Su Alberto Mattioli e sulla critica in generale.Addolcito dal torrone che nella mia città si mangia copiosamente il giorno dell'Immacolata (e non solo
), ritorno sull'argomento, questa volta nella discussione opportuna senza rubare spazio alle considerazioni sulla
Carmen della Scala.
Riassunto delle puntate precedenti:
MatMarazzi ha scritto:VGobbi ha scritto:Ah dimenticavo!!! Forever il critico musicale della "Stampa", Mattioli, troppo simpatico!
Mi spiace per Tuc, ma sono perfettamente d'accordo con Gobbi.
Mattioli è uno dei pochi critici italiani che di opera e di canto se ne intende davvero, e il fatto che si diverta a nasconderlo dietro uno spiritastro acido e dissacrante, senza i toni solenni di tanti suoi colleghi loro sì incompetenti e improvvisati, me lo rende ancora più simpatico.
Prendo spunto da questi elogi per porli a confronto con un articolo di Mattioli, apparso sul numero di maggio 2009 di «Classic Voice», "Non canta lo straniero" (pp. 30-31).
Mattioli dice cose giuste, talvolta giustissime. In sostanza, addossa la colpa dell'assenza dai cartelloni italiani dei cantanti di grosso calibro alla turbolenza dei loggioni ed alla mala gestione dei teatri da parte di governanti corrotti, dediti al nepotismo, al clientelismo e afflitti da una non meno colpevole ignoranza.
Ora, il compito di un giornalista è quello di fornire dati, esempi, insomma provare quello che dice. E' quella che Jakobson chiama funzione "referenziale" della lingua. In aggiunta, egli può aggiungere una nota "conativa", ossia cercare di convincere i lettori della giustezza delle proprie affermazioni.
Sul secondo punto, Mattioli se la cava, direi con buona efficacia.
Sul primo, beh, egli non va più in là di una generica sfilza di nomi, senza uno straccio di motivazioni sul perché quegli artisti siano desiderabili per le nostre scene. A livello denotativo-referenziale e conativo, un fallimento totale.
Poi Mattioli sfodera battute da bar e da piazza, o se vogliamo, da forum. "La Grisina con il ditino alzato e il fischietto in bocca perché così avrebbe fatto Rodolfo Celletti"; "quattro scimuniti che fischiano sempre e comunque (tranne magari quando sarebbe giusto farlo)": sono cose che posso scrivere io sul forum di OD, che posso dire durante un pranzo in compagnia Matteo e Pietro, oppure di Orbazzano, che posso dire al telefono con Maugham o nel foyer del teatro con Pruun. Ma su un giornale specialistico? No! Non è spiritastro dissascrante, questo. Non c'è nulla di dissacrante nel dire cose che tutti, bene o male, dicono. E non c'è nulla di dissacrante nel dirlo con le stesse espressioni "da bar", consone a conversazioni private e non ad un articolo pubblicato sulla carta stampata.
Sulla Bartoli ("la più celebre cantante d'opera del mondo"), Mattioli si lamenta che non canta in Italia, e parodia i giudizi estremisti dei vociomani con queste parole: "c'è sempre qualche "vociologo" a vociferare che non si sente, che non ha voce e che in un cilindro di cera del 1899 la Bertazzoni-Minghelli cantava meglio." E questo è un articolo di critica musicale??? E dove sarebbe la disamina seria sulla Bartoli? E poi, carissimo, anche Joseph Volpe, che non la chiamò più dopo il 1998 al Met, è un vociologo che non capisce niente e che ascolta la Bertazzoni-Minghelli? Fra l'altro, proprio l'ironia sui cilindri di cera e sulla loro vetustà, nonché sui cognomi astrusi e sovente doppi di alcuni cantanti di inizio secolo scorso è piuttosto gratuita, e forse si può pure leggere, sotteso ad essa, un certo disprezzo verso il disco antico. Cosa che, ove fosse vera, non farebbe onore alla sua professione di critico musicale.
Questa non è un articolo referenziale, né conativo: è uno scritto di intrattenimento, dove predomina la funzione poetica (vedi sempre il buon vecchio Roman Jakobson), dunque adatta ad un tipo di scritto ben diverso.
Detto questo, volevo fare un passo avanti. Dopo questo articolo, apparve in internet uno scritto di risposta da parte di chi si sentiva chiamato in causa. Costui ebbe gioco facile facile a smontare il nulla delle argomentazioni di Mattioli, e proporre il solito, rancido e stantio armamentario di luoghi comuni vecchi come il cucco: critica prona alle
majors discografiche, carriere di cantanti costruite a tavolino, tam tam pubblicitari in grado di elevare agli altari una nullità e farla credere una grande stella del canto, con sottintesa considerazione che i pubblici di mezzo mondo siano stupidi e si facciano influenzare dalla pubblicità e da quello che gli fanno credere. Insomma, tutte le bagattelle che si sentono dire da secoli da parte degli intellettualoidi sedicenti indipendenti, prive di qualsivoglia fondamento, e denotanti ignoranza delle elementari regole che disciplinano da sempre il mondo dell'arte e della pubblicità.
Chi scrisse queste meraviglie, ripeto, ebbe gioco facile a proporre per la milionesima volta queste tesi risibili: Mattioli presta davvero il destro a tali accozzaglie di luoghi comuni, e pare un alfiere di questa fantomatica critica asservita. Vuoto di argomentazioni, frasi fatte, che tutti dicono in tutte le salse su tutti i mezzi informatici e non. Insomma, fa di tutto per far sembrare valide e inoppugnabili le tesi miserande che lui stesso attacca.
A mio parere, questa è critica inutile, anzi dannosa, poiché fortifica le tesi che vorrebbe colpire.
D'altronde, mi conforta leggere lo stesso Matteo che dice:
Le cose che scrive Mattioli le pensano e le dicono tutti.
Appunto! Il contrario del dissacrante.
Dissacrante non è chi dice cose già dette adottando sulla carta stampata il tono scanzonato e pressappochista da bar (del tutto legittimo in contesti disimpegnati e privati), ma al contrario chi dice cose che nessuno dice, o chi nega le cose che tutti dicono.
Saluti
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...