MatMarazzi ha scritto:L'equazione è semplicemente falsa, persino stupida, e in tutti i casi lontanissima dal dibattito originale, sia che ci mettiamo dalla parte dei secondi, con talebana difesa dell'arte, sia che ci mettiamo (paternalisticamente) dalla parte dei primi, ammettendo generosamente che ..."poverini, sì, c'è posto anche per loro... anche se noi (sia chiaro!!!) abbiamo gusti ben diversi".
D'accordo sulla falsità dell'equazione, anche se è stata senza alcun dubbio suggerita proprio dalla tua storia del calzolaio... Io l'ho solo portata avanti.
Una precisazione: almeno da parte mia non c'è davvero alcun'intenzione paternalistica verso chi la pensa diversamente da me, né un atteggiamento di compassione per l'inferiore.
Io non amo essere deriso o trattato come un povero cretino che non capisce niente e che si fa abbagliare dalla pubblicità e dai lustrini. Davvero non lo sopporto. Pertanto, ritenendolo atteggiamento abietto, non lo adotto.
Al massimo posso fare un commento lievemente cinico alla Sparafucile: "peggio per voi".
Il fatto è che i PASSATISTI possono essere coltissimi (altro che popolari... passatista è anche chi afferma che dopo Tauber non esistono più veri liederisti) e i PRESENTISTI possono essere popolarissimi (le orde di fans della Fleming, ad esempio, escludendo i coltissimi presenti... )
Naturalmente!
(La Fleming esalta il lato trash dell'appassionato d'opera. )
La distinzione fra passatisti e presentisti, però, andrebbe delineata un po' meglio.
Fra i cosiddetti passatisti, ci sono da un lato quelli che guardano ai tempi della loro gioventù, per i quali cioè la storia si sarebbe dovuta fermare a quando loro hanno cominciato a seguire l'opera. Poi ci sono quelli che invece sono scontenti anche del tempo della loro gioventù, e guardano con nostalgia al passato che non hanno potuto sperimentare sulla loro pelle. E' possibile che i primi siano stati in gioventù come i secondi, ma poi invecchiando abbiano rivalutato quello che avevano ascoltato da giovani.
Dal canto loro, i presentisti veri sono solo quelli che risultano del tutto disinteressati al passato, perché ritenuto in blocco remoto e poco interessante. Atteggiamento che non capisco né condivido.
Io, personalmente, sono d'accordo con questa frase:
é giusto o no (nell'arte come in qualsiasi altra cosa) che un fruitore si dissoci dall'evoluzione del genere? (non da questa o quella evoluzione, sia chiaro! Proprio dal principio che il genere possa e debba cambiare...)
Io l'ho detto: chi invoca l'immobilismo, invoca la fine del genere che dice di amare. Dopo due o tre generazioni, il genere declinerà perché non sarà più capito.
e infatti, per parte mia, mi ritengo aperto almeno a cercare di capire i cambiamenti: poi, non sempre li trovo di mio gusto, ma questo è un altro paio di maniche.
Comunque ti do ragione sul mutamento dei linguaggi espressivi.
Qualche mese fa passavo sotto i portici del Comunale di Bologna mentre la diffusione stava trasmettendo "Meco all'altar di Venere" cantata da Corelli. Un ragazzo di circa venticinque anni che passava di lì ha scimmiottato un portamentone di Corelli in modo enfatico, per poi sghignazzare con l'amico. Io ho riso, ma non per compassione ("ignorante! Non sai che questo è un fior di Pollione"), bensì per comprensione: "già - mi son detto - questo è davvero un canto antiquato: sa di "operistico", di stantio, di polveroso, da lontano un chilometro." Poi, io trovo strepitoso il Pollione di Corelli (personaggio unidimensionale fin che si vuole, ma delineato in maniera mirabile), ma ciò non toglie che se volessi "far appassionare" un profano all'opera, MAI E POI MAI glielo farei ascoltare come prima cosa. Avrei paura che fuggisse a gambe levate, o che in alternativa credesse che l'opera sia solo palestra di atletismi vocali.
Però, sempre restando a Norma, farei ascoltare dieci, cento, mille volte l'Oroveso di Pasero, che per me è ancora insuperato per maestosità e solennità d'accento, e - perché no? - tecnica. E' un'incisione del 1937, ma credo che "parli" all'uomo del 2000 meglio di molti altri.
Spesso chi lamenta la "crisi" di un genere, è qualcuno che non frequenta più il genere, e quindi non ne può nemmeno essere considerato "pubblico".
Il Calzolaio di cui vi parlavo non andava all'opera da vent'anni, prima di quel Ballo in Maschera. Ed è andato a quel Ballo proprio perché aveva sentito dire che il tenore era uno di quelli "d'na volta".
Allo stesso modo, chi contesta il degrado della Disney è quasi sempre l'adulto, ossia colui che non va più da 3 o 4 decenni a vedere i cartoni animati, e se ci va è solo perchè vi è costretto (suo malgrado) dai figli.
Bah... scusa, ma questa è un po' tirata per i capelli.
Il fatto che il tuo amico calzolaio (a proposito, è bravo? Non si sa mai... dovessi averne bisogno... ) non andasse a teatro da vent'anni non significa che i passatisti siano persone che ancora usano i lumi a petrolio.