Maugham ha scritto:In pratica, dopo il terzo atto della Carmen di Amsterdam (Carsen) io e il boss ci siamo azzannati per bene fumando come turchi.
Esagerato!
E poi i disaccordi (più lievi ne convengo) c'erano stati anche a Parigi.
Vi dirò che l'incredibile occasione di vedere queste due nuove CArmen ...agli antipodi eppure a pochi giorni di distanza, ha prodotto in me uno strano fenomeno "chiasmatico".
Ad Amsterdam ero rimasto gelato al primo atto: e avevo seriamente temuto di trovarmi di fronte a un flop catastrofico. A mano a mano che l'atto progrediva la delusione si trasformava in irritazione, e infine in sonno.
Il Bagnolo ricorderà l'sms sconsolato che gli ho spedito nell'intervallo. Una regia fiacca, inerte, slentata.
Poi miracolosamente tutto è cambiato: fin dalle prime battute dal secondo atto, con l'indimenticabile immagine di uno squallido retrobottega illuminato di rosso, in cui donne inerti, succinte, stanche, attendono l'inizio dell'ennesima festa, rilassate sulle sedie, sospese nel tempo, aderendo svogliatamente al ritmo cullante della chanson bohemienne. Eccolo: questo è Carsen.
Da quel momento l'allestimento ha preso quota, in un vortice di idee e fantasmagorie a mio parere fragorose, degne della maggior creatività del canadese.
Gli stessi interpreti, lo stesso direttore, la stessa orchestra del Concertebouw mi sono parsi ritrovare slancio e convinzione e la recita è finita in gloria.
A Parigi le mie reazioni erano state semplicemente opposte: avevo trovato il primo atto da urlo. Davvero! Uno di quei miracoli che illuminano la vita di noi appassionati d'opera e che paiono destinati a entrare nella storia.
Maugham confermerà il mio entusiasmo: durante il coro della "fumée" delle sigaraje ricordo di aver pensato "sono in paradiso". Gardiner un vulcano di effetti ed esaltazioni semplicemente incontenibile. Dal canto suo la Antonacci fin dal suo ingresso in scena ha spazzato via ogni possibile dubbio: la miglior colorista italiana dai tempi della Callas e la miglior Carmen di questa generazione, la più originale anche, grazie alla spettacolare distillazione timbrica e dinamica dei suoni. Agli applausi di fine atto ho gridato dei "bravo" talmente convinti da imbarazzare Maugham e rimanere afono per il resto della serata.
Forse proprio a causa di tanta felicità, dal secondo atto in poi il mio entusiasmo è andato scemando.
Gardiner e la sua Orchestre Revolutionnaire et Romantique hanno continuato a sciorinare meraviglie (perfettamente descritte da Maugham), ma con minor senso di onnipotenza. L'orchestra - che avevo sentito perfetta in tante altre occasioni - non mi sembrava padronissima delle sollecitazioni, anzi cauta, circospetta, incapace di quei miracoli di geometria sonora che in tante occasioni le avevo sentito fare.
Il clamoroso disastro del corno (ma veramente clamoroso) denunciato da Maugham nell'aria di Micaela è stato solo il caso più appariscente: ma anche l'introduzione al terzo atto mi è parsa tirata via, poco amalgamata, fin troppo svelta ...forse per evitare imbarazzi a un flautista vistosamente agitato (e vivo per me era il ricordo, sempre a Parigi, di questa pagina diretta in modo incredibile da Minkowski).
La stessa Antonacci, Maugham non sarà d'accordo, dopo avermi sconvolto al primo atto mi ha lasciato vieppiù distaccato negli atti successivi. Era come se dopo un'habanera e una seguedille da Annali dell'Opera non potesse andare e oltre e fosse quindi costretta a ricadere, negli atti successivi, nella sensualità prevedibile da cinematografia mediterranea, nella mossetta "flamencata", nelle gonne sinuosamente sollevate, nella popolanità di maniera (da vera signora che si studia di apprire plebea... quel "taratatà" odioso, almeno per me).
Si aggiunga poi che la regia di Noble - curatissima nel gesto e nella tenuta narrativa - non ha svelato almeno a me alcun segreto: l'onnipresenza di un sontuoso praticabile a forma di arena "troncata" immerso nel nudo spazio teatrale della Salle Favart (i muri, le luci, le impalcature) dicevano fin troppo bene ciò a cui Noble ha inteso fermarsi. Al linguaggio.
Si recuperi il pezzo chiuso, si recuperi la vera forma dell'Opéra-Comique, si restituisca al gesto, al ritmo, al colore la propria natura linguistica, fosse anche con stacchetti coreografici (la chanson bohemienne, il quintetto) che ricordano un po' troppo l'antico avan-spettacolo.
Ho avuto l'impressione che Noble, d'accordo con Gardiner, avesse come principale obbiettivo di fare di questa CArmen un'occasione storica in senso "formale", di chiarificazione e riscoperta, se non filologica, almeno linguistica, senza quindi nulla concedere all'aspetto contenustico o filosofico.
Un po' come Brook, altro grande inglese, aveva fatto con Don Giovanni.
Un teatro di forma; proprio come la direzione di Gardiner.
E' per questo che l'arena troncata si incuneava nella nuda fisicità del palcoscenico. Perché la forma teatrale si faceva sostanza drammaturgica.
Ed è per questo che alla sfilata dell'ultimo atto, non si vedono i toreri, ma solo i coristi impegnati a correre e indicare. Infatti in quella scena è fisicamente il coro ad essere protagonista, non più fatto di spettatori, come sarebbero in realtà, ma di attori, evento teatrale loro stessi.
Insomma... quella di Noble non era la storia di CArmen, ma la teatralizzazione della "vera" forma di Carmen.
Prospettiva interessante, comprensibile, ammissibile, forse persino salutare - ha ragione Maugham - specie se proposta a così altri livelli di consapevolezza, e nondimeno per me frustrante.
Per me Carmen è una questione filosofica. Non posso farci niente.
In questo senso il confronto con Carsen, solo due giorni dopo, è stato rinfrancante.
Non che il regista canadese abbia offerto una lettura contenutisticamente profondissima (come al solito è il modo in cui la suggerisce a fare il capolavoro), ma almeno era una lettura!
Ok, L'ora è tarda e devo fermarmi qui. Ma solo per oggi.
Occorrerà parlare anche degli altri cantanti coinvolti (nessuno però, nè a Parigi, nè ad Amsterdam al livello della Antonacci) e soprattutto entrare nel merito delle scelte carseniane.
E l'amico Maugham non creda di potersene astenere!
Un salutone,
Mat