pbagnoli ha scritto:Io ho visto la Lady Macbeth a Milano.
Lo spettacolo è stato sicuramente importante e coinvolgente, ma tuttavia non mi sento preso come quando vedo una regia di Carsen.
Perché? Non so. Non sono così avanti in questo campo come Matteo o come WSM
Si potrebbe approfondire il tema: Matteo, perché dici che Jones sarà "IL" regista d'opera dei prossimi vent'anni? In cosa lo vedi più avanti rispetto, per esempio, proprio a Carsen? O a Decker (per me un altro must)?
CArsen è stato il regista della "svolta". Con lui l'immagine "moderna" (non l'immagine dell'intellettualismo, ma del costume, della società, della TV, del cinema) è entrata nell'opera e ne ha riplasmato il linguaggio tanto da aprire una nuova epoca.
Eppure se si va ad analizzare il teatro di CArsen, splendido intendiamoci, non si trova la complessità linguistica di altri registi.
In particolare Jones ha una capacità unica di gestire "architettonicamente" piani e rimandi di una narrazione: gioca con le dimensioni della narrazione teatrale (verticali, orizzontali, temporali) come un virtuoso. Le storie le riscrive davvero, ma non per le "scene e i costumi ricontestualizzati", quanto per le dinamiche spazio.temporali della narrazione.
Ricordo il commento della simpaticissima Donata (presidente del Wanderer) a un Pagliacci che vedemmo all'English National Opera...
Arrivati a metà dell'opera, nei pochi secondi di pausa prima del finale, già prostrati dalle incredibili cose viste fino a quel punto, ci apprestavamo al finale.
Ho provato a teatro una cosa che noi operamani non sappiamo più cos'è... e forse non l'abbiamo mai saputo. Quell'elettricità dell'attesa ansiosa e agitata di ...quanto deve ancora venire... IN quegli attimi, Donata mi ha dato di gomito, sussurrando sorridendo: "ho perfino paura".
Questo è Jones.
Jones mescola e manipola i generi e registri: ok... quindi opera una fusione di commedia-tragedia, come recitano noiosamente i nostri critici e parolai di Radio3?
Macché, fusione di documentario e sit-com, colossal e "cannibal movie", espressionismo e fotoromanzo, reality e youtube...
I generi più diversi si intersecano, si contraddicono, si prendono a pugni fra loro, in un percorso che pure è di una coerenza abbacinante, da fiato sospeso, come il più trascinante action-movie.
E poi c'è il rapporto movimento-musica: per il quale Jones è il maestro che tutti imitano (anche i Guth e la Brook, giustamente difesi da Maugham).
Il movimento del cantante è talmente calibrato su ogni effetto sonoro che pare di assistere a un balletto. La musica ne esce rivelata, quasi profetica.
E così quando Lady Macbeth canta il suo brindisi sul palco di una discoteca con un microfono in mano, come un omaggio-karaoke al marito, persino gli indugi della musica (nasca il diletto... muoia il dolor") sembrano scritti apposta per un passo di danza maldestro, da ballerina improvvisata.
E quando sul pianto nel sonnambulismo Verdi introduce in orchestra una figura che si ripete ossessivamente, un arpeggio discendente reiterato e implacabile("haimè" "geme?" "i panni indossa"), pare debba proprio descrivere il mesto, inane mulinare del carrello della lavatrice, che la pazza mette in funzione, in uno scantinato buio, nella speranza che i suoi guanti ne escano puliti.
Movimento e musica assumono con Jones una forza che incatena.
Nessuno vuol togliere a CArsen il suo ruolo storico, definitivo. Ma Jones, credimi Pietro, è tutt'altra cosa.
I suoi spettacoli ti fanno chiedere "come andrà a finire"... ti fanno ammettere di "aver paura".
Salutoni,
Mat