Bene, Teo.Emme,
ci siamo capiti!
E scusami a tua volta se sono stato un po' brusco!
Per concludere il discorso, vorrei soffermarmi sul rilevantissimo problema del falsetto.
teo.emme ha scritto: Ho detto e ripeto che confrontare, come mi pare tu abbia fatto, i suoi acuti con quelli di Florez, mi sembra azzardato, dato che le eventuali obiezioni o affermazioni non possono trovare conferme o smentite.
Infatti io non confrontavo la "qualità" degli acuti ma solo la tecnica con cui sono emessi. E questo, mi spiace, ma non è un' "ipotesi".
Noi sappiamo benissimo, sulla base di una documentazione sconfinata e precisissima, come i tenori fino a Rubini emettessero gli acuti.
Immagina che invece di acuti, ci mettiamo a parlare di salti atletici.
E ci mettiamo a confrontare i record di un atleta dell'ottocento (di cui leggiamo arrivasse a toccare i 5 metri) con quelli di un atleta di oggi che sappiamo può arrivare al massimo a 3 metri.
Ecco: in Tenebris (per restare nell'esempio) trae spunto da questi numeri per affermare che il saltatore odierno non può paragonarsi a quello passato, perché i suoi salti sono molto meno elevati: almeno due metri in meno.
Poi però si scopre che quello del passato saltava con l'asta, mentre quello di oggi no.
Eh... allora il discorso cambia.
E cambia anche il giudizio.
Perché fare 5 metri con l'asta è una cosa notevole, ma non stratosferica (e infatti io ti assicuro che toccare il fa in falsetto non è incredibile: lo fanno anche i controtenori).
Mentre fare 3 metri in salto libero è una cosa incredibile, disumana.
Era doveroso, da parte mia, far notare l'ingiustizia e persino l'insensatezza di un simile confronto.
Tornando alla voce umana, il falsetto permette di estendere l'acuto di circa una quarta sia negli uomini, sia nelle donne.
Questo è un fatto fisiologico.
Quindi se tu sei un baritono e a voce piena raggiungi il sol, in falsetto puoi spingerti fino al do (e questo spiega perché per il baritonale Nourrit scrivessero parti ricolme di do e re sopracuti... o per il baritonale Donzelli Bellini abbia piazzato un do in Pollione che oggi fa impallidire tutti i tenori).
In base a questo grossolano (e, lo ammetto, talora fallibile) calcolo, si può supporre che Florez (poiché senza falsetto tocca il mi bemolle, che è una nota semplicemente pazzesca per una voce maschile, che ci piaccio o no) potrebbe spingersi col falsetto fino al labemolle.
Finora stiamo parlando di fisiologia, di corde vocali,
non di arte e nemmeno di bravura tecnica.
Perchè una cosa è certa: il falsetto di Rubini (chiamalo falsettone se vuoi, non mi arrabbio
) doveva essere una cosa favolosa: un suono strabiliante di luminosità e splendore.
E non solo perché era Rubini, ma perchè dietro a lui c'erano secoli di esperienza, di studio, di pratica in questo tipo di vocalità.
Purtroppo oggi i nostri uomini non sanno più cantare in falsetto e non per colpa loro; è una pratica che si è persa da troppo tempo (quasi duecento anni).
Quando un nostro tenore o baritono tenta il falsetto vengono fuori suoni piccoli, chiocci, ribelli.
E non che con i moderni controtenori le cose vadano tanto meglio: io sono felicissimo che esistano e che si impegnino su questo fronte: inoltre sento che, generazione dopo generazione, migliorano sempre.
Però siamo ancora alla fase dei balbettamenti: la strada da percorrere è ancora lunghissima e il divario con le signore donne (che invece, beate loro, non hanno mai smesso di utilizzare il falsetto) appare praticamente incolmabile.
In compenso (perché non dobbiamo solo esaltare il passato) sono duecento anni che i nostri uomini (i tenori) lavorano come matti sul registro "misto" nell'acuto, che - come diceva Teo - è impestatissimo da gestire e sommamente innaturale.
Tutti i problemi dell'acuto "moderno", gli antichi (cioè fino a Duprez) non li conoscevano: il falsetto è infatti più riposante e meno esposto alle ...frane.
E' molto ragionevole pensare che Rubini, che pure come estensione naturale si sarebbe mangiato il do di petto, forse non avrebbe avuto la tecnica giusta per affrontarlo, tecnica che ai suoi anni non poteva essere stata davvero elaborata.
E' verosimile che se sentissimo oggi il pionieristico "do diesis di petto" di Duprez (quello che ha sconvolto un'epoca) diremmo: "be' tutto qui?"
In duecento anni infatti questa precisa tecnica (che spinge il misto tenorile a livelli disumani) ha fatto passi da gigante.
E mai ho letto (a proposito di Rubini) di emissioni di note in falsetto, dato che verrebbe a cadere la straordinarietà di un cantante all'epoca celebrato come fenomeno.
E perché verrebbe a cadere?
In queste tue parole, Teo.Emme, leggo un antico pregiudizio tardo-ottocentesco contro il falsetto, come se fosse una cosa brutta ed effeminata.
E, certo, sentendo gli striminziti falsetti che fanno i nostri interpreti novecenteschi (non per colpa loro)... verrebbe da pensare che è così.
Invece la parola "falsetto" non è nè bella, nè brutta.
L'emissione in "falsetto" è solo un modo di emettere la voce.
Come l'emissione "mista", come l'emissione di "petto".
Diresti che la Schwarzkopf, o la Callas o la tua Sutherland non sono grandi perchè cantano in falsetto? Spero di no!
E ora veniamo all'espressione "falsettone", che esiste, è corretta, ma per come è stata utilizzata da certi vociologi moderni assume l'aspetto di una presa in giro, una scappatoia furbastra.
Il nostro problema è che non siamo disposti ad ammettere la semplice verità: perche ne abbiamo paura.
La verità è che Bellini, Rossini, Meyerbeer andrebbero ANCORA OGGI cantanti ricorrendo al falsetto per la terza acuta visto che proprio per questa tecnica composero, e non (come invece si fa) inaseguendo voci acutissime, innaturali per questo repertorio, costrette a inerpicarsi a voce piena (in modo assurdo e spesso sgradevole) su tessiture pensate per un altro tipo di emissione.
Ma questa verità non siamo disposti ad ammetterla... l'idea di sentire un Pollione o un Arnoldo che, oltre il la, passano al falsetto ci atterrisce.
E allora... ci inventiamo la bufala del falsettone, che spacciamo per una cosa strana e incomprensibile che... per carità... col falsetto non c'entra nulla!
E allora cos'era? mah... una cosa esoterica, che mescolava i suoni di testa a quelli misti, praticamente era così, forse era colà.
E' chiaro che il falsetto dei grandi virtuosi sette-ottocenteschi non era "nudo e crudo" (come non lo è nemmeno ora quello delle donne).
Era amplificato e manipolato in maniera sopraffina.
Questo significa che determinate cavità facciali erano utilizzate per elaborarlo, plasmarlo e proiettarlo meglio, per dargli colore e polpa, luminosità e lucentezza.
Il termine "falsettone" o "falsetto rinforzato" vuol dire semplicemente questo: è semplicemente un modo raffinato di gestire il falsetto, rinvigorirne le sonorità e omogeneizzarle col registro misto (praticamente, scusa se mi ripeto, proprio ciò che fanno tutti i soprani drammatici e non solo)
Salutoni
Matteo