marco ha scritto:mi piacerebbe molto se ci descrivessi lo spettacolo di Jones, non solo ovviamente per me ma anche per gli altri amici del forum che non lo hanno visto e poi perchè come ho già detto non sono riuscito a comprenderlo nella suo svolgimento complessivo
Be' ... ci posso provare.
Lo spettacolo era talmente complesso che rischio di dimenticare qualcosa: inoltre potrei aver frainteso certi simboli, non tutti immediati. Chiedo aiuto a Marco e Maugham e ad altri eventuali testimoni oculari.
Premetto che la regia iniziava prima della rappresentazione.
Già all'arrivo alla Max-Joseph Platz, si poteva vedere l'immensa facciata del Nationaltheater coperta da giganteschi striscioni azzurri, recanti la scritta: "frag'nicht" (non domandare!)
All'ingresso del teatro alcune maschere distribuivano un volantino (che poi avremmo visto in scena): vi era ritratta la foto di un bambino, con sopra scritto: "vermisst" (scomparso).
Ma soprattutto il programma di sala.
Sulla costa era indicato il titolo dell'opera (Lohengrin), ma sulla copertina no.
C'era invece una scritta cancellata: "cronaca di un fallimento".
Un fallimento.
Ed è proprio questo che descrive Jones, con la sua regia: il fallimento di un ideale, di un sogno.
A fallire è "il sogno di Elsa".
Trasformata nel fulcro dello spettacolo, nel nocciolo stesso della storia, Elsa assume in questa regia un primato assoluto: Lohengrin non è che lo strumento del suo "sogno", nonché del fallimento.
Tutto ruota intorno a Elsa, al suo sogno impossibile, alla sua ribellione cocciuta, coraggiosa, trascinante.
Per inciso voglio sottolineare l'assoluta bravura di Anja Harteros, che forse - in un altro spettacolo - non avrebbe lasciato come Elsa un segno tanto profondo.
Ma a Monaco la Harteros assorbe profondissimamente la regia di Jones, se ne fa carico completamente, ne condivide ogni responsabilità.
Persino quella sua faccia bella, ma dura, quasi inespressiva, come acciecata dal proprio ideale; persino la sua voce limpida e fredda, inflessibile, tipica di chi non ascolta più nessuno, non vuol sentire altri che se stessa; persino la rigidità con cui indossava la sua divisa da "fattorino" con tanto di bragoni e bretelle, che certo non valorizzavano la sua bellezza ...
L'Harteros è stata l'interprete che non solo aderisce a un'idea (singolare), ma la fua sua, vi trasfonde la propria personalità.
Ma torniamo al "sogno di Elsa".
Un sogno di isolamento e di negazione.
Una casa.
La casa che Elsa sogna deve essere semplice e perfetta, con mobili puliti, linee leggere, strutture di legno (che giustamente Maugham ha definito "da Ikea"). Deve avere l'orticello, la piccionaia, un piano superiore con le camere da letto (in cui non può mancare la culla) e uno inferiore con il salotto e il caminetto.
Nell'ultimo atto si leggono persino (tra le composizioni di fiori) le frasi scritte da Wagner sul suo rifugio di Bayreuth, villa Wahnfried.
L'infallibile Maugham che se ne è accoto potrebbe tradurle per noi...
La casetta di Elsa è più che un focolare, è più che un rifugio, è più persino di una poetica restaurazione della "famiglia felice".
E' la negazione della realtà, della società che si trasforma, delle logiche della contemporaneità: è il rifiuto del "passatista" (di cui parlavamo tempo addietro) di adeguarsi alle mutazioni del presente.
Infatti nella sua casa (scena del matrimonio) lei e suo marito sono vestiti con abiti antichi, tradizionali, di una Baviera che non esiste più. I rituali delle nozze (una fascia viola che avvolge le braccia degli sposi, intenti a brindare) evoca pratiche lontanissime, pre-industriali.
Nel sogno di Elsa convergono impulsi tradizionalisti (il ritorno a un vagheggiato passato) e persino "socialisti". Lei infatti rifiuta il "ruolo" che il lavoro appiccicca addosso a ogni essere umano: nella società attuale, ogni uomo non è altro che il lavoro che svolge. La sua schiavitù al "ruolo" è la prigione dell'essere umano.
Elsa no. Lei sogna la sua casa, dove sarà libera di essere lei stessa. Non più un ruolo, non più un lavoro.
Sarà lei stessa, sganciata dal resto della società, dalle logiche del lavoro, dall'evoluzione dei tempi, libera solo di coccolare i suoi sogni di famiglia felice, focolare scoppiettante e bambini che giocano.
Tutto questo è chiaro fin dal preludio, di cui Jones sfrutta le tensioni e le esplosioni con un'intensità che lascia sconvolti.
Al centro del palco, Elsa ci volge le spalle, immobile davanti a un cavalletto da disegno tecnico. E' vestita da fattorino (il suo vero lavoro), ma ha in mano un pennarello.
Lentamente comincia a tracciare sul foglio bianco i perimetri della sua futura "casa". Questa lunga scena (lunga quasi quanto tutto il preludio) trae le proprie tensioni dalla musica. Man mano che si sviluppa il tema del Graal, che accede ai suoi sublimi fragori, noi vediamo il progetto prendere forma. Siamo tutti con lei: la musica di Wagner ci spinge a condividere il Graal di Elsa, la sua silenziosa, individuale rivoluzone.
Tutti gli altri personaggi dell'opera sono in subbuglio. Sono tutti vestiti da "dipendenti" (immaginate un grande hotel, un grande magazzino, quello che volete). Ci sono i fattorini, alle cui fila appartiene Elsa, le guardie per la sicurezza, gli impiegati, i camerieri, i custodi, i manager e gli amministrativi (fra cui Ortrud, nel suo impeccabile tailleur grigio con tacchi e caschetto biondo). Tutti sono "lavoratori", incatenati al loro ruolo professionale, tutti con la loro brava divisa.
Persino il re, persino Telramund indossano una livrea; persino quella specie di delegato sindacale che è l'Araldo, ripreso dalle telecamere ad ogni suo intervento.
Tutto questo cosmo di lavoratori è in subbuglio per la "ribellione" di Elsa, la quale, senza nemmeno guardarli, continua a portare avanti e indietro i suoi mattoni.
Quella pazza velleitaria, con i suoi progetti edili, sta creando subbuglio, silenziosamente fa adepti.
Altri infatti cominciano ad aiutarla, a portare mattoni a loro volta...
Telramund e Ortrud, sia pure per ragioni diverse, le si oppongono.
Vedono l'assurdità, vedono il pericolo di questo "sogno".
Dichiarono l'impossibilità di un progetto di vita "solipsistico": la società si fonda sulla propria costante mutazione e sulla distribuzione dei ruoli. La nostra "prigione" è la nostra salvezza. I sogni come quello di Elsa sono destabilizzatori e nocivi.
Elsa viene fermata (nel suo continuo andiriviene con i mattoni), viene posta in giudizio, simbolicamente alzata su un mucchio di mattoni con un pilone in mezzo (quasi un rogo da novella Giovanna d'Arco).
Lei si giustifica dicendo: "è possibile".
Ho sognato un uomo così e così.. un uomo libero dalle catene della società, libero dalle divise, fedele a quelle tradizioni che lasciavano l'essere umano al centro di tutto.
Che si mostri, allora! E infatti, lateralmente, entra Lohengrin.
E' completamente diverso dagli altri, anzitutto perché non ha una divisa.
Ha una maglietta azzurra, pantaloni che sembrano di una tuta. Regge in mano un cigno (il cui significato si scoprirà, poderoso, al finale). E' l'uomo "libero" che Elsa sognava, che incarna la "possibilità" di vivere fuori dagli schemi sociali.
Elsa ha vinto; Telramund è sconfitto. E l'atto si conclude con Elsa e Lohengrin che, insieme, lavorano da bravi muratori alla fatidica casa; intorno a loro sempre più persone li aiutano, passano dalla loro parte.
I disperati tentativi di Telramund e Ortrud di dimostrare la follia del sogno collettivo in cui Elsa sta trascinando tutti falliranno nel corso del secondo atto.
Telramund fa addirittura un gesto (forte, ripreso al finale da tutto il coro) che vorrebbe sottolineare il proprio fallimento: niente può più salvare il mondo. Si infila in bocca una pistola, fermato in tempo da Ortrud.
Questo "rovesciamento" fra buoni e cattivi è tipico di Jones, del suo bisogno di non fidarsi delle apparenze.
Nella sua prospettiva, il pericolo è Elsa.
Sia pure animata dai migliori propositi, Elsa è l'eversione. Se qualcuno rinuncia a far parte dei meccanismi sociali, la società si frantuma.
Ciò che Elsa otterrà è di creare una nuova società, ma più primitiva ancora, dove coloro che pretende di liberare non potranno che essere la sua stessa copia, molto più schiavi di prima (la fine di tutte le utopie novecentesche).
Eppure il suo velleitarismo fa presa, si trascina dietro folle di adepti. E' ormai l'intero popolo che lavora alla casa di Elsa.
E' veramente difficile descrivere lo splendore dei cori del secondo atto, il cui ritmo incalzante e gioioso si fonde all'incessante lavoro di tutto il popolo intorno alla casa, che si eleva sempre più...
E soprattutto è indescrivibile il finale, di una bellezza visiva da togliere il fiato.
Lohengrin ed Elsa sono seduti al tavolo, circondati da tutto il popolo. Stanno firmando il contratto di nozze.
Una corista li riprende con la telecamera (le cui immagini sono proiettate in alto, al centro della scena).
Lohengrin firma (ovviamente con una X), Elsa firma proprio mentre il coro conclude il suo canto sulle parole "Elsa von Brabant". Nell'entusiasmo collettivo la casa (ormai finita) ruota su se stessa, lasciandoci ammirare in tutta la sua bellezza.
Sul retro però vi è un'apertura sottile (una specie di porta di servizio) a cui Ortrud si avvicina.
E' la crepa nel sogno di Elsa.
Frag' nicht! Non domandare Elsa.
Le prime scene del terzo atto sono un incantevole rappresentazione di felicità domestica.
Ora Elsa e Lohengrin indossano vecchi e ridicoli abiti da cerimonia, della più antica tradizione bavarese. Lei ha uno splendido vestito bianco da sposa, e non più i bragoni e le bretelle del fattorino.
Anche lui è vestito da sposo: non ha più quella specie di tuta azzurra con cui era comparso.
E tuttavia... particolare inquietantissimo... sono tutti i coristi che ora indossano la sua stessa maglietta azzurra.
I timori di Telramund si sono avverati: il popolo, obnubilato dal sogno di Elsa, si è tolto una divisa per mettersene un'altra.
Elsa non ha sciolto la società e liberato gli uomini; ne ha costituito un'altra ben peggiore, in cui gli uomini sono ancora più schiavi.
Per ora lei, Elsa, non se ne è ancora resa conto. Abbraccia il marito, l'uomo libero, si bea della favolistica serenità della sua casa nuova e scintillante.
Ma il dubbio instillatole da Ortud agisce.
Cosa si nasconde ditro all'uomo "libero"? Cosa si nasconde dietro al suo cigno?
Cosa nasconde Elsa dietro il suo stesso sogno?
Guai a chiederselo...
Ma Elsa chiede. Rovina... Telramund irrompe in casa e viene ucciso da Lohengrin. Il cadavaere viene condotto via. Elsa fugge dalla sua casa.
Rimasto solo Lohengrin misura quello spazio senza senso, quella casa della menzogne. e ne distrugge un simbolo di straordinaria importanza: la culla, il nido del "futuro felice"; trascinatala a piano terra, le darà fuoro.
La casa sparisce.
Splendido l'intermezzo sfolgorante di ottoni, mentre in scena vediamo solo Lohengrin, avvolto dall'osurità, seduto, la testa nelle mani.
Arriva la rivelazione. Mentre il cadavere di Telramund è portato come un martire, un eroe, in mezzo al palcoscenico, l'uomo libero svela il segreto, ma questa volta non sul passato (di Lohengrin), quanto sul futuro.
Solo Lohengrin infatti conosce la risposta che tutti, a questo punto cercano. A chi darà ragione il futuro? Il mondo sarà davvero trasfigurato dal sogno di Elsa?
Il cigno è la risposta. E Lohengrin quel cigno l'aveva in braccio quando è entrato.
Poi l'ha messo da parte, quasi a voler negare la verità anche a se stesso, trascinato a sua volta da Elsa: ma il momento della verità è arrivato.
Nuovamente in braccio a Lohengrin, ora il cigno si trasforma: è il bambino scomparso, il futuro contro cui Elsa aveva eretto la sua casa. Ed è un bambino vestito da "lavoratore", in livrea.
Questo Elsa ha chiesto, questa è la risposta. Ad occhi sbarrati, sopra il cadavere di Telramund, la giovane donna fissa il proprio fallimento, mentre il fondale della scena si solleva, lasciando scorgere una specie di grande caserma, o prigione, o sala mensa, ... come volete, ma certo un luogo ben diverso dalla casetta dei sogni di Elsa.
E' in questo luogo grande, ostile e metallico, in cui, guardandosi attorno smarriti, i coristi - vestiti come Lohengrin, con la maglietta azzurra che a questo punto ricorda una divisa da carcerati - si siedono mestamente nelle panche, comprendendo finalmente di trovarsi in una prigione ben più atroce e spersonalizzante di prima.
Mentre cala il sipario, tutti ripetono lo stesso gesto che era stato del loro "martire" Telramund: si infilano una pistola in bocca.
Spero di non aver dimenticato nulla...
Magari poi ci riguardo e correggo la forma italiana.
Ora devo scappare.
Salutoni,
Matte