda stringente ci distraiamo.
Ed è qui che dovrebbe intervenire un regista vero.
In merito a questo problema, a Pesaro vige da anni il principio del "vorrei, ma non ho i soldi". Si rendono conto di quanto male ha fatto la lunga stagione dei Pizzi e dei Ronconi. Hanno capito che puoi avere i migliori cantanti del mondo (e in effetti negli anni d'oro li avevano) e le più raffinate edizioni critiche, ma se vuoi fare resuscitare questi titoli non basta: devi proporre spettacoli che sconvolgano il pubblico di oggi, riflettendo sulle peculiarità del suo linguaggio e svelando l'incredibile potenziale ancora insito in musica e versi.
Solo che evidentemente non hanno i soldi (e nemmeno il coraggio) di chiamare i Jones, i Carsen, i Guth, i Mc Vicar e così chiamano gli intellettualini nostrani, quelli che si fingono "à la page" e che scimmiottano le conquiste delle vere avanguardie.
Non è sufficiente, ovviamente.
La Zelmira di Barberio Corsetti offre proprio l'esempio di un malinconico scimmiottamento.
Ok, ricontestualizza. Bene!
E l'idea che partorisce, di per sè, non è neppure malaccio: funziona.
Ci spostiamo alla fine della seconda guerra mondiale, quando le truppe americane liberano Atene dalla dominazione nazi-fascista.
Ovviamente il re di Lesbo, Zelmira, Emma, le donne sono i greci occupati.
Leucippo e Antenore i fascisti; le truppe dietro di loro sono tedeschi da Strumptruppen (così come si suppone Azorre).
Ilo, infine, e i suoi soldati sono i liberatori americani.
Alcune statue classiche infrante, rovesciate e abbandonate indicano l'antica "classicità" calpestata e scomposta, mentre i sacerdoti di Giove diventano capi religiosi ortodossi.
Ok. ci sta. Ammetto che narrativamente fila.
La scena finale, con la liberazione di Papagos da parte degli Americani, è persino commovente (un po' in stile Fidelio di Carsen).
Inoltre io ho trovato bellissima la prima arria di Ilo, in cui il ritmo travolgente della musica e l'impeto sano, solare di Florez si adattano assai bene a quest'immagine di vigoria guerriera (il generale americano circondato dalle sue truppe).
Insomma Bareberio Corsetti ha fatto il suo bel compitino. Una ricontestualizzazione efficace.
Restano due problemi.
1) ci sono dei limiti che non andrebbero superati nel fare ciò che è già stato fatto.
Io capisco che se una cosa funziona sia lecito riproporla, uno, due, tre volte... ma poi basta.
Le ricontestualizzazioni operistiche nella seconda guerra mondiale sono state - negli ultimi vent'anni - centinaia.
E' ora di fermarsi!!!!!! Non se ne può più.
Una signora dietro di me (quando alla prima scena ha visto entrare militari in divisa tedesca con mitragliette) ha simulato un conato di vomito.
Aveva ragione. Ci sono migliaia di anni di storia umana a cui attingere.
BASTA CON LA SECONDA MONDIALE! BASTA CON I FASCISTI E CON I NAZISTI!
Barberio Corsetti!! Mi capisci? Parlo con te: BASTA!
2) una volta che hai deciso di fare la tua bella ricontestualizzazioncina, il tuo bel compitino, però non hai nemmeno cominciato il lavoro di regista musicale.
Il lavoro vero è quello di ragionare sull'opera, sulla musica, sui suoi tempi, sulle sue articolazioni, sui suoi problemi, sulla sua scarsa tenuta narrativa, sulla sua lunghezza e monotonia.
E' lì che si vede un regista.
I grandi che Barberio Corsetti tenta di imitare (i Jones, i Carsen, i Guth, ecc...) magari faranno anche ricontestualizzazioni audaci, provocatorie, di quelle che qualche sopravvissuto loggionista fischia, e di cui parlano persino (!) i giornalisti italiani...
Ma, ricontestualizzazioni o no, i loro spettacoli sono macchine da guerra. Il lavoro tecnico, recitativo, scenotecnico, illuministico è talmente strepitoso che (come direbbe Maugham) un dramma per musica di Monteverdi ti diventa un blockbuster.
E' lì, caro Barberio Corsetti, che si vede il regista d'opera capace.
NOn nell'ideuzza carina: quella magari può servire per farti bello con altri intellettualuzzi della lobby, tutti contenti perché magari hanno capito un simboletto o riconosciuto una qualche citazione disseminata in quattro ore di nulla (vecchia furbata alla Ronconi)!
Ma questa non è regia d'opera!
Nella fattispecie ieri si moriva di noia.
Nulla accadeva in scena, e quel che accadeva faceva rimpiangere il nulla (come quando sono state proiettate riprese video dei protagonisti, disposte in modo tale che Antenore - ingrandito - stringeva simbolicamente tra le sue mani i poveri Polidoro e Zelmira - rimpiccioliti: un simbolismo che persino Don Lurio si sarebbe vergognato di utilizzare).
La trovatina dello specchio basculante (come nel Vascello fantasma di Kokkos per intenderci, ma che rimonta agli anni di Svoboda) è il classico modo per dar l'illusione al pubblico stremato che stia succedendo qualcosa, mentre non sta succedendo nulla.
Se poi parliamo di recitazione e lavoro sull'attore, nessun passo in avanti è stato fatto dai tempi di Pizzi e Ronconi.
Se ci sono soldati in scena, non faranno altro che stringersi la spalla l'un l'altro (è notorio che i soldati non fanno altro), specie durante i tempi morti di un'aria.
Ad esempio subito prima del "da capo": il solista approfitterà di quelle battute per aggirarsi soddisfatto in mezzo al coro, stringere spalle a destra e a manca, per poi ritrovare la posizione di prima, in centro al palcoscenico. Stessa cosa faranno il soprano o il mezzosoprano, durante il loro "a solo", circondate da donne e confidenti. La differenza è che le donne non si stringono la spalla (quello lo fanno gli uomini), bensì l'avambraccio.
Altro esempio: come utilizzare le battute musicali introduttive, quando al secondo atto entrano le coriste furtive insieme ad Emma ("Pian piano inoltrisi, Sia cauto il piede!"), prima che il coro attacchi?
Ovviamente tutte le coriste non faranno altro che guardarsi intorno, prima a destra poi a sinistra (il nemico può sorgere da qualsiasi parte) e continueranno a fare quel gesto idiota fino a quando l'introduzione finisce (nel momento stesso in cui cominciano a cantare, evidentemente, il nemico non rappresenta più un pericolo).
Ecco, caro il mio Barberio Corsetti: queste robette penose, questi balbettamenti dilettanteschi sono ciò che denuncia la modestia di una regia musicale.
Io, come si sa, non ho nulla contro le ricontestualizzazioni: anzi trovo giusto realizzarle, ma prima di dedicarsi ad esse, sarebbe il caso di lavorare un po' di più e un po' meglio sul rapporto gesto-suono, riflettere sul contrappunto forma musicale - emozione visiva, intervenire dove il libretto lascia a piedi la storia.
Uff... mi sono stancato.
E poi parlare di Barberio Corsetti mi ha irritato!
Di Abbado (buono) e del cast (BUONISSIMO) parlerò un'altra volta
Salutoni,
Mat