da Aristecmo » mer 22 set 2010, 16:02
Sono estremamente affascinato dalla figura di Pauline Viardot, la "belle laide" come la chiamava Berlioz. Una donna dal volto obiettivamente sgraziato, dalla voce probabilmente altrettanto aspra (tanto da ricordare a Saint-Saëns, per sinestesia, il sapore delle arance amare, ma sprigionante una carica erotica, oltre che artistica, tale, da essere stata una delle donne più ambite della sua epoca.
Non so bene se davvero le pagine scritte per lei tenessero conto più delle sue caratteristiche intellettuali o della sua voce. Una voce costruita con pazienza, e che probabilmente non c'era nemmeno, in partenza. Morta la Malibran, il monstrum di famiglia, ai Garcia rimaneva questa piccola ragazzotta intelligente, che suonava il pianoforte divinamente ed aveva preso lezioni anche da Liszt. A sedici anni la buttano su un palcoscenico, se non sbaglio a Londra (città dove il ricordo della sorella era ancora vivissimo) a cantare Desdemona, cavallo di battaglia della defunta Maria. La Viardot poi cantò di tutto, e fu tra l'altro una delle pioniere del melodramma esportato in America: nel 1855 cantò Zerlina a Boston (con il taglio del ruolo di Donna Elvira, e il ridimensionamento di quello di Donna Anna, la parte della contadinella era considerata di primissimo piano).
Poi si sposò con il direttore dei Musei di Parigi, Monsieur Viardot, che era anche sovrintendente del Théâtre des Italiens a Parigi. Attorno alla Viardot vennero creati spettacoli di grandissimo successo: Fidelio (in francese, con cambio di nome della protagonista da Leonora a Isabelle), Alceste e il celebre Orfeo revisionato dal grande amico di Pauline, quel giovinotto un po' provinciale salito dal suo piccolo borgo nell'Isère armato delle più belle speranze: Hector Berlioz. L'Orphée, nella versione Viardot-Berlioz, con il riadattamento e la riorchestrazione di tutto il materiale gluckiano disponibile (si tratta in effetti di un collage delle edizioni di Vienna 1762, Parigi 1776 ed anche Parma 1769). Più la famosa e quasi strampalata cadenza, scritta, secondo la leggenda, a quattro mani: v'intervennero infatti Berlioz per la prima sezione, Adolphe Adam per la seconda, la Viardot per la terza (doppia scala cromatica su tutta l'estensione: Sol grave-Do acuto) e il cocchiere della Viardot per la conclusione!
Ritiratasi in uno strano ménage-à-trois (ma dalla migliore amica di George Sand cosa ci si poteva aspettare?) con il marito e il grande autore russo Ivan Turghenev in quel di Bougival e poi a Baden-Baden, la Viardot smise di cantare in pubblico, e si lanciò nella promozione di giovani compositori (Saint-Saëns, Massenet, poi Fauré), nella composizione e nella ricerca di spartiti antichi. Sacrificò tutti i suoi gioielli per acquistare l'autografo del Don Giovanni, spartito che figurava in bella vista nel vano vetrato di una tavola da caffé nel salotto della sua casa a Saint-Germain-des-Prés in Parigi, dove tornò alla morte del marito. Qui si radunava ogni giovedì una combricola di musicisti affermati e sbarbatelli alle prime armi, e si discuteva delle nuove tendenze musicali nazionali ed estere. Poi la signora Viardot si metteva all'organo (bellissimo esemplare oggi depositato presso la chiesa parrocchiale di Meulun, vicino a Parigi) e cantava una cantata per contralto di Bach recentemente scoperta, o un'aria dal Rinaldo di Handel.
La Viardot ottenne anche l'incarico di maestra di canto nelle classi femminili del Conservatoire National. Tra le sue allieve: Marie Delna, Jeanne-Gerville Réache, Marie Artôt-de-Padilla... E, privatamente, l'immensa Félia Litvinne. Tutte artiste delle quali possiamo farci un'idea sulla base delle incisioni conservate.
Nel 1904 Pauline Viardot, ottanquattrenne ancora piena di energia, mise in scena la sua unica composizione teatrale: l'operetta "Cendrillon". Più o meno in quegli anni andò a trovarla il mitico Reynaldo Hahn ; fu accolto con grande cortesia dall'augusta vegliarda. Hahn raccontò in un'intervista, della quale purtroppo non riesco più a ritrovare gli estremi, che grande fu il suo stupore quando vide la Viardot, al fine di fargli un esempio della sua arte, mettersi al pianoforte e cantare la scena dei campi elisi dell'Orfeo una volta nella versione di Berlioz, e l'altra nello stile settecentesco, con ornamenti di grande pertinenza e bellezza.
Purtroppo nell'anno del centenario della ricorrenza della morte di questa protagonista della scena artistica ottocentesca non mi sono venute a conoscenza iniziative degne di nota. Ricorderò sempre la sua povera tomba annegata nell'edera al cimitero di Montmartre.
Leggendo il suo epistolario, pubblicato qua e là, ho maturato della Viardot l'impressione di una anima spiritosissima, di grande complessità culturale, aperta al mondo e, soprattutto, profondamente buona e amante del prossimo. Ultima piccola nota: Pauline Viardot fu tra le primissime artiste che credettero nell'importanza della tutela dei diritti d'autore. Quando nel 1887 venne rifondata la SACEM (equivalente, in campo esclusivamente musicale, della SIAE italiana) la Viardot fu tra le prime ad accogliere l'invito a contribuire. Mi è stato regalato tempo fa un biglietto autografo della diva, nel quale, rispondendo verosimilmente ai ringraziamenti del direttore della associazione, trovò queste semplici parole: "La mia adesione non avrebbe saputo mancarle". Grande artista e grande donna!