Caro Teo.Emme,
Non avendo ascoltato questa specifica edizione discografica (nemmeno a Lucerna o per radio) non posso scendere nei dettagli delle vostre letture.
Vorrei però aggiungere qualche considerazione, in quanto ho visto il Fidelio di Abbado dal vivo, a Reggio Emilia (diversa l'orchestra, diversi i cantanti tranne la Harnisch, e soprattutto con una regia a firma del giovane cineasta Chris Krauss, che non aveva mai fatto opere prima di allora, ma che Abbado ha fortissimamente voluto.
Ti ricordo che l'ipotesi originaria di Baden Baden era Carsen, che avrebbe dovuto rimontare la sua antica e trascinante lettura di Amsterdam, già approdata a Firenze.
Abbado e Carsen si sono pure incontrati: vederi e odiarsi è stato tutt'uno!
E così Abbado ha puntato i piedi, Carsen se ne è andato e le dirigenze di Baden Baden hanno lasciato al direttore la libertà di scegliersi il regista.
Molto significativamente Abbado ha scelto un regista giovane, senza esperienze nell'opera, inviso a molti. E' stato un rischio, soprattutto a seguito del biasimo internazionale suscitato dall'esclusione del grande Carsen: ma Abbado ha voluto correrlo lo stesso, evidentemente perché sapeva che il giovane Chris Kraus sarebbe sato più gestibile, più disposto ad assecondarlo nella "sua" visione del Fidelio.
Orbene, questa regia era l'esatto opposto di quel che tu ci descrivi!
Proprio siamo agli antipodi.
Il finale era un radicale rovesciamento di ciò che il libretto descrive: era una finale tragicissimo e amaro.
Mentre Florestano prende semplicemente il posto di Pizzarro alla sua scrivania, inforcando le stesse armi e gli stessi simboli di potere, un'atmosfera di orrore incombe sul popolo che canta, popolo che ora è schiacciato da una nuova e peggiore dittatura, mentre l'ombra delle ghigliottine sovrasta il palcoscenico.
Non parliamo di Pizzarro (qui efficacissimamente investigato nella sua umanità e fragilità: altro che cattivo! si trattava di un handicappato, un uomo inchiodato alla sedia a rotelle e alla sua disperazione).
Costui dicevo era uscito di scena e condotto alla ghigliottina in modo sorprendentemente commovente: vittima inconsapevole e sgomenta di una rivoluzione ipocrita, che non mira a distruggere il potere, ma a sostituirlo con un altro.
In pratica la "rivoluzione" descritta in questa regia (che più Abbadiana non si può, per le ragioni suddette) non era quella napoleonica, ma proprio quella "francese".
Dalla dittatura monarchica si passa alla più bestiale e orrenda dittatura giacobina, più colpevole ancora perché usa ipocritamente il popolo e gli ideali libertari per imporsi sulla vecchia e ricalcarla.
Questa era la regia di quel Fidelio; una regia che stravolgeva la positività del finale Beethoveniano, ne faceva un atto di accusa alle finte rivoluzioni e che presentava Leonore, Fidelio e tutto la Rivoluzione Francese come una spaventosa menzogna, che addirittura riabilitava (con lo stratagemma della sedia a rotelle) l'immagine di Pizzarro! Una regia che ripeto Abbado non ha solo "approvato", ma ha imposto.
Per un direttore che (a tuo dire) "violenterebbe" in senso giacobino l'anelito "restauratore" di Beethoven (che è poi tutto da dimostrare!) non c'è male!
Devo dire, Teo.Emme, che a me pare che sia tu ad essere un po' "ideologicamente" orientato, in questo caso!
Forse nella tua lettura ti sei lasciato un po' condizionare dalle affermazioni politiche di Abbado, tanto da volerle imporre a tutti i costi al suo Fidelio.
Vorrei anche aggiungere (sempre in riferimento al Fidelio di Reggio Emilia che magari è diversissimo da quello di Lucerna) che all'epoca trovai la direzione di Abbado sensazionale, proprio per le ragioni presentate da Pietro.
E' vero, hai ragione: era una lettura che, dietro alla facciata del formalismo classico e del distacco mozartiano, nascondeva un punto di vista decisamente romantico, sia pure non nella direzione che ne hai dato tu.
Sono disposto ad ammettere che, in termini di modernità di approccio, Abbado resta molto indietro rispetto alla meravigliosa Leonore di Gardiner, che ascoltai dal vivo qui a Ferrara.
E tuttavia, come ho detto spesso, a me interessa poco se contenutisticamente un interprete fa ciò che farei io o no.
A me importa solo la qualità di quello che fa: ossia la forza, l'efficacia, l'intensità, la coerenza del prodotto che mi presenta, quale che sia il suo modo di leggerlo.
Se il prodotto è grande teatro e grande musica, io preferirò lui a chiunque (pur leggendo il Fidelio come lo leggerei io) sia meno bravo a presentarlo.
Abbado a Reggio Emilia fu grandioso in questo senso, almeno per me.
Ovviamente intensissima e quasi insostenibile emotivamente è stata tutta la seconda parte, inutile insistere in dettagli.
Ma ciò che mi ha sorpreso di più è stato il primo atto (quelle scene "popolari" e da Singspiel delle quali secondo te Abbado non saprebbe che farsi).
Sono rimasto colpito da come il taglio realistico e scabro dato dal regista alla recitazione di Rocco, Marzelline e Jacquino (senza alcuna concessione al gioco e all'ironia) trovasse risposta nell'atmosfera (come dire) quasi... legnosa del suono orchestrale (l'evidenza data agli "strumentini", la sordina imposta agli archi), come ovattata, sospesa in una sensazione di attesa, molto "inglese".
Con questa base originialissima,carica di tensione e di silenzio (solo in apparenza mozartiana) le facezie dei personaggi comunicavano una serietà tutta nuova, quasi un bisogno di non pensare al presagio che aleggia nell'aria e che, sappiamo bene, sta per esplodere.
Non dico che fosse una lettura giusta o sbagliata; dico solo che raramente ho trovato le scene "comiche" (chiamiamole così) tanto fuse e coerenti con quelle "eroiche", anzi indispensabile strumento di preparazione a ciò che seguirà.
Venendo infine alla tua lettura del Fidelio, mi pare francamente esagerata e un filino "giacobina"!
Voler fare di Beethoven e (quel che è peggio) del Theater an der Wien e di Schikaneader dei contro-rivoluzionari restauratori, che esaltano l'Ancien Régime, vuol dire forzare il senso del Fidelio esattamente quanto fecero i Romantici.
La vittoria del Diritto sull'arbitrio, sul totalitarismo (che è vero! Hai ragione! E' il senso ultimo del finale) non significa affatto rimpianto del vecchio ordinamento rovesciato dalla Rivoluzione Francese: la difesa del diritto è un atteggiamento mentale tipico del pensiero illuminista, libertario, borghese e massonico tardo-settecentesco.
Ed è rimasto tale prima e dopo la Rivoluzione francese.
Hai ragione nel sostenere che tale atteggiamento non è affatto detto che si riconoscesse nelle violenze giacobine e in Napoleone (anzi, a rigore avrebbe dovuto condannarli). Quindi se tu rigetti l'arbitraria corrispondenza: "libertarismo" = "bonapartismo" hai tutta la mia approvazione.
Ma meno ancora - e a maggior ragione, se mi permetti - si può affermare che il pensiero illuminista si riconoscesse nel precedente ordinamento aristocratico e monarchico, desiderasse addirittura ripristinarlo.
Insomma, per demolire l'equazione precedente, tu arrivi a sostenere un'equazione opposta e ancora più assurda.
Arrivi a presentare il finale del Fidelio come un inno restauratore!
La verità è che l'anelito libertario e illuministica (tipico dell'An der Wien e di Beethoven) è allo stesso modo ostile all'Ancien Régime quanto a Napoleone (che a ben guardare sono molto simili).
Chi crede nei diritti dell'uomo, nella sua libertà, nell'uguaglianza fra le persone (come erano i veri illuministi) condannerà il primo esattamente come il secondo.
Salutoni,
Mat