Caro Maugham,
grazie di averci proposto quell'intervista, che ho trovato imbarazzante e offensiva.
Io, come sai, seguo Lissner da tanti anni e ho riflettuto sul suo caso abbastanza da essermi fatto un'idea sul perché le sue produzioni a Parigi e a Aix (tutte incentrate su Wagner, Strauss, Janacek, il repertorio novecentesco e quello barocco) fossero così strepitose mentre alla Scala il livello è infimo, tanto nel repertorio a lui caro, quanto nel repertorio della tradizione italiana.
Secondo me, la ragione consiste nel fatto che a Parigi e a Aix Lissner era circondato di segretari e responsabili artistici fra i migliori d'europa.
---di quei segretari a cui basta dare un piccolo imput (tipo, "vorrei fare un bel Prokof'ev, che ne dite?"... oppure "ieri, ho cenato con Boulez... ha detto che ad aprile è libero... cosa gli facciamo fare?" o ancora "mi piacerebbe che Bondy ci facesse qualcosa di barocco") per ritrovarsi sul piatto una serie di scritture favolose, meditate, aperte sul mondo, ricche di intuizioni capaci di far scuola.
Lissner doveva essere, in quei teatri, l'uomo delle relazioni, dalla bella faccia fotogenica, che lavora per i contributi ministeriali, va a cena con artisti, sponsor, partner, politici, intellettuali... l'uomo delle frequentazioni radical-chic, delle interviste patinate, dei rapporti con i sindacati caro alla Gauche (pure muovendosi per l'Europa in suite da principe indiano).
L'aspetto artistico doveva appena sfiorarlo, lasciandone l'incombenza ai suoi fantastici collaboratori.
Alla Scala cosa ha trovato Lissner? Gli stessi segretari onnipotenti e super-professionali?
Tutt'altro. Ha trovato la stessa merce di pressapochismo, provincialismo e disinformazione che caratterizza da almeno vent'anni tutti i nostri teatri.
Il risultato è sotto i nostri occhi: il repertorio italiano - per il quale pure la Scala dovrebbe essere un riferimento planetario - è condotto con una dabbenaggine e una mancanza di idee da lasciare interdetti. Ma persino il repertorio "lissner" (se così posso esprimermi), ossia quello delle grandi tendenze attuali che avevano trovato un porto ideale nello Chatelet e a Aix, viene gestito a Milano con titubanza, incertezza: niente più che la riesumazione di produzioni vecchie e con cast banali nella migliore delle ipotesi.
Lissner rappresenta per la Scala un semplice disastro.
Un anti-mutiano come me deve ammettere che il dictator di Molfetta era meglio.
Di Muti non condividevo (anzi detestato) la linea. La giudicavo reazionaria, provinciale, passatista, egocentrica.
Ma almeno era una linea.
Lissner non ha una linea. Naviga a vista, non sa quello che fa.
E le risposte che ha dato in quella intervista a Mattioli lo confermano.
Maugham ha scritto:"Non ci sono voci per certi titoli". (che sono poi quelli su cui la Scala ha costruito parte della propria storia)
Certo, se pensa di andare a prendere la Gruberova (che non canta un'opera alla Scala da vent'anni) e proporla in Norma a un pubblico che non ha seguito la sua evoluzione, la sua lenta conquista del repertorio drammatico proto-romantico, e se la ritrovebbe ora vecchia, oscillante, pigolante... allora è vero quello che dice. La Gruberova non verrebbe mai a fare Norma alla Scala e se venisse la farebbero a pezzi.
Ma perché? Perché non esistono più le voci? (pazzesco...)
Per fare una Norma ci vuole una diva riconosciuta e consacrata dal pubblico a cui la si propone...
cosa che la Gruberova è a Monaco, Zurigo, Berlino, Barcellona, Vienna... non a Milano.
In quei teatri si è conquistata il diritto di affrontare Norma passando per decine di Bolene, Devereux, Stuarde, Semiramidi, Beatrici di Tenda...
Questo non vuol dire che non si possa scritturare la Gruberova anche a Milano (dove al contrario sarebbero ancora dispostissimi ad applaudirla nella sua ormai inascoltabile Zerbinetta).
Tutt'altro! La si deve scritturare... Non è possibile che una diva sua pari ne sia esclusa da vent'anni.
La si vuol chiamare nel repertorio italiano?
Bene... le si proponga un Belisario di Donizetti, grande dramma bizantino che alla Scala non è mai stato rappresentato e dove la protagonista (madre, cospiratrice, moglie fedifraga) può anche essere una donna matura.
Le si proponga la Fausta, monumentale rilettura donizettiana della Fedra di Racine, scritta per la Ronzi de Begnis.
Sono personaggi grandi, adatti a una vecchia leonessa come lei, ma tratti da opere meno esposte e rischiose di una Norma, semplicemente perché meno note.
Il problema vero è che Lissner non sa nemmeno cosa siano il Belisario e la Fausta.
Per lui l'opera italiana è solo Rigoletto, Lucia, Barbiere di Siviglia, Elisir d'amore...
E anche queste affrontate con la sufficienza (e l'ignoranza) di uno che ha il coraggio di affermare - all'osservazione di mattioli che forse egli non ama l'opera italiana - "i miei gusti non contano", lasciando così intuire che è proprio vero.
E no... non ci siamo!
Se non ti piace l'opera italiana, caro Lissner, la cosa conta parecchio.
Perché se non la ami, non la conosci, e quindi non hai gli strumenti (nè la voglia) per rilanciarla, darle nuova linfa, fare della Scala il teatro guida della sua rinascita.
E' proprio perché non ami l'opera italiana (e non la conosci) che il massimo che sai partorire è il Rigoletto di Nucci, il barbiere di Florez, la traviata della Cavani, l'aida di zeffirelli. E' proprio per questo che, pur disponendo di un cavallo di primissima razza come la Netrebko, la vai a interpellare proprio nel suo peggiore ruolo italiano, la Lucia.
Quindi non è affatto vero che "i tuoi gusti non contano". Contano eccome!
Forse non contavano alla direzione di un teatro fresco e privo di tradizione come lo Chatelet... o a un festival dal passato cameristico come Aix.
Ma se si dirige la Scala, ossia il tempio dell'opera italiana, il teatro di Bellini e Verdi, il faro di una tradizione secolare, allora bisogno amarla l'opera italiana...e dichiararlo a gran voce in tutte le interviste, e andarne fieri, e dimostrarlo nei fatti.
Dici che i grandi maestri non è facile convincerli a dirigere l'opera italiana?
Ci credo... chissà con quali arti può convincerli uno che non ama l'opera italiana.
Siciliani convinse Mitropulos (fresco dei suoi trionfi in Wozzeck ed Elektra) a dirigere l'Ernani.
Ghiringhelli convinse Karajan (già mitico per i Mozart, i Wagner, gli Strauss) a dirigere la Lucia.
Forse Siciliani e Ghiringhelli amavano l'opera italiana, e quel che più conta... la conoscevano.
Poichè chi parla è Lissner e non un appassionato qualunque e dal momento che la Scala è un teatro, per storia, tra i più importanti -se non il più importante- del mondo ho trovato la cosa preoccupante.
Lissner se ne deve andare da Milano. La realtà è questa.
E' l'uomo sbagliato: ormai è chiaro.
Salutoni,
Matteo