Pagliacci

opere, compositori, librettisti e il loro mondo

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Pagliacci

Messaggioda pbagnoli » mar 17 feb 2009, 21:55

In home, come avrete visto, c'è la recensione dell'incisione di Gigli del 1934.
E' un'opera di cui parliamo poco, forse giudicandola una cosa scomoda, di cui parlare poco; magari ce ne vergognamo anche un po'.
Eppure era stata anche oggetto del primo backstage pubblicato sul nostro sito, a dimostrazione del fermento culturale associato a quest'opera.
Voi cosa ne pensate?
Quali sono le vostre preferenze sul tema?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: Pagliacci

Messaggioda stecca » mer 18 feb 2009, 0:17

A me piace tantissimo !!!! Ti salvo persino il "io netto il somarello", lo strumentale è stupendo, la intera parte di Canio poi è meravigliosa soprattutto quel finale. In Teatro mi emozionò Giacomini in Scala tanti anni fa anche se in disco Domingo è a mio parere insuperabile....Mi piace un sacco anche il Prologo anche se è difficile sentirlo cantare come Dio comanda (a me non è mia successo), mi piace la piccola ma non irrilevante parte di Silvio e trovo se degnamente valorizzata bellissima la parte di Nedda che tra l'altro ha una delle più belle (e mica facili) arie dell'intero repertorio sopranile. Qualcuno si arrabbierà lo so ma negare che la incisione RCA della Caballé targata 1971 mi pare sia da urlo (parlo da un punto di vista vocale) non mi riesce proprio, in Arena vidi anche una interessante Gasdia (anche se vocalmente la parte le stava un pò...larga), trovo in più punti memorabile anche la celebre edizione di Karajan e buona anche quella di Muti anche se è "cannato" il Tonio, la Scotto come sempre azzecca alla grande l'accento e Carreas sforza ma alla fine arriva. Poi sui grandi canio si va indietro ed esistono le note incisioni memorabili dei grandissimi, Gigli che dire ? mi piace....anche lì grande era un grande....
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Re: Pagliacci

Messaggioda pbagnoli » mer 18 feb 2009, 14:06

stecca ha scritto: Mi piace un sacco anche il Prologo anche se è difficile sentirlo cantare come Dio comanda (a me non è mia successo) ...

A me sì.
Era il 1978 - se non sbaglio - la regia (davvero splendida, nella mia memoria) era di Franco Zeffirelli, il tenore era... El Tenòr in splendida forma, il soprano era una non memorabile Elena Mauti Nunziata e il baritono era un grandioso Juan Pons.
Era giovane, veniva da un inizio di carriera da basso prima che Nuestra Senhora de Catalunyia lo ascoltasse e gli dicesse di dedicarsi alla corda baritonale.
All'epoca non aveva la barbetta regolamentare da beritono in carriera: era un omone grande e grosso, con i capelli lunghi e sembrava uno zingaro.
La voce era un'iradiddio. Ricordo solo due baritoni che mi hanno schiacciato sulla sedia con la potenza della loro voce: uno era Ambrogio Maestri nel Falstaff, l'altro era proprio Juan Pons. Devo dire, peraltro, che non l'ho più sentito cantare a quei livelli
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Re: Pagliacci

Messaggioda stecca » mer 18 feb 2009, 16:48

pbagnoli ha scritto:
stecca ha scritto: Mi piace un sacco anche il Prologo anche se è difficile sentirlo cantare come Dio comanda (a me non è mia successo) ...

A me sì.
Era il 1978 - se non sbaglio - la regia (davvero splendida, nella mia memoria) era di Franco Zeffirelli, il tenore era... El Tenòr in splendida forma, il soprano era una non memorabile Elena Mauti Nunziata e il baritono era un grandioso Juan Pons.
Era giovane, veniva da un inizio di carriera da basso prima che Nuestra Senhora de Catalunyia lo ascoltasse e gli dicesse di dedicarsi alla corda baritonale.
All'epoca non aveva la barbetta regolamentare da beritono in carriera: era un omone grande e grosso, con i capelli lunghi e sembrava uno zingaro.
La voce era un'iradiddio. Ricordo solo due baritoni che mi hanno schiacciato sulla sedia con la potenza della loro voce: uno era Ambrogio Maestri nel Falstaff, l'altro era proprio Juan Pons. Devo dire, peraltro, che non l'ho più sentito cantare a quei livelli


Io l'ho sentito dopo e l'effetto non fu così strepitoso anche se era un ottimo Tonio soprattutto nel duetto furioso con Nedda....però ho sempre trovato strani quegli acuti che suonavano un pò sordi come se gli si dovesse fare un buco in testa per fare uscire un suono omogeneo sul sol (e spesso anche sul fa...)
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Re: Pagliacci

Messaggioda MatMarazzi » mer 18 feb 2009, 21:14

pbagnoli ha scritto:In home, come avrete visto, c'è la recensione dell'incisione di Gigli del 1934.
E' un'opera di cui parliamo poco, forse giudicandola una cosa scomoda, di cui parlare poco; magari ce ne vergognamo anche un po'.
Eppure era stata anche oggetto del primo backstage pubblicato sul nostro sito, a dimostrazione del fermento culturale associato a quest'opera.
Voi cosa ne pensate?
Quali sono le vostre preferenze sul tema?


CArissimo Bagnol,
in riferimento alla recensione dei Pagliacci di Gigli, che purtroppo non conosco, sono rimasto piuttosto sorpreso a sentirti celebrare il valore di un cantante come lui, che, come sai, io non amo affatto e in tutti i casi ritengo poco portato per un ruolo richieda sia pur elementari capacità espressive e tratti di personalità.
Sarei curioso di sentire alcuni dei frammenti che ritieni più efficaci; perché non li posti in mp3?
In tutti i casi - e unicamente in linea di principio - non ritengo del tutto generoso questo distinguere i cantanti fini e lirici (di cui Gigli, parimente a De Lucia ed Anselmi, farebbe parte) e cantanti "con la bava alla bocca" unificati nella categoria dei "carusiani".
Caruso in particolare non aveva la bava alla bocca, mai.
Era sobrio, contenuto, soffocato persino. Che poi la voce trovasse rifrazioni apocalittiche (in termini di volume) non toglie che la sua lettura fosse psicologicamente introversa.
L'umanità sgorgava dalla sua capacità di sbozzare un personaggio socialmente indentificabile, picciotto paesano approdato ai cinquant'anni, a suo modo saggio e bonario, convinto di aver trovato un posto nella società, salvo poi scoprire di non essere altro che un ridicolo pagliaccio.
Tutto in Caruso era perfetto: persino la faccia, tondeggiante con la fossetta sul mento, bonaria e un po' da mafiosetto ripulito; persino il fisico forte e torreggiante ma appesantito da troppe lungaggini a tavola. Persino l'umorismo schietto e scafato, di chi sa trattare con la povera gente e far la figura del grand'uomo: il divo coi modi colloquiali, che non disdegna di bere un bicchiere in osteria. Ma soprattutto c'è in ogni sua nota quella malinconia insinuante, presaga, quella inquietudine semplice ma lacerante del meridionale, che pare pronta - da un momento all'altro - a esplodere in tragedia.
E poi c'è la grandezza senza paragoni del cantante, l'intuito diabolico dell'interprete, l'attore che si identifica a tal punto col personaggio da connotarlo più di quanto avesse fatto lo stesso Leoncavallo.
E' per questo che i "Carusismi" hanno spazzato via le pose artefatte e false dei De Lucia e degli Anselmi, non per la bava alla bocca.
A mio parere ce ne vogliono almeno venti di Gigli (e di Dominghi e Giacomini) per arrivare a misurarsi con quel fatto "culturale" che fu il Canio di Caruso. Ciò che ci resta di lui in questo ruolo (sia audio, sia video) è tale da far passare per barzellette tutti gli altri che ho potuto sentire. Mi pare ridicolo persino Vickers (che pure è il migliore di tutti, dopo Caruso): con le sue pensosità tragiche, pare non aver nemmeno capito che Canio di mestiere faceva il comico di paese.

Salutoni,
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Re: Pagliacci

Messaggioda pbagnoli » mer 18 feb 2009, 22:24

MatMarazzi ha scritto: Carissimo Bagnol,
in riferimento alla recensione dei Pagliacci di Gigli, che purtroppo non conosco, sono rimasto piuttosto sorpreso a sentirti celebrare il valore di un cantante come lui, che, come sai, io non amo affatto e in tutti i casi ritengo poco portato per un ruolo richieda sia pur elementari capacità espressive e tratti di personalità.
Sarei curioso di sentire alcuni dei frammenti che ritieni più efficaci; perché non li posti in mp3?

Per il solito problema: perché non c'ho tempo!
A parte questo, sono rimasto sorpreso anch'io che mi aspettavo un profluvio di singhiozzi che, invece, sono ridotti al minimo sindacale (e comunque sono inferiori a quelli di Corelli, che ogni 4-5 singulti interpola una nota). E trovo anzi che in questi ruoli cialtroni e popolari (perché tale è Canio, e in ciò sono d'accordo con te), Gigli renda molto meglio che non negli eroi romantici che, in bocca a lui, acquistano un tono flautato a me insopportabile: quelle, cioè, che altrove tu definivi "le scoreggine di Gigli". Che qui, per inciso, non si sentono. Si sente invece il tono amaro e disilluso di un perdente, di uno sconfitto, che all'inizio cerca di mitigare la dose di banale violenza di cui è portatore con un tono ricco di scuse, quasi salottiero.

MatMarazzi ha scritto: In tutti i casi - e unicamente in linea di principio - non ritengo del tutto generoso questo distinguere i cantanti fini e lirici (di cui Gigli, parimente a De Lucia ed Anselmi, farebbe parte) e cantanti "con la bava alla bocca" unificati nella categoria dei "carusiani".
Caruso in particolare non aveva la bava alla bocca, mai.
Era sobrio, contenuto, soffocato persino. Che poi la voce trovasse rifrazioni apocalittiche (in termini di volume) non toglie che la sua lettura fosse psicologicamente introversa.
L'umanità sgorgava dalla sua capacità di sbozzare un personaggio socialmente indentificabile, picciotto paesano approdato ai cinquant'anni, a suo modo saggio e bonario, convinto di aver trovato un posto nella società, salvo poi scoprire di non essere altro che un ridicolo pagliaccio.


Mat, nelle righe qui sopra e in quelle che seguono fai una serie di considerazioni interessantissime - come sempre, per altro - ma che suonano un po' come la tua personalissima percezione ed elaborazione di un dato non necessariamente di fatto.
A stare ad un valore puramente epidermico, non si può negare che la vocalizzazione esuberante e rigogliosa di Caruso si collochi su un altro pianeta rispetto a quella più forbita e "a culo di gallina" di Gigli. Che non è figlio suo, anche se gli americani lo avevano eletto a suo erede: è figlio di Bonci, di Anselmi e di De Lucia, e questo mi sembra innegabile ascoltando i dischi di tutti e tre. Caruso sta da un'altra parte e se, da un lato, sono portato a credere alla tua strutturazione, dall'altra la costruzione del ruolo intero di Gigli mi permette di meglio apprezzare tutto ciò che esula dai grandi momenti solistici. Quanto alla "sobrietà soffocata" e alla "malinconia insinuante" di Caruso, ti sarà noto l'aneddoto di lui che si morde a sangue la mano dopo aver scoperto il tradimento di Nedda: il che, di sobrio, ne converrai, ha ben poco.
Io adoro Caruso: ho anch'io tutti i suoi dischi e me li ascolto di gusto. Ma che stia da tutt'altra parte rispetto a Gigli mi sembra ovvio e non ci vedo nulla di strano. Ho difficoltà a vedere tutte le cose che dici, ma questo è un mio limite e, come sai, ti seguo quasi sempre volentieri nei tuoi ragionamenti.
Sono rimasto piacevolmente colpito da una registrazione di un cantante per cui nemmeno io faccio follie: tutto qui :D
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Re: Pagliacci

Messaggioda Tucidide » gio 19 feb 2009, 0:31

Interessantassimo questo argomento!
Ho riascoltato stasera Gigli e Caruso a confronto nell'arioso di Canio. Devo specificare che nemmeno io, come Mat, conosco l'incisione integrale recensita da Pietro.
Su Gigli, concordo in pieno con la disamina di Pietro: rappresenta in pieno il modello dei Canio visti attraverso la lente "di grazia", magari un po' carenti di sangue, ma con diversi aspetti suggestivi.
Il discorso su Caruso è però il punto che più mi interessa: ho riascoltato anche "No, pagliaccio non son", e devo dire che fra la definizione implicita di "Canio con bava alla bocca" e quella di "sobrio, contenuto, soffocato" mi pongo un po' democristianamente a mezza via. Credo che centri il punto Mat quando fa riferimento alle sonorità della sua voce, così particolari in un momento in cui molti cantanti avevano un'emissione molto diversa. Proprio un paragone con il classicissimo Gigli è sconcertante: tutto è diverso, dalla gestione delle mezzevoci, ai colori del medium, all'effetto degli acuti. E non è un fatto di diverso timbro naturale! Gigli e Caruso cantavano in due maniere differenti, perché diversa era la loro idea del suono e di come realizzarlo.
Quindi, se è vero che Caruso è molto contenuto e sobrio, sono i suoi suoni a non esserlo, proprio per nulla. E non mi sembra un affare da poco. :D A costo di sembrare un disco rotto, :mrgreen: continuo a credere che la fisicità del suono, le sue caratteristiche organolettiche, siano fondamentali, direi decisive, per la costruzione di un personaggio teatrale. E Caruso, che pure non era certo un guitto becero e volgare, si esprimeva con suoni che non si potevano certo definire contenuti e soffocati. Basta sentire la potenza incredibile (e straordinariamente fonogenica, pur nella vetustà della registrazione!) degli acuti, non raggiunti con suoni dolci e librati in aria come Gigli o Lauri Volpi, ma sparati con effetto roboante ed esplosivo.
Diciamo che il canto di Caruso era il naturale correlativo sonoro dell'immagine di lui che si morde a sangue la mano. :D
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Pagliacci

Messaggioda Luca » sab 21 feb 2009, 17:58

Dico la mia in ritardo. Scusate ho avuto da fare, ma l'argomento mi interessa e forse andrò "contro corrente". I Pagliacci è un'opera che amo molto (al contrario di Cavalleria) è che ha la sua importanza nella storia dell'opera italiana, però non ho mai amato né Gigli, né quest'edizione. Trovo il tenore marchigiano manierato come solitamente accadeva e poi poco convincente in quei momenti di 'pseudo-eroismo' che la parte di Canio richiede, poi la Pacetti è limitata in alto e non mi pare un'aquila di interprete. Terzo elemento: buon canto in Basiola, ma I Pagliacci non si risolvono solo in quel personaggio. Se dovessi scegliere un'edizione del tempo tornerei senz'altro a quella incisa qualche anno prima da Merli (che non mi pare sia stato mai nominato tra i vari tenori che hanno impersonato Canio), dalla Pampanini e da quel grandissimo Galeffi che, a mio avviso, è il miglior Tonio del disco.

Saluti, Luca.
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Re: Pagliacci

Messaggioda MatMarazzi » sab 21 feb 2009, 18:36

pbagnoli ha scritto:E trovo anzi che in questi ruoli cialtroni e popolari (perché tale è Canio, e in ciò sono d'accordo con te), Gigli renda molto meglio che non negli eroi romantici che, in bocca a lui, acquistano un tono flautato a me insopportabile: quelle, cioè, che altrove tu definivi "le scoreggine di Gigli". Che qui, per inciso, non si sentono. Si sente invece il tono amaro e disilluso di un perdente, di uno sconfitto, che all'inizio cerca di mitigare la dose di banale violenza di cui è portatore con un tono ricco di scuse, quasi salottiero.


Caro Pietro,
sto sempre parlando in "teoria" perché, lo ribadisco, non conosco i Pagliacci di Gigli.
Prendo atto delle tue considerazioni e sono lieto che cachinni e sdilinquimenti siano qui in misura minore del solito.
E non di meno - sempre in linea torica - mi chiedo se essere negati per tutto ciò che è reazione e tragedia significhi per forza dare letture alternative...
Non parlo di Gigli, parlo in generale... basta "non essere così e così" per essere qualcos'altro?

Qualcunque cosa facesse o cantasse, Gigli a me ricorda sempre il puer falsettante della chiesa di Recanati, che da bambino grassoccio e divoratore di dolcetti faceva piangere una torma di zie adoranti tutte le domeniche alla messa: "è un angelo, il miè putin"
In qualsiasi cosa lo senta, io rivedo sempre il bamboccetto, a cui i compagni fanno lo sgambetto a scuola, ma che in chiesa - dispondendo ad arte falsettini e singhiozzetti, assumendo l'espressioncina da Marcellino Pano e Vino - diventa il reuccio della festa.
Caruso al contrario era un teatrante di genio. Aveva il teatro nell'istinto, nelle sfumature più riposte del canto.
Era un uomo semplice, non "scolarizzato"; questo - in teoria - lo predisponeva poco a personaggi aulici e regali (anche se in effetti faceva splendidamente anche quelli).
In Canio ha trovato il terreno per una costruzione sociale e culturale grandiosa. Ha fatto tesoro di ciò che più conosceva (la realtà anche umile dell'immigrato, che riesce a ricavarsi uno spazio, ma restafatalista, sul filo del rasoiso) e l'ha trasferita in canto, recitazione, senso della tragedia.
Che vuol dire che si mordesse la mano? Faceva bene!
Se a Canio togliamo anche la disperazione...
Il punto è ...da dove sorgeva quella disperazione? Ciò che conta non è il morso della mano, ma ciò che conduce a quel morso, la coerenza di una costruzione psicologicamente titanica.
A me pare che ciò che dici di Gigli (che per carità... so essere tutto giusto e tutto vero, perché mi fido ciecamente delle tue opinioni) resti un po' ...non dico irrispettoso, ma sproporzionato.
Sarebbe come dire che finalmente la Sutherland ci ha regalato una Violetta elegante e sobria, dopo tutti i "callassismi" esagitati che l'avevano preceduta.
E nessuno mi toglie dalla testa che la distanza tra il Canio di Caruso e quello di Gigli sia mille volte maggiore di quello tra la violetta della Callas e quella della Sutherland.

Quanto a Tuc... che dire? :)
Ormai abbiamo talmente tanto discusso di queste cose che non saprei cosa aggiungere...
Tu pensi che il suono faccia l'interpretazione... ok, a ognuno le sue convinzioni.
Se ti fa piacere posso anche dire che la Turina era un'inteprete molto più tragica di Anna Magnani, per la semplice ragione che pesava di più! :)

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Re: Pagliacci

Messaggioda pbagnoli » sab 21 feb 2009, 20:11

MatMarazzi ha scritto: Qualcunque cosa facesse o cantasse, Gigli a me ricorda sempre il puer falsettante della chiesa di Recanati, che da bambino grassoccio e divoratore di dolcetti faceva piangere una torma di zie adoranti tutte le domeniche alla messa: "è un angelo, il miè putin"
In qualsiasi cosa lo senta, io rivedo sempre il bamboccetto, a cui i compagni fanno lo sgambetto a scuola, ma che in chiesa - dispondendo ad arte falsettini e singhiozzetti, assumendo l'espressioncina da Marcellino Pano e Vino - diventa il reuccio della festa.

Cioè, ti sta sui coglioni.
Il che è un punto di vista interessante, ma non necessariamente rispetta la realtà.
Ti ho dato atto che per eroi romantici e personaggi stilizzati, i suoi manierismi suonano anche a me molto poco credibili. Qui, invece, funziona. Ovviamente a mio modesto parere. D'altra parte, sinché qualcun'altro non si decide a scrivere qualche recensione discografica, ti devi accontentare del mio parere :D

MatMarazzi ha scritto:Caruso al contrario era un teatrante di genio. Aveva il teatro nell'istinto, nelle sfumature più riposte del canto.
Che vuol dire che si mordesse la mano? Faceva bene!
Se a Canio togliamo anche la disperazione...
Il punto è ...da dove sorgeva quella disperazione? Ciò che conta non è il morso della mano, ma ciò che conduce a quel morso, la coerenza di una costruzione psicologicamente titanica.

Matteo, il mio riferimento al "morso della mano" è la risposta alla tua curiosa affermazione di qualche post fa, quello della sobrietà stile Cambridge del Canio di Caruso:
Caruso in particolare non aveva la bava alla bocca, mai. Era sobrio, contenuto, soffocato persino. Che poi la voce trovasse rifrazioni apocalittiche (in termini di volume) non toglie che la sua lettura fosse psicologicamente introversa

Adesso, poi, dici che faceva bene, perché "se a Canio togliamo la disperazione...".
Ma insomma, Matteo! Ogni tanto ti fai prendere la mano dalle tue simpatie ed antipatie e non sai più quel che dici o quel che fai... :D

MatMarazzi ha scritto: A me pare che ciò che dici di Gigli resti un po' ...non dico irrispettoso, ma sproporzionato.
Sarebbe come dire che finalmente la Sutherland ci ha regalato una Violetta elegante e sobria, dopo tutti i "callassismi" esagitati che l'avevano preceduta.

Matteo, scusa l'autocitazione ma nella recensione (che, probabilmente, sempre incasinato come sei, hai letto in fretta) io dico:
Questa scelta faceva sì che gli eroi maledetti del verismo, figli minori di un romanticismo rivissuto in salsa coatta, venivano affrontati da una diversa angolatura, triste, dolente e ricca di autocommiserazione. Questo Canio, senza la bava alla bocca e talora persino sorridente, sembra quasi che si scusi del sangue che pare predestinato a spargere sin dall’eccellente “Un tal gioco”, concluso benissimo da un intimo e colloquiale “Adoro la mia sposa”. Il “Vesti la giubba” è invece lo specchio fedele di quel Verismo in salsa italiana che ben è rappresentato da certo modo di interpretare l’opera di Leoncavallo: nella memoria di tutti resterà sempre non tanto la linea di canto immacolata che riscatta la convenzionalità del brano, quanto il famoso “Infamia!” che sormonta i marosi appassionati dell’orchestra di Ghione. Quanto alla scena finale, il tono sgomento adottato da Gigli è diventato per molti tenori un modello di assoluto riferimento, così come purtroppo i singhiozzi sparsi a piene mani che comunque, rispetto a quelli del successivo Corelli, sono pur sempre da additare a modello di compostezza.

Adesso sii sincero: ti sembra che io stia parlando di eleganza e sobrietà? Ti sembra che io stia citando Gigli come modello tenorile di quello che poi sarà la Sutherland?
Nossignori: parlo di singhiozzi, "Infamie" e al limite, senza citarle, di quelle "scoreggine" - come le chiami sapidamente tu - che lo hanno reso più famigerato che famoso, ma anche di tono intimo e colloquiale e angolatura ricca di autocommiserazione. Che non è - conveniamone - il punto di vista di un Sir John Gielgud, posto che il grande attore inglese abbia pensato di interpretare gli eroi del Verismo.
Spero di aver chiarito al meglio il mio pensiero che, come sempre, è quello di riascoltare il materiale audio stando lontano dai pregiudizi. Non sarebbe male se lo facessimo un po' tutti: potremmo anche avere qualche simpatica sorpresa, non credi? :wink:
Un salutone!
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Re: Pagliacci

Messaggioda MatMarazzi » sab 21 feb 2009, 20:57

pbagnoli ha scritto:Matteo, il mio riferimento al "morso della mano" è la risposta alla tua curiosa affermazione di qualche post fa, quello della sobrietà stile Cambridge del Canio di Caruso:
Caruso in particolare non aveva la bava alla bocca, mai. Era sobrio, contenuto, soffocato persino. Che poi la voce trovasse rifrazioni apocalittiche (in termini di volume) non toglie che la sua lettura fosse psicologicamente introversa

Adesso, poi, dici che faceva bene, perché "se a Canio togliamo la disperazione...".
Ma insomma, Matteo! Ogni tanto ti fai prendere la mano dalle tue simpatie ed antipatie e non sai più quel che dici o quel che fai... :D


Ho detto - e ribadisco - che Caruso non era "esteriore" in questo personaggio; era "introverso", "soffocato" e persino sobrio e contenuto. Lo era per la semplice ragione che trovava le motivazioni del personaggio nel personaggio stesso e non nelle reazioni esteriori, come fanno i piccoli interpreti.
Questo non vuol dire che fosse un professore di Cambridge (d'altronde ho parlato di "picciotto ripulito"... pensavo che il concetto fosse chiaro).
Ne' che non sapesse esprimere la disperazione anche in modo grandioso (purché non gratuito).
Chi l'ha detto che chi soffre interiormente non possa esplodere a sua volta, persino mordendosi la mano?
Ti dirò che le esplosioni degli "introversi" e dei "soffocati" sono le più terribili.
E in tutti i casi la "bava alla bocca" a mio umile parere non c'entra nulla.


Adesso sii sincero: ti sembra che io stia parlando di eleganza e sobrietà? Ti sembra che io stia citando Gigli come modello tenorile di quello che poi sarà la Sutherland?


Temo che sia tu ad aver letto in fretta il mio post! :)
O, più probabilmente, mi ero espresso male io.

L'affinità non era tra Gigli e la Sutherland, ma nella distanza incommensurabile che separa il loro Canio e la loro Violetta da quelli di Caruso e della Callas.
Di fronte a vette himalayane come il Canio di Caruso e la Violetta della Callas, si potranno anche tentare letture alternative... e io sarò il primo ad ascoltarle con rispetto... ma attenzione! Salvaguardiamo le proporzioni...
Celebriamo la Sutherland e la sua Violetta, ma non cerchiamo di dipingerla come un antidoto ai "callassismi"...
E lo stesso facciamo per Gigli: difendiamolo pure, per dimostrare che non siamo schiavi di pregiudizi, che troviamo il buono persino nel suo Canio in chiave "chierichetto".
Ma - era l'unico appunto che ti facevo - non presentiamolo come un antidoto ai "carusismi"... come colui che ci ha salvato dalla bava alla bocca di un Caruso...
Tutto qui... ;)

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Re: Pagliacci

Messaggioda Pruun » sab 21 feb 2009, 21:03

Ragazzi la vostra discussione è interessantissima...
Non intervengo perché su Gigli sono davvero troppo di parte (lo adoro... anche più della Sutherland) quindi non sarei credibile...
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Re: Pagliacci

Messaggioda Tucidide » dom 22 feb 2009, 0:29

MatMarazzi ha scritto:A me pare che ciò che dici di Gigli (che per carità... so essere tutto giusto e tutto vero, perché mi fido ciecamente delle tue opinioni) resti un po' ...non dico irrispettoso, ma sproporzionato.
Sarebbe come dire che finalmente la Sutherland ci ha regalato una Violetta elegante e sobria, dopo tutti i "callassismi" esagitati che l'avevano preceduta.
E nessuno mi toglie dalla testa che la distanza tra il Canio di Caruso e quello di Gigli sia mille volte maggiore di quello tra la violetta della Callas e quella della Sutherland.

L'affinità non era tra Gigli e la Sutherland, ma nella distanza incommensurabile che separa il loro Canio e la loro Violetta da quelli di Caruso e della Callas.
Di fronte a vette himalayane come il Canio di Caruso e la Violetta della Callas, si potranno anche tentare letture alternative... e io sarò il primo ad ascoltarle con rispetto... ma attenzione! Salvaguardiamo le proporzioni...
Celebriamo la Sutherland e la sua Violetta, ma non cerchiamo di dipingerla come un antidoto ai "callassismi"...
E lo stesso facciamo per Gigli: difendiamolo pure, per dimostrare che non siamo schiavi di pregiudizi, che troviamo il buono persino nel suo Canio in chiave "chierichetto".
Ma - era l'unico appunto che ti facevo - non presentiamolo come un antidoto ai "carusismi"... come colui che ci ha salvato dalla bava alla bocca di un Caruso

Però, anche ammettendo, e non concedendo, che la Sutherland sia l'antidoto della Callas ( :?: ) e Gigli l'antidoto di Caruso, io non vedrei due scuole di pensiero e di interpretazione come necessariamente in competizione. Non c'è mancanza di rispetto per la Callas e Caruso se si dice che altri artisti hanno affrontato da ottiche completamente diverse taluni personaggi e sono riusciti a renderli credibili a loro modo. Che poi io preferisca la Violetta della Callas a quella della Sutherland non cambia il senso del discorso.
Ma cantare Canio in modo diverso da Caruso non significa necessariamente sottintendere che Caruso proponesse un Canio sbagliato. E apprezzare un Canio diverso da quello di Caruso non significa sminuire quello del tenore partenopeo.
A proposito di Caruso: il suo Canio è un po' come l'Otello di Del Monaco. :) Non c'entra granché con la vocalità dei primi interpreti, con Fiorello Giraud, primo Canio al Dal Verme, ma soprattutto con Antonio Paoli, primo Canio discografico (grandissimo, a mio parere) nell'incisione del 1907 supervisionata da Leoncavallo in persona: http://www.youtube.com/watch?v=qnFXJOg9Xxg
Il suono di Caruso cerca sonorità carnose, squassanti bagliori nel registo acuto, affondi cupi nei gravi, tutte caratteristiche che Paoli non si sogna nemmeno di ricercare.
Poi, ad essere onesti, nemmeno Gigli è sovrapponibile a Paoli e Giraud (anche se il metodo di canto è più simile), essendo in origine un tenore di grazia mentre i primi erano tenori di forza.

Quanto a Tuc... che dire? :)
Ormai abbiamo talmente tanto discusso di queste cose che non saprei cosa aggiungere...
Tu pensi che il suono faccia l'interpretazione... ok, a ognuno le sue convinzioni.
Se ti fa piacere posso anche dire che la Turina era un'inteprete molto più tragica di Anna Magnani, per la semplice ragione che pesava di più! :)

:roll: :roll: :roll:
Oh, ma allora non ci capiamo... :D
Non è il suono che fa l'interpretazione. Semplicemente, per me il suono è parte dell'interpretazione, poiché è sempre un elemento cercato e costruito ad arte dal cantante.
La personalità di un cantante si esplica anche nel tipo di sonorità che decide (decide, sottolineo) di emettere.
Caruso non aveva quegli acuti squassanti e aggressivi perché la natura glieli aveva concessi. Era lui a volerli così. Allora non si cantava in quella maniera, di norma. Il canto era molto più uniforme di adesso, e raramente si ascoltavano sonorità particolari, specialmente nel canto maschile. L'emissione tenorile era conformata per lo più su un'idea di suono precisa.
Caruso no. Caruso cerca un suono diverso, meno stilizzato, più carnoso, rispondente agli impulsi sensuali. Non astrale, stellare, iperuranio, ma ctonio, terragno, umile (nel senso etimologico della parola).
Poi è logico che il suono da solo non fa l'interpretazione.
Come una sfumatura di colore non fa un pittore.
Ma se trovi una tonalità particolare, strana, inusitata, in un quadro, che fai? Dici "«Chi se ne frega! Poteva pure usare un altro colore»? Se ne usava un altro, non era la stessa cosa! E Caruso, se avesse cantato alla De Lucia e avesse cercato i suoi suoni, semplicemente non sarebbe stato Caruso. :wink:
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Pagliacci

Messaggioda Tucidide » dom 22 feb 2009, 1:57

Pruun ha scritto:Ragazzi la vostra discussione è interessantissima...
Non intervengo perché su Gigli sono davvero troppo di parte (lo adoro... anche più della Sutherland) quindi non sarei credibile...

A dire il vero, l'opinione di un gigliano mi interessa. :D
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Re: Pagliacci

Messaggioda MatMarazzi » dom 22 feb 2009, 14:09

Caro Tuc,
Partiamo dalla questione dell'autenticità (?) carusiana rispetto alla vocalità di Canio.

Tucidide ha scritto: A proposito di Caruso: il suo Canio è un po' come l'Otello di Del Monaco. :) Non c'entra granché con la vocalità dei primi interpreti, con Fiorello Giraud, primo Canio al Dal Verme, ma soprattutto con Antonio Paoli, primo Canio discografico (grandissimo, a mio parere) nell'incisione del 1907 supervisionata da Leoncavallo in persona: http://www.youtube.com/watch?v=qnFXJOg9Xxg
Il suono di Caruso cerca sonorità carnose, squassanti bagliori nel registo acuto, affondi cupi nei gravi, tutte caratteristiche che Paoli non si sogna nemmeno di ricercare.
Poi, ad essere onesti, nemmeno Gigli è sovrapponibile a Paoli e Giraud (anche se il metodo di canto è più simile), essendo in origine un tenore di grazia mentre i primi erano tenori di forza.


A me fa piacere, intendiamoci, che stia prendendo piede la mia insistenza sulla necessità di comprendere le caratteristiche dei "creatori" per la definizione tecnico-vocale di un personaggio.
Però... ho anche scritto che non è sempre detto che un compositore, nell'elaborare un personaggio, abbia presente il futuro creatore: potrebbe anche non conoscerlo o conoscerlo poco.
Potrebbe anche - magari - ispirarsi a modelli diversi, vecchi o nuovi.
O persino modelli ancora inesistenti, che aspettano solo ...il suo spartito per nascere.
Wagner, ai suoi anni, non poteva immaginare a quali livelli sarebbe giunta l'arte coloristica del declamato; ma quando - cento anni dopo - è saltata fuori la Modl, pareva che il ruolo fosse stato scritto appositamente per lei.
Evidentemente Wagner puntava a qualcosa che ancora non c'era e che solo decenni di ricerca e sperimentazione avrebbero realizzato.

Diversi mesi fa discutevo con Riccardo a proposito di Norfolk, personaggio dell'Elisabetta di Rossini.
Riccardo mi aveva richiamato all'ordine perché avevo inglobato il personaggio fra i ruoli "David", mentre nel 1815 i ruoli David non esistevano ancora... tanto che il personaggio era stato creato da Garcia, tenore totalmente diverso da David.
Quello che all'epoca risposi a Riccardo, potrei ripeterlo pari pari a te, a proposito di Canio.

Ho detto che certe riforme possono essere nell'aria, anche prima di aver trovato l'artista in grado di attuarle.
Era l'esempio che facevo con Cornelie Falcon nel ruolo di Alice (Robert le Diable).
Quando l'opera fu creata nessuno pensava che un (praticamente) mezzosoprano come la Falcon sarebbe diventata regina di Parigi.
Eppure quando la Falcon si impossessò del ruolo, parve che fosse stato scritto su misura per lei e non certo per un soprano acuto e virtuoso come era la Dorus Gras.
Evidentemente Meyerbeer aveva già impostato il ruolo su un determinato binario, che aspettava solo ...il treno giusto.

Tendo a pensare che con Norfolk sia successa la stessa cosa: Rossini aveva in mente di potenziare il cosìdetto "secondo tenore", farne una figura centrale, dalla psicologia più mossa e contraddittoria rispetto all'eroe tradizionale, elevarne la tessitura un po' per distinguerlo, un po' per consentirgli quei voli dell'anima che i tenori "machi" di forza non potevano permettersi.
Tutto questo si avverte, per me, già in Norfolk, anche se all'epoca ancora non c'era David fra le forze del San Carlo (sarebbe arrivato l'anno dopo), ma solo quel tale... quel Garcia, secondo tenore a Napoli, che probabilmente Rossini non aveva mai nemmeno ascoltato quando cominciò a scrivere l'opera.


I primi interpreti veristi furono tenori di "grazia" perchè il loro canto (che tanto successo aveva raccolto in Francia nell'Opéra Lyrique) era ritenuto più moderno di quello dei vecchi tenori araldici, di forza e contraltini.
In questo sta la differenza con il caso di Otello.
Lì Verdi si rifaceva proprio a un modello esistente, persino vetusto, che intendeva ricreare: infatti volle un tenore "passatista" - Tamagno - vocato ai personaggi vecchi, glorioso interprete di Rossini e Meyerbeer.

I veristi al contrario di Verdi cercavano il nuovo; ripiegavano sulla Bellincioni e Stagno perché erano il "più nuovo" che si potesse trovare allora: ma questo non vuol dire che la loro scrittura non aspirasse ad altro, una rivoluzione canora che ancora non c'era stata.
Quando in Canio è apparso Caruso è finita ogni discussione.

Come quando la Falcon si era impossessata di Alice.
E' come se la forma fosse divenuta sostanza. Come se il ruolo fosse già stato scritto per lei.
E ancora oggi, se facciamo il Robert le Diable, tendiamo a chiamare mezzosoprani in Alice, nonostante il ruolo sia stato scritto per la stessa cantante che creò Marguerite degli Ugonotti.


Non è il suono che fa l'interpretazione. Semplicemente, per me il suono è parte dell'interpretazione, poiché è sempre un elemento cercato e costruito ad arte dal cantante.


Tutto giusto e tutto bello! :)
Peccato però che, a mio sentire, tu tendi a ricavare sintesi e relazioni ingannatorie tra tipologia di suono e volontà espressiva.
Suoni grossi ed esplosivi? Visione eroica!
Suoni afoni e duri alla Vickers? Visione intellettuale e psicologica.
Suoni chiari? Innocenza liliale! :)
Suoni alti e timbrati da tenore di una volta? solarità e gioventù...
Sono sillogismi che restano talmente in superficie da portarci a fraintendere completamente l'interpretazione di un cantante.
E' vero che se un cantante sceglie di ottenere suoni grossi e fibrosi, oppure chiari e fosforecenti, una ragione c'è.
Ma questa ragione rischiamo di non vederla, se poi ai suoni applichiamo le vecchie e stracche categorie espressive della tradizione pre-bellica.
Hai la voce grossa? sarai Norma! (anche se hai l'autorevolezza di una portinaia)
hai la voce piccola? sarai Amina (anche se hai il temperamento di una erinni).

Caruso ha i suoni enormi? indi è enorme il personaggio.
E invece il Canio di Caruso era un povero guitto paesano, un immigrato che ha sognato di diventare qualcuno e che improvvisamente si ritrova a misurare lo squallore della sua esistenza; il pubblico di italiani emigrati che - a ognuna delle centinaia di repliche - singhiozzava e usciva dal Met sconvolto, non vedeva in lui il leone ruggente con la bava alla bocca, ma lo specchio della propria depressione.
Ecco come si può fare un personaggio piccolo pur utilizzando suoni enormi.
Potrei farti mille esempi di come si possano fare personaggi enormi pur con suoni piccoli.

Salutoni,
Mat
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