Maugham ha scritto:Molti di noi (me compreso) ovviamente cresciuti e formati principalmente dal disco tendiamo a privilegiare, nell'esprimere opinioni, l'aspetto musicale di una performance.
Invece l'opera è teatro in musica.
La vocalità (di qualsiasi tipo e di qualsiasi scuola) presa come valore a sè per un giudizio su un artista è pura accademia.
O meglio; facciamo pure un discorso sulla vocalità, ma poi andiamo avanti...
Spero di non andare OT, ma in fondo questo thread ha già offerto il destro alla divagazione. Volevo porre sul tavolo una questione.
Sostanzialmente, direi che il discorso di Maugham riassume in poche righe l'attuale situazione del pubblico melomane.
Da quando esiste il disco, e pertanto la possibilità di confronto con il passato, è nata una schiera di melomani, che io chiamo vociomani. Non cellettiani, attenzione: conosco vociomani consapevolmente fieri di esserlo che detestano Celletti, e non condividono quasi nulla dei suoi giudizi.
Il vociomane privilegia VOCE e TECNICA. Per lui, prima di tutto, occorrono queste due caratteristiche. Se ci sono entrambe, è il massimo, altrimenti ci si può accontentare di una voce modesta, se è ben guidata, e non disdegnano i superdotati di natura anche se digiuni di tecnica, ma solo nei primi anni di carriera ed integrità vocale.
Per il vociomane, l'interpretazione viene dopo, non è detto che non sia importante, ma in ogni caso non può essere anteposta a voce e tecnica. In certi casi, ritengono che i grandi "interpreti" siano cantanti mediocri che hanno "ingannato" il pubblico gettandogli fumo negli occhi con le loro presunte doti interpretative. Insomma, per il vociomane la definizione "teatro d'opera" è in fondo in fondo fasulla: l'opera è CANTO, non TEATRO.
Dall'altra parte, c'è chi pensa che l'opera sia teatro, ed a seconda della propria sensibilità valuta e giudica gli interpreti. Non nega l'ammirazione per le tecniche sublimi o per le voci meravigliose, ma ritiene che per valutare al meglio un cantante occorra vedere cosa tira fuori da un personaggio. Non si accontenta di un do sfolgorante o di un filato impalpabile, ma cerca la teatralità.
BENE: sulla base di questa divisione, che ovviamente ha le zone d'ombra, le sfumature, e non è manichea, credo che il primo sia un approccio più istintuale, "di pancia", il secondo più cerebrale, più intellettuale, "di testa".
Come in tutte le cose, quando c'è dicotomia fra discorsi di pancia e di testa, si nota una cosa curiosa. Il discorso di testa è quello che A PAROLE viene sostenuto dalla maggioranza e su cui ci si trova d'accordo. Il discorso di pancia, viceversa, è quello che la gente A PAROLE guarda con sospetto, che considera superficiale, cinico e riduttivo.
Però... quando dal piano idealistico si passa al piano realistico, TUTTO CAMBIA! Molti di quelli che a parole dicono di essere d'accordo con il discorso di testa, poi nel segreto del proprio cuore seguono il discorso di pancia. In pubblico si vergognano a seguire la pancia, ma in privato ritengono il discorso di testa un vaniloquio e si buttano sulla pancia.
In Italia ci sono due schieramenti politici grossi. Uno fa discorsi di testa, sempre garbati, compiti e condivisibili, e la gente si emoziona a sentirli, perché si sente buona ed in pace col mondo. L'altra parte parla alla pancia, risulta talvolta sgarbata, cinica, poco simpatica, e a parole nessuno o quasi ammette di essere d'accordo con essa. A parole, uno dei due schieramenti avrebbe il 95 % dei voti. Poi... alle urne... AVVIENE SPESSO IL CONTRARIO!!! La gente che fino al giorno prima si è trovata d'accordo con l'uno, nel segreto della cabina elettorale cambia idea e segue la pancia.
Non pensate che anche per il pubblico d'opera possa avvenire la stessa cosa?
Lo dice uno che è da tempo convinto della bontà del secondo approccio, quello intellettuale, ma che nota come la pancia abbia ancora il suo fascino...
Saluti carissimi