Che diciamo di Meyerbeer?

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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » mer 15 set 2010, 10:45

Riporto un attimo il discorso su Meyerbeer e sulla questione registica.
Mi scuso, Alberto, di essermi espresso male. Rileggendo il mio precedente post mi sono accorto di non aver per nulla chiarito il mio pensiero.
Provo a spiegarmi meglio, premettendo che le tue obiezioni sono validissime e da me pienamente condivise.

mattioli ha scritto:Non vorrei, in altri termini, che un'eventuale resurrezione di questo repertorio, da intendere ovviamente come ricerca di quanto di presente c'è nel suo passato e non come confronto fra il do acuto del tenore e quello di Escalais, si risolvesse soltanto in una serie di contaminazioni linguistiche o prodigi scenotecnici.


Il fatto, Alberto, è che il problema più grave del repertorio medio-ottocentesco, specialmente francese, è proprio qua.
Non nei contenuti (che pure sono un problema a loro volta, ma successivo)...
E' sul tipo di linguaggio figurativo (o linguaggi) da associare al suo linguaggio musicale, disperatamente lontano dai nessi che la civiltà odierna imposta fra struttura musicale e narrazione figurativa.
Difficile parlare di contenuti se non si è prima risolto questo aspetto.
La difficoltà di mettere in scena un Profeta non sta, secondo me, nella presenza di elementi diversivi come le danze, le acrobazie sul ghiaccio, le lungaggini o altri aspetti ritual-celebrativi da Grand-Opéra (spauracchi non nostri, ma di un'estetica vecchissima, idealista e post-wagneriana che oggi sopravvive solo in certi sopravvissuti intellettualini tedeschi). Non sono certo i balletti che possono intimidire oggi un regista o un pubblico...
Il vero problema di Meyerbeer è l'esposizione musicale nota per nota, battuta per battuta, e l'estrema distanza fra queste note e le immagini che, per i nostri criteri di teatralità, esse dovrebbero evocare... Le ridondanze a strofe, i refrain e il loro apparente infantilismo, la fissità dell'alternanza dei numeri, la schematicità armonica, le formule fisse e stantie, i "no, no, no, no..." di Tartariniana memoria.
Tutto il linguaggio musicale di Meyerbeer, il suo lentissimo svolgersi, il suo disperdersi in rivoli formali che hanno oggi smarrito il loro significato e sono per noi noiosi, ridicoli, inammissibili.
Tutto questo grava sull'ascoltatore moderno come un odore di muffa...

Ed è inutile spiegare (alla "musicologa giustificazionista") che quella sintassi antica ha un significato storico, culturale, e bla... bla.. bla: la verità è che se non si trova il modo di rivitalizzarla associandovi immagini che la rendano viva oggi, anzi "bellissima" e persino "necessaria"... (come fece Ponnelle quaranta anni fa sulle formule della comicità musicale rossiana) il teatro meyerberiano non risorgerà.
Finché continueremo ad associare alla ripresa di una strofa, ai tipici ritmi dei numeri di colore, all'evidenza gotica e involontariamente comica della solita settima diminuita in un passaggio "horror", le solite immagini "operistiche" che ci vengono dai cattivi registi non usciremo da questo impasse.

Ma come fare?
Registi come Stoelz (che citavo per il Benvenuto Cellini), ma anche come a Caurier e Leiser - che personalmente non sopporto - hanno avvertito con chiarezza questo problema (rapporto fra immagine moderna e articolazioni musicali che puzzano di vecchio) e hanno tentato di porvi rimedio nel modo più facile: ossia creando contrapposizioni espressionistiche (e quindi comiche) fra musica e immagine.
L'espediente funziona sul momento, il pubblico si diverte, ride... ma in questo modo non si salva la drammaturgia.
La scappatoia resta senza frutti anzi amplifica il sospetto dell'impossibilità di una riproposizione seria...
E allora come fare?

Be'... ad esempio in Verdi il "nostro" amato Richard Jones c'è riuscito.
Ovviamente Verdi non è Meyerbeer, e tuttavia il concertato che conclude la scena del banchetto (Sangue a me) ci pone lo stesso problema.
Verdi lo imposta come un valzerone di sapore paesano (ovviamente per noi) che oggi nessun ascoltatore potrebbe associare alla tragicissima situazione che vorrebbe descrivere.
Il pubblico moderno ha già qualche problema con la forma stessa del "concertato"; figuriamoci con una melodia simile.
La soluzione non consiste nel tentare di "occultare" visivamente la popolanità imbarazzante del brano (come tentano i registi "intellettuali"), bensì di scatenarla senza ritegno e senza vergogna: sfruttarla per associarla ad immagini che la contemporaneità conosce.
Richard Jones, a Glyndebourne, mette tutti i personaggi in una grande balera da "liscio" (con tanto di mirror ball che luccica in alto) e li fa volteggiare in valzer sulle note della musica, fra ammiccamenti horror di varia natura.
L'immagine, più da fiction mafiosa americana che da "opera", è serissima, terrificante, non fa ridere, ma è vera... perchè ha sfruttato la musica associandola a un'immagine dell'oggi. E la musica di Verdi, con la sua popolanità, la schematicità formale, non è più imbarazzante, bensì bellissima, NECESSARIA, come se, per un momento simile, non fosse pensabile una musica diversa.

L'errore dei tedeschi e altri registi intellettuali europei è stato quello di pensare che il repertorio popolare e borghese ottocentesco fosse lontano da noi soprattutto in senso contenutistico, per i valori che difendeva. E su questo hanno lavorato: nell'elaborarne il messaggio, attualizzandolo in ricontestualizzazioni più o meno audaci, ecc...
Ma così facendo hanno scelto la via più facile e soprattutto non hanno risolto il problema.
Non sono affatto i contenuti del Profeta o di Robert le Diable che mettono in crisi noi pubblico contemporaneo... e nemmeno la lungaggine, nemmeno le diversioni spettacolari.
E' proprio la natura stessa di quel tipo di "musica teatrale",con la schematicità delle sue forme, la prevedibilità delle sue armonie, la rigidità delle sue melodie che ci mette in crisi.

Da questo punto di vista, Wagner che abbiamo citato è infinitamente più facile, sia per un regista, sia per il pubblico.
In Wagner infatti il rapporto fra decorso musicale e narrazione teatrale è modernissimo: da Wagner nasce tutta la drammaturgia musicale moderna.
Smontarlo e rimontarlo (proprio come dici tu) è tutto sommato fattibile, senza grossi traumi; con Wagner possiamo tranquillamente discettare di "contenuti", dando per scontato il problema linguistico.
Con Meyerbeer siamo ancora fermi lì, invece... incatenati al problema di far passare come "credibile" o, come dici tu, relazionabile all'oggi una narrazione musicale che si fonda su formule lontane da ciò che il pubblico odierno considera un convincente rapporto fra narrazione e musica; ed è un problema che va risolto senza tradire quelle formule, senza emendarle o snaturarle (è l'esempio che facevi con gli Ugonotti di Gavazzeni) e senza nemmeno trasformarle in gags, ma al contrario scatenandole sull'immagine attuale (come il valzer nella balera del Macbeth di Jones).

Il rischio che corre un genio riconosciuto come Lepage è, secondo me, quello dov'è già rovinosamente caduta la Fura, cioè in un mero adeguamento hi-tech del vecchio decorativismo, come se Zeffirelli, parlandone da vivo, scoprisse il computer o la videografica.


Assolutamente giusto.
Infatti, come sai, qua su Operadisc non siamo stati per nulla indulgenti con la Fura e il fallimentare Ring valenciano-fiorentino.
Ma il problema di questi registi, così come di Zeffirelli, non consiste per me nel figurativismo esteriore e nell'effettismo scenotecnico, quanto nell'incapacità di inverare nell'immaginario odierno le antiche forme musicali. Zeffirelli è un puro dilettante in questo senso.

Tu giustamente citi problemi "contenutistici" anche per Meyerbeer. Riflessioni storicistiche, analisi drammaturgiche, ecc...
Giusto, guai se non ci fossero.
Ma, nella fase in cui siamo (ossia all'abc di una eventuale rinascita meyerberiana), io suggerirei di non lasciarcene troppo condizionare.
Alle fine, di quel Macbeth che ho citato, quello di Jones a Glyndebourne, non sono state le audaci riflessioni interpretative/psicologiche a imprimersi nella mia mente, quanto la spaventosa, elettrizzante, sconvolgente forza poetico-emozionale di quelle immagini associate a quella musica.
E lo stesso direi, personalmente, della Forza del Destino di Pountney a Vienna (che invece, mi pare di capire, non è piaciuta a Maugham) :(

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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mer 15 set 2010, 12:52

Ecco, lo sapevo che non bisognava aprire quella porta...
Replico e poi mi taccio.
Sono d'accordissimo sulle tue osservazioni, acute come al solito. E tuttavia noi contemporanei abbiamo risolto problemi linguistici (di rapporto, come osservi, fra quello che si ascolta e quello che si vede) apparentemente molto più difficili. Penso all'opera barocca. Trent'anni fa, o anche venti, nessuno pensava che si potesse cavare una tale prorompente e moderna teatralità da Handel, ad esempio. Cosa c'è di più statico, si pensava, di opere costruite su una serie di recitativi secchi e arie con il dacapo? Eppure, anche qui, superato il decorativismo dei mantelloni e delle piume formato Pizzi & merletti (che non rinnego, sia chiaro: a 16 anni, nell'85, il Rinaldo di Pigi fu uno choc positivo; ma poi si cambia, si cresce, ci si evolve, arrivano la Rodelinda di Villégier e quella di Alden, il Giulio Cesare di Jones - visto tre volte! -, la Semele di Carsen, il Giulio Cesare di McVicar e il mondo cambia. Parafrasando quello che si diceva una volta dei socialisti: chi non è cellettiano a vent'anni è senza cuore, chi è cellettiano a quaranta è senza cervello), dicevo, superata quella fase, chi può negare che oggi quella barocca, così lontana e lontana, attenzione, non come drammaturgia, ma come forme musicali, sia la più contemporanea delle opere?
Hai ragione: è un problema di sintassi, che peraltro i grandi registi di oggi sono perfettamente in grado di padroneggiare. Mi diceva Laurent Pelly che ciò che l'affascina nella sua recente cotta per Donizetti e nell'Handel prossimo venturo (spero non vorrai perderti la Cleopatra della Dessay!) è proprio la necessità di dare contenuto teatrale a ripetizioni e ridondanze musicali apparentemente insensate. Ma il problema sta dall'altra parte del sipario. E' che il pubblico torna a Meyerbeer venendo da Verdi, cioè abituato a una drammaturgia che fa della concentrazione e della sintesi il suo atout. E invece si troverà (o si troverebbe) un tipo di teatro che, al contrario, è volutamente dispersivo, non mira al sodo ma anzi al contorno. E, visto che il teatro è teatro, non una conferenza, anche se sa da dove viene il grand opéra (l'eredità dell'opera francese aulica con la sua ossessione coreografica, il grand opéra napoleonico come veicolo di consenso politico e propaganda illuminista, lo choc di Rossini, insomma, queste cose le sappiamo, diamole per dette), si trova davanti dei macchinoni estremamente ingombranti che, temo, potrebbero metterlo in difficoltà (segue...)
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mer 15 set 2010, 12:59

Il Macbeth di Jones non l'ho visto (i suoi Troyens, però, sì), ma non dubito che abbia tratto il massimo partito dal "grottesco" verdiano, non a caso l'aspetto che oggi attira di più registi e pubblico intelligenti. Ma sarebbe lo stesso nella Benedizione dei pugnali? Francamente, non lo so, anche se è una ragione di più per provarci... E magari provare anche a divertirsi, come se un regista dell'Hollywood di oggi rifacesse i vecchi cappa & spada sfruttando gli effetti speciali e il 3D e il ritmo forsennato dei videoclip.
Infine, la coppia Caurier e Leiser. Credo che debbano fare il leggero. Al loro Mosè mi sono molto divertito, ma non era certo una proposta praticabile per il Rossini serio oggi; alla Clari mi sono divertito e basta, anche perché c'era Santa Cecilia al top delle sue possibilità istrioniche (segue, comunque, il dvd).
Mi sono dilungato troppo: passo e chiudo.
Miao
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » mer 15 set 2010, 14:28

mattioli ha scritto:Ecco, lo sapevo che non bisognava aprire quella porta...
Replico e poi mi taccio.


Uff... Ma quante storie... ;)

E tuttavia noi contemporanei abbiamo risolto problemi linguistici (di rapporto, come osservi, fra quello che si ascolta e quello che si vede) apparentemente molto più difficili. Penso all'opera barocca.


L'esempio è calzantissimo. E' proprio quello che intendevo parlando di invenzione di immagini nuove sulle articolazioni di una musica teatralmente lontana da noi.

il Giulio Cesare di Jones - visto tre volte! -

:) ... ricordo bene il tuo antico entusiasmo per quel Cesare bavarese. Era la prima volta che sentivo nominare Jones, poi divenuto il mio filleul!


Mi diceva Laurent Pelly che ciò che l'affascina nella sua recente cotta per Donizetti e nell'Handel prossimo venturo (spero non vorrai perderti la Cleopatra della Dessay!) è proprio la necessità di dare contenuto teatrale a ripetizioni e ridondanze musicali apparentemente insensate.


Questa testimonianza diretta collima perfettamente con l'immagine che ci siamo fatti di Pelly qui su operadisc.
Vorrei ricordare al proposito le parole di Beckmesser:
Resto convinto che Pelly sia uno di quei registi (rari e preziosi come l'oro) che danno il meglio nelle opere a numeri chiusi: ha bisogno di simmetrie architettoniche da smontare e rimontare e di reiterazioni di ritmi su cui scatenarsi

Il Macbeth di Jones non l'ho visto (i suoi Troyens, però, sì), ma non dubito che abbia tratto il massimo partito dal "grottesco" verdiano, non a caso l'aspetto che oggi attira di più registi e pubblico intelligenti. Ma sarebbe lo stesso nella Benedizione dei pugnali? Francamente, non lo so, anche se è una ragione di più per provarci...


Io invece non ho visto les Troyens, ahimè...
Per quanto riguarda il Macbeth, sì... c'erano sfumature di grottesco, ma vorrei persuaderti che erano la minoranza. Sebbene non mancasse l'umorismo, la sua regia era terribilmente seria, con punte di vero orrore: sulle variazioni del flauto nell'adagio del balletto delle streghe, si vedeva una strega appesa a un cavo in alto con in mano un bambino di cartone; con un paio di forbici lo tagliava a pezzi. Un brivido horror lungo la schiena.
O l'ossessione di Lady Macbeth nella sua cantina, vicino a una lavatrice bianca, che alla luce di una lampadina sporca reitera il proprio gesto compulsivo (togliersi i guanti di plastica, ficcarli nella lavatrice, mettersene degli altri) proprio mentre la musica descriveva la stessa circolarità.
O l'obitorio in cui Macduff passa in rassegna i cadaveri sui lettini, con tanto di etichetta, per lo spaventoso rituale del riconoscimento dei corpi (a noi televisivamente ben noto), mentre il coro ritma il proprio sgomento.
Tutto vibrava di una verità che va ben oltre il "grottesco" e anzi è tanto più sgomentante perché affonda le radici nella contemporaneità delle nostre emozioni.
Quante emozioni in quel Macbeth...
Ti consiglio di vedertelo a Lille, dove - se ben ricordo - lo riprenderanno.

Salutoni,
Mat

PS: ma ti pare che possa perdermi il Cesare Dessay-Pelly? :)
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mer 15 set 2010, 16:48

PS: ma ti pare che possa perdermi il Cesare Dessay-Pelly?


E Lawrence Zazzo, bra-vis-si-mo!
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda DottorMalatesta » lun 18 nov 2013, 11:46

Vorrei approfondire la conoscenza del grand-opéra francese. Cosa mi consigliate? Con che opera iniziare? In quale incisione audio/video?

Grazie dei suggerimenti!

DM
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda beckmesser » lun 18 nov 2013, 13:04

In mancanza di una versione anche solo decente della Juive, grand-opéra significa Meyerbeer.

Partirei con Huguenots: se vuoi stare con le incisioni ufficiali, per me la migliore è la Erato diretta da Diederich (fra l'altro appena ristampata a prezzo stracciato). Ma se vuoi avere veramente un'idea di cosa sia quest'opera, scaricati da internet il live da Bruxelles di Minkovski.

Per Prophete, la Horne (ma il live con Gedda della Mito, giammai l'incisione).

Per Robert le Diable, il live parigino dell'85 con Ramey e la Anderson fa la sua figura. C'è qualche taglio (ma nemmeno troppi), ma l'idea che se ne ricava è più che adeguata, e Ramey è fenomenale.

Sui video, meglio lasciar perdere...

Buon divertimento...

Beck
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda Freniano » lun 18 nov 2013, 13:09

Per l'Africaine, aggiungo io, l'unica incisione che dia l'idea di un testo quasi completo è quella con la Arroyo e Casellato Lamberti, ora fuori catalogo, ma reperibile in altri modi...
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda pbagnoli » lun 18 nov 2013, 16:18

beckmesser ha scritto: In mancanza di una versione anche solo decente della Juive...

Be', non sarei così drastico.
Shicoff non sarà l'Eleazar dei nostri sogni, ma su questo personaggio ha fatto un lavoro importante e anche lo spettacolo non mi sembrava malvagio.
E' un bel po' che non lo vedo e potrei essermi addolcito con il passare degli anni, ma...

beckmesser ha scritto: Partirei con Huguenots: se vuoi stare con le incisioni ufficiali, per me la migliore è la Erato diretta da Diederich (fra l'altro appena ristampata a prezzo stracciato).

Vero, è completa. In effetti, a mia memoria lo era anche l'incisione di Bonynge, peraltro funestata dalla presenza di Vrenios, un clamoroso mistake di distribuzione anche se partito da un'idea originale: quella di un tenore contraltino come Raoul.
Però convengo con te: quella Erato è molto meglio.
Tuttavia nessuno dei protagonisti - tutti assolutamente corretti - finisce veramente per darmi i brividi come succede invece invece con il live tagliatissimo di Vienna 1970 con Gedda, Tarrès e Shane. Lì Gedda è il miglior tenore del mondo, senza equivoci: è spettacolare in tutto, smorzature, acuti stratosferici, messe di voci, pianissimi, persino un po' più di un'idea di un falsettone rinforzato che dovrebbe essere la vera cifra stilistica di questo bellissimo ruolo

beckmesser ha scritto: Ma se vuoi avere veramente un'idea di cosa sia quest'opera, scaricati da internet il live da Bruxelles di Minkovski.

Questo piacerebbe anche me, perché non ce l'ho.
Hai un indirizzo da darmi?
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda DottorMalatesta » lun 18 nov 2013, 16:55

Grazie per i preziosi consigli!!!
Sono a buon punto, considerando che ho il Profeta con Gedda e la Horne, e il Robert le diable con Ramey.
Delle altre opere ho altre incisioni rispetto a quelle consigliate da Beckmesser e Freniano, ma mi darò da fare per recuperarle.
Che mi dite del video del Robert le diable con la regia di Pelly? In questi giorni sto ascoltdno l'audio: Oren dirige con una mazza da baseball al posto della bacchetta, e gli elementi del cast sono decisamente al limite delle proprie forze...

pbagnoli ha scritto:
beckmesser ha scritto: Ma se vuoi avere veramente un'idea di cosa sia quest'opera, scaricati da internet il live da Bruxelles di Minkovski.

Questo piacerebbe anche me, perché non ce l'ho.
Hai un indirizzo da darmi?
Grazie!
Pietro


Anch'io non sono riuscito a trovarlo :oops: ...
Avresti qualche informazione da dare anche a me?

Grazie!

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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda beckmesser » lun 18 nov 2013, 18:14

pbagnoli ha scritto:Be', non sarei così drastico.Shicoff non sarà l'Eleazar dei nostri sogni, ma su questo personaggio ha fatto un lavoro importante e anche lo spettacolo non mi sembrava malvagio.E' un bel po' che non lo vedo e potrei essermi addolcito con il passare degli anni, ma...


A me quel video piace molto ma, siamo onesti, dà una visione molto parziale dell’opera: prima di tutto è tagliatissima (e con quel tipo di tagli che incidono sulla struttura stessa dell’opera), quasi tutti i comprimari (importantissimi) sono uno strazio… Shicoff è straordinario (la sua realizzazione musicale e scenica dell’aria è una delle cose più sconvolgenti degli ultimi decenni), ma diciamo che fa una specie di ricreazione personale del ruolo, esaltante ma abbastanza arbitraria. È un video assolutamente da vedere, ma direi che fornisce una visione abbastanza parziale dell’opera (anche, se in effetti, non c'è di meglio).

pbagnoli ha scritto:Tuttavia nessuno dei protagonisti - tutti assolutamente corretti - finisce veramente per darmi i brividi come succede invece invece con il live tagliatissimo di Vienna 1970 con Gedda, Tarrès e Shane. Lì Gedda è il miglior tenore del mondo, senza equivoci: è spettacolare in tutto, smorzature, acuti stratosferici, messe di voci, pianissimi, persino un po' più di un'idea di un falsettone rinforzato che dovrebbe essere la vera cifra stilistica di questo bellissimo ruolo


Anche qui, direi stesso discorso: l’edizione Erato fornisce una visione corretta ed esaustiva di quell’opera, l’edizione di Vienna una prova superlativa del protagonista in un contesto discreto ma, diciamo, non del tutto idiomatico. Se l’intento è accostarsi all’opera, io partirei con la prima e poi approfondirei il ruolo di Raoul con la seconda…

pbagnoli ha scritto:Questo piacerebbe anche me, perché non ce l'ho.Hai un indirizzo da darmi?


A memoria non saprei: l’avevo scaricata subito dopo le recite, posso provare a vedere se recupero la fonte. In ogni caso, io ce l’ho: se qualcuno la vuole posso farne qualche copia alla prima occasione.

Saluti,

Beck
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda pbagnoli » lun 18 nov 2013, 18:44

beckmesser ha scritto:
pbagnoli ha scritto:Questo piacerebbe anche me, perché non ce l'ho.Hai un indirizzo da darmi?


A memoria non saprei: l’avevo scaricata subito dopo le recite, posso provare a vedere se recupero la fonte. In ogni caso, io ce l’ho: se qualcuno la vuole posso farne qualche copia alla prima occasione.

Nel caso in cui non riuscissi a darmi un indirizzo, considerati prenotato! :mrgreen:
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda pbagnoli » lun 18 nov 2013, 18:54

beckmesser ha scritto:

pbagnoli ha scritto:Tuttavia nessuno dei protagonisti - tutti assolutamente corretti - finisce veramente per darmi i brividi come succede invece invece con il live tagliatissimo di Vienna 1970 con Gedda, Tarrès e Shane. Lì Gedda è il miglior tenore del mondo...


Anche qui, direi stesso discorso: l’edizione Erato fornisce una visione corretta ed esaustiva di quell’opera, l’edizione di Vienna una prova superlativa del protagonista in un contesto discreto ma, diciamo, non del tutto idiomatico. Se l’intento è accostarsi all’opera, io partirei con la prima e poi approfondirei il ruolo di Raoul con la seconda…

Quello che tu dici è interessante perché è un problema su cui si avvitano molte delle nostre discussioni: meglio un'edizione fondamentalmente corretta che ci dia una visione d'insieme di tutto il problema; o un'edizione magari monca in alcuni aspetti, ma che ne presenti uno assolutamente esaltante?
Per quanto mi concerne, dopo aver passato anni a cercare di ogni opera l'edizione di riferimento, quella che avesse tutte le cosine al loro posto, negli ultimi anni mi sono volto soprattutto a quelle di secondo tipo, quelle cioè con l'elemento - anche singolo - assolutamente outstanding.
Questa esigenza diventa assoluta in un'opera come questa che non riesce a vivere né a camminare con le proprie gambe, ma che necessita assolutamente di interpreti fuori dagli schemi, in grado di dare quella visibilità che - altrimenti - avrebbe solo presso gli appassionati. E nemmeno tutti...
Nella fattispecie, inoltre, c'è da dire che Enriqueta Tarrès, pur non avendo voce da Falcon che sarebbe richiesta per Valentine, riesce comunque a comporre un personaggio credibilissimo e molto convincente da un punto di vista vocale; e Rita Shane - pur non essendo la Sutherland - ribatte colpo su colpo a Gedda nel loro bellissimo duetto.
Questo a me potrebbe bastare, anche in presenza di un'edizione che è - sostanzialmente - una selezione abbondante.
Io probabilmente oggi farei il percorso inverso al tuo: prima l'edizione monca ma caratterizzata dall'interprete fuori dagli schemi; e poi quella ortodossa.
Però forse il tuo punto di vista è quello metodologicamente più corretto
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » lun 18 nov 2013, 20:10

Shicoff è straordinario (la sua realizzazione musicale e scenica dell’aria è una delle cose più sconvolgenti degli ultimi decenni),


Vero, Beck. Io ero a quelle recite e ricordo di essermi commosso fino alle lacrime. Poi, quando Shicoff attaccava la cabaletta, diciamo che le lacrime venivano per altre ragioni.
Mi collego a questo per dire che, IMHO, ha ragione il Bagnolissimo:

meglio un'edizione fondamentalmente corretta che ci dia una visione d'insieme di tutto il problema; o un'edizione magari monca in alcuni aspetti, ma che ne presenti uno assolutamente esaltante?


Io probabilmente oggi farei il percorso inverso al tuo: prima l'edizione monca ma caratterizzata dall'interprete fuori dagli schemi; e poi quella ortodossa.


E' esattamente quel che successe con la Callas. La sua Bolena era ipertagliata, discutibile stilisticamente, tutto quello che volete. Però grazie a lei la Bolena è tornata in circolazione. E' esattamente quello che avevo cercato di spiegare a teo.emme nella famigerata discussione su Vestale. Dopo che l'aveva cantata la Callas, tradotta e tagliata, l'opera ha circolato. Dopo che l'ha diretta Muti con tutte le note tutte, nessuno se l'è filata...
La morale è sempre quella: a teatro contano le personalità. Il resto è, temo, solo letteratura.
Ciao miao bao

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PS. ma la piratata degli Ugonotti di Bruxelles non potrei averla anch'io : Blink : ?
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda beckmesser » lun 18 nov 2013, 20:21

pbagnoli ha scritto:Io probabilmente oggi farei il percorso inverso al tuo: prima l'edizione monca ma caratterizzata dall'interprete fuori dagli schemi; e poi quella ortodossa.Però forse il tuo punto di vista è quello metodologicamente più corretto


Credo che in verità dipenda molto dalla sensibilità di ciascuno e da cosa, in particolare, ciascuno cerca ascoltando un’opera. Io la vedo in modo diverso: un ritratto singolo, per quanto outstanding, mi interessa in un secondo momento, quando ho chiaro il quadro generale. Un protagonista ben delineato mi dice tutto sommato poco, se il resto del quadro è sfocato. E questo soprattutto in un grand-opéra meyerbeeriano. A lungo si è letto della genericità dei personaggi in questo repertorio, della pretenziosità delle situazioni, dell’effettismo, ecc. Tutte balle (IMHO, ovviamente). L’impressione era quella perché ci si concentrava sui personaggi isolandoli dal contesto (che veniva amputato e deturpato). Purtroppo l’essenza della drammaturgia di quel repertorio deriva proprio dal modo in cui i personaggi si fondono nel quadro generale, dal modo in cui quest’ultimo li governa fino a schiacciarli, esattamente come avviene in un romanzo di Balzac; e il quadro generale in Meyerbeer è dato proprio da quelle apparenti divagazioni musicali che di solito venivano tagliate, e che se mantenute e (soprattutto) ben indagate e valorizzate creano quel “tempo” della narrazione (in sé e nella percezione dell’ascoltatore) che rende verosimili le azioni dei personaggi. Senza quel “tempo”, davvero tutto sembra “effetti senza causa”. Quel “tempo” io l’ho percepito per la prima volta (in Meyerbeer) a Bruxelles con Minkowski così come, nel Tell, lo avevo percepito per la prima (e unica) volta alla Scala con Muti. È quel quid che fa si che un’opera di oltre quattro ore passi in un momento; non è solo questione di buona o ottima esecuzione: è il completo governo del quadro complessivo, dove ogni dettaglio acquista un senso nell’architettura generale.

In questo senso, il live di Vienna è indispensabile per capire il quid specifico di un personaggio ma, senza il quadro complessivo, quelli per me quelli non sono gli Ugonotti…

mattioli ha scritto:E' esattamente quel che successe con la Callas. La sua Bolena era ipertagliata, discutibile stilisticamente, tutto quello che volete. Però grazie a lei la Bolena è tornata in circolazione. E' esattamente quello che avevo cercato di spiegare a teo.emme nella famigerata discussione su Vestale. Dopo che l'aveva cantata la Callas, tradotta e tagliata, l'opera ha circolato. Dopo che l'ha diretta Muti con tutte le note tutte, nessuno se l'è filata...


Sul fatto che si parta sempre dall'intuizione di un fuoriclasse, sono d'accordissimo; che la Callas fosse una Bolena stratosferica, ovviamente anche; che quelle rappresentazioni dessero un quadro attendibile di Anna Bolena come opera, un filo meno...

mattioli ha scritto:PS. ma la piratata degli Ugonotti di Bruxelles non potrei averla anch'io ?


Vedremo... Si riunirà il Gran Consiglio di Operadisc per decidere la penitenza che dovrai sostenere per averla: personalmente, voterei per un ascolto integrale del Siegfried di Muti della Scala; ovviamente video, dato che la messinscena di Engel era essenziale per capire la portata storica di quell'allestimento...

Saluti,

Beck
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