Tucidide ha scritto:Domanda secca, detta così...
La domanda sarà anche secca, Tucidide, ma in realtà se ne è già parlato moltissimo.
Io personalmente ho preso posizione tantissime volte su questo punto.
E' chiaro che si possono consegnare alla storia interpretazioni maiuscole pur non rispettando nemmeno le note di una partitura (ci sono esempi a bizzeffe: la stessa Sutherland con gli aggiustamenti nel registro grave di Semiramide). E lo stesso può avvenire allontanandosi dal modello "originale".
Io stesso l'ho dichiarato mille volte e nel dichiararlo mille volte (come ricorderai benissimo) ho proprio sempre fatto l'esempio di Otello: pur essendomi da sempre investito nella crociata della vera voce di Otello, ho sempre affermato l'inequivocabile grandezza di interpreti lontanissimi da questo modello.
E tuttavia affermare questo (che io ho sempre affermato e tu evidentemente condividi, considerando che praticamente mi citi fin nell'esempio) non deve indurci a cadere nell'errore opposto.
Cioè nel considerare le ricerche sulla natura del primo interprete come una questione simpaticamente oziosa e accademica, tanto per parlare di "storia"; o per usare le tue espressioni:
Dal mio punto di vista, ciò è interessante in quanto ricerca storica, e come tale, sociologica, in quanto dimostra l'evoluzione del gusto e della vocalità, ma non trovo che sia così fondamentale a fini esecutivi.
Nel momento in cui un arista si sperimenta in un ruolo nuovo, non può prescindere da alcuni elementi oggettivi e dimostrabili, che fanno la sostanza "statica" di un certo personaggio.
Può anche ignorare questi elementi, violarli, ma non prescinderne.
Fra questi alcuni sono scritti nero su bianco (e dunque decifrabili da tutti con una certa facilità), altri non sono scritti, ma "sottintesi" e non di meno importantissimi.
La prassi esecutiva, ad esempio, non è scritta; non la trovi su uno spartito. Ma questo non vuol dire che non si debba curare anche questo aspetto, benchè non scritto. Se non è scritto è solo perchè il compositore (e chiunque si occupasse di musica ai suoi tempi) dava per scontate certe cose che oggi - magari - non lo sono più.
Lo stesso vale per le caratteristiche di un grande interprete su cui il compositore ha cucito un personaggio.
Proprio perché conosceva l'interprete (e sapeva che era conosciuto al pubblico) il compositore attuava una serie di strategie, di equilibri, di effetti.
Non c'era bisogno di scriverli nero su bianco (ma sarebbe stato sempre possibile?) perchè erano insiti nell'interprete.
Il compositore li dava così ...per scontati.
L'orchestrazione, ad esempio, è funzionale alle caratteristiche squisitamente vocali del creatore, più di quanto non emerga dalle stesse note.
Come molto commentatori colsero fin dal 1886, Verdi concepì per Otello un'orchestrazione forte e complessa, ma non wagneriana come timbro: è un'orchestrazione "acuta", molto brillante, pensata per voci squillantissime: mettici un tenore baritonale e gli equilibri saltano. Anche per questo gli Otelli baritonali sono costretti a sgolarsi per imporre le loro frasi.
Ma nell'analisi del primo interprete si va ben oltre il dato fisico.
Un esempio? C'è il lato "divistico".
Come giustamente osservava CAlaf, le opere pensate per la Pasta presentano lungaggini ossessionanti, e non solo nei recitativi. Questo perché Bellini e Romani (ma anche Donizetti) ben conoscevano l'ascendente "divistico" che la Pasta esercitava sul pubblico: ogni parola di recitativo, questo pubblico se la sarebbe bevuta con voluttà!
Lo stesso faremmo noi oggi con una sceneggiatura cinematografica, sapendo che l'attore sarà Al Pacino.
Tutta la nostra sceneggiatura finirà per essere sbilanciata in suo favore.
Se all'ultimo momento al posto di Pacino apparirà un giovane sconosciuto (bravo finché vuoi), la nostra sceneggiatura apparirà sbilenca e squilibrata.
Allo stesso modo, provaci, Tuc, a scritturare una cantante, non dico meno brava, ma semplicemente meno ...leggendaria della Pasta, e Anna Bolena, Sonnambula, Beatrice di Tenda non si reggeranno più (sapessi quante volte è capitato a me).
... risulteranno noiose, rigonfie di eccessivi e lentissimi blateramenti sopranili.
C'è infine la questione "psicologica".
Anche se un testo comunica certe cose, il sottotesto (pensato sull'interprete) può comunicarne di opposte.
La prima Miss Grosse del Giro di Vite di Britten fu Joan Cross, raffinata lady vittoriana, sofisticata e intellettuale liederista invecchiata, inconfutabilmente soprano, grandissima amica di Britten.
La parte - che ci proviene da James - dovrebbe essere quella di una "tata" di paese, grossa, semplice e ignorante; le parole del libretto ce lo confermano. Eppure se il ruolo viene interpretato in questa chiave, alla fine i conti non torneranno.
Perché?
Perché il "sottotesto" (ossia il fatto che Britten pensò ogni singola nota, ogni pausa, ogni parola in riferimento alla sua amica Cross) urla il contrario.
Lo stesso vale per il fantasma, l'ex giardiniere Peter Quint.
James lo dipinse come un'oscura memoria di virilità immonda, sporca, inconfessabile, di carnalità plebea e sordida, che infanga col fascino della sua animalità la purezza della giovane insegnante e persino quella dei bambini.
Già... peccato che il tenore a cui Britten destinò iil personaggio era Peter Pears, sofisticato signorotto, di classe colta ed elevata (altro che giardiniere!), compagno omosessuale dello stesso Britten.
Il personaggio che ne esce è fantastico, ma ...provaci ad affidarlo a un tenore "macho", sensuale e rozzo, e vedrai che bello schifo ne salterà fuori, anche se tutte le note sono giuste.
Questi sono solo esempi, ma ben altri se ne potrebbero trovare.
E poi c'è la controprova offerta dagli interpreti moderni.
Alle volte, per alchimie difficilmente spiegabili, essi sviluppano con alcuni ruoli del passato strane relazioni, miscele esplosive, persino inquietanti.
La Gencer? E' un buon esempio.
Grande belcantista, grande regina, grande donizettiana, fu detta.
E allora come mai quando canta (benissimo) Norma, Bolena, Beatrice avvertiamo- qua e là - tensioni, difficoltà, eccessi espressivi, una retorica non sempre convincente...
Perché, quando invece la sentima in Stuarda o nel Devereux (ma anche Belisario, creato dalla Ungher, erede della Ronzi), ci pare sguazzare nel suo humus, ed è difficile tuttora pensare a risultati più probanti dei suoi?
Evidentemente nei ruoli Ronzi c'è qualcosa di diverso... qualcosa di più adatto a lei, che non si trova nei ruoli Pasta.
Contrario discorso per la Sutherland.
Lei stessa, che non esitò a fare di Norma (il ruolo forse più pesante del primo Ottocento italiano) un caposaldo del suo repertorio, come mai evitò sempre il confronto con Devereux?
Come mai - mentre non esitò a trascinare Lucia, Bolena e Borgia fin oltre i limiti dell'accettabilità anagrafica - sfiorò appena la Stuarda e non vi tornò più sopra?
Ci sono legami tra un interprete e un personaggio che trascendono le "note" scritte e che si imprimono nel sottotesto, in una trama complessa e articolata di relazioni, rimandi, evocazioni.
Sono più difficili da decifrare, ma forse anche più importanti delle note stesse.
Tutto questo, naturalmente, è valido solo nel caso di primi interpreti famosissimi (o per lo meno profondamente noti al compositore, nel momente in cui scriveva per loro); primi interpreti scelti indipendentemente dalla volontà dell'autore non interessano a questa dinamica.
E' la voce, la pesonalità, lo sguardo di Maria Jeritza che dobbiamo cercare in Turandot; non certo la Raisa (prima interprete).
Inoltre - lo ribadisco - questo tipo di indagine non esclude risultati eclatanti anche in artisti che si distanzino notevolmente dal modello originale.
Ci mancherebbe!
Come ho detto all'inizio, si possono lasciare interpretazioni eclatanti anche distanziandosi dalle note stesse (Beckmesser molti mesi fa faceva il brillante esempio di Schipa in Ernesto, che mai avrebbe potuto cantare le vere note della parte).
Quanti artisti spianano i trilli, tagliano le frasi difficili, alterano le frasi scabrose, modificano le tonalità, eppure sono bravi lo stesso? Tanti!
E se è lecito infischiarsene delle note, lo è anche infischiarsene del primo interprete, purché il risultato sia musicalmente e teatralmente probante.
Ma ...attenzione! Questo non vuol dire che dobbiamo esaltare l'anarchia!
Un interprete che riesca a far scaturire la verità di un ruolo ATTRAVERSO LE NOTE e ATTRAVERSO I SOTTOTESTI sarà da applaudire ancora di più.
Salutoni,
Mat