Riccardo ha scritto: Sul principio mi sento d'accordo. Non riesco però ad essere sicuro sul fatto che le due appartengono all'una o all'altra categoria in modo rigido.
E su questo, Ric, sono d'accordo.
Un po' mi immagino che cosa dirà Matteo.
lo so... lo so... mi ripeto!
Che quello della Sills era tutto fumo, tutta superficialità alla ricerca dell'effetto più immediato, tanto da rischiare a volte la più becera baracconata. La Sutherland una maestra di ricerca e di studio meticoloso, di riflessività e approfondimento.
In effetti vorrei rettificare un poco!
Sulla Sills è vero: avrei detto quasi così.
Sulla Sutherland no: secondo me la stupenda Joan non ha mai riflettuto assolutamente a nulla di ciò che faceva! ehehehe...
Io non mi aspetto che i cantanti "riflettano".
Hanno già troppe cose, poverini, di cui occuparsi.
Il massimo che mi aspetto da loro è che ...provino emozioni e che riescano a condividerle con chi ascolta.
La Sutherland era un monumento vivente e risonante.
Chiusa, imprigionata, nella sua corazza di granito finissimo, non sapeva nè voleva esprimere altro che la sua stessa monumentalità.
Dall'alto del suo piedistallo, sciorinava imperturbabile i suoi misteri ultraterreni, tanto incomprensibile e narcotizzante quanto l'origine dei suoni che produceva, che - a teatro - non si capiva da dove uscissero: il pubblico si faceva piccolo piccolo, si rintanava stordito nella sua seggiolina, in devozione attonita verso questo idolo platonico.
Non era calda... non era femminile... non era sensuale... non era donna... non era nemmeno umana. Tutto vero.
Era tanto monocromatica che quando cantava l'odio non si distingueva dall'amore, la felicità dalla paura. E' vero.
Faceva modesta figura nei personaggi che ESIGONO almeno un po' di umanità. Ancora vero.
E tuttavia in quei personaggi dove la monumentalità poteva essere di per sè un valore espressivo la Sutherland era la più grande: e non era, checché tu ne dica, solo questione di agilità, suoni lindi e omogenei, acuti iperurani. Era anche e soprattutto questione di fraseggio, di rubato, di elaboratissime tensioni ritmico-dinamiche.
Ecco: poiché tu affermi che la Sills era più calorosa e reattiva (il ché è vero) io ti suggerirei non di confrontare le due artiste sulla base dell'umanità (è ovvio che vincerebbe la Sills) e nemmeno su quella della monumentalità (vincerebbe la Sutherland).
Ti suggerisco invece di dare un voto al "meglio" di entrambe: ossia all'umanità della prima e alla monumentalità della seconda.
Poi confronteremo i risultati.
Io personalmente alla Sutherland "astratta e metafisica" (i ruoli Pasta, Turandot, Alcina, donna Anna, Marguerite de Valois, Semiramide) attribuirei un bel 10!
E alla Sills "umana e reattiva" che voto darei?
Francamente non mi spingerei tanto oltre una piena sufficienza.
Su questo versante sono troppe le belcantiste che le hanno fatto mangiare la polvere: l'umanità, la femminilità, la coerenza psicologica della Gencer o della Callas mi sembrano mille volte più palpabili ed evidenti che nella Sills.
E' vero che ci metteva tutto l'impegno a coinvolgere l'ascoltatore, subissandolo di accensioni, slanci, sussurri, scoramenti, lacerazioni.
Non si fermava di fronte a nulla: cercava mille colori (troppi?) per differenziare le vocali, a rischio magari di aprire in modo improvvido e produrre sonorità chiocce e belanti; esasperava le consonanti facendole esplodere brutalmente, sullo stile Gencer, ma - a differenza di quest'ultima - senza conoscere così bene la lingua italiana da evitare certe penose scivolate di pronuncia; lanciava alcuni sopracuti con un furore talmente scomposto da ritrovarsi in bilico con l'intonazione, lei che pure era una vocalista fantastica.
Tutti questi sarebbero peccati veniali (sai quanto frega a me di sentire qualche nota spiacevole!
).
Il vero problema è che un simile armamentario di retorica holliwoodiana, un simile accumulo di effetti su effetti (a volte belli, a volte bellissimi, a volte brutti, a volte bruttissimi) mi sembra spesso controproducente. Non dico "fumo senza arrosto", ma certamente la fa apparire un'attrice che per costruire il personaggio si limita a truccarsi sempre di più, a ricoprirsi la faccia di strati di cerone, a imbellettarsi con tutti i colori e le sfumature possibili... mentre sarebbe bastato un viso espressivo, sia pure "acqua e sapone".
Devo però anche dire che, sia pure rovinato da tutta quell'enfasi pseudo-divistica, la Sills il talento dell'animale da teatro ce l'aveva.
Ci sono frasi che lasciano interdetti, tanto risultano poetiche e coinvincenti: hai presente, all'inizio del Devereux, quella semplice frase "fido alla sua regina? E basta... o Sara?"
Infine va sottolineato che ci sono personaggi che, grosso modo, possono avvantaggiarsi proprio di quel frastornante accumulo di effetti, di tanta egocentrica esteriorità.
Ad esempio le regine donizettiane (non Anna Bolena, non Lucrezia Borgia, ma quelle incoerenti, dissociate, contraddittorie scritte per la Ronzi de Begnis o la Ungher) e in particolare Maria Stuarda, ruolo in cui la Sills mi pare l'unica (scusa il sentimentalismo da Genceriano) in grado di far vacillare la turca sul suo trono.
Non ho difficoltà ad ammettere che in questi ruoli la Sills avesse ragione della Sutherland (la cui Stuarda è - per me - la peggiore della discografia). In compenso la Sutherland mi pare non solo superiore, ma infinitamente superiore, incommensurabilmente superiore nei ruoli Pasta e in tutti quelli dove l'umanità può anche essere messa da parte e smaterializzata (come solo la Sutherland sapeva fare) fra le nebulose stellari.
Questo è ciò che ne penso io. Ma mi piacerebbe davvero tanto sentire le opinioni dei nostri compagni di forum.
Un salutone,
Matteo