Tucidide ha scritto:Capisco il tuo discorso, Mat, ma appunto guardiamo la cosa da un punto di vista storico.
Malgoire è un estremista, un direttore che si è posto sulla scia dei grandi direttori barocchisti, portando a conseguenze estreme ed eccessive un'idea che a me piace e anche molto (e tu lo sai
), quella del suono "originale".
CAro Tucidide,
se vediamo la cosa semplicemente in termini "storici", io credo che Malgoire non si è semplicemente "posto sulla scia": è stato proprio tra gli iniziatori e divulgatori del fenomeno.
Molti dei grandi "barocchisti" che, come affermi, anche tu ami, sono nati con lui o dopo di lui.
Inoltre vorrei puntualizzare, rispetto al tuo pensiero che è anche il mio, sul fatto del suono "originale".
Non credo che il problema vero (di quegli interpreti e di noi ascoltatori) fosse il suono secentesco.
Il problema vero (allora come ora) era creare suoni "nuovi", assai più che riscoprirne di "vecchi".
La grandezza dei grandi pionieri del barocco (fra cui, anche se tu non sei d'accordo, Malgoire
) fu quella non tanto di aver riscoperto il passato (che li avrebbe resi grandi solo come stuidiosi), ma di aver inventato il futuro, ciò che li ha resi grandissimi come interpreti.
...di aver inventato un'infinita serie di suoni "nuovi" con cui il nostro vocabolario di operisti si è sconfinatamente ampliato.
Poi è ovvio che non tutti i suoni da loro messi in campo hanno retto il volgere dei decenni: il pubblico (e loro stessi) hanno selezionato. Ma questo rientra appunto nella dialettica storica dell'evoluzione dei suoni!
Come dici tu stesso, la Poppea di Malgoire venne ben dopo quella di Harnoncourt, che dal mio punto di vista è non solo un capolavoro teatrale ma anche musicale e vocale (io di solito amo poco i controtenori, ma lì Esswood è emozionantissimo). A che pro spingersi così oltre? Harnoncourt era all'epoca un direttore rivoluzionario perché fu uno dei primi ad osare, ma anche se a volte non tutto filava liscio, si trattava di un criterio serio e che SOPRATTUTTO è stato la carta vincente.
Guarda, io avevo proprio Harnoncourt nelle orecchie quando ho comprato Malgoire.
E ti dirò (ma magari una volta ne parleremo meglio) ho i miei dubbi che fosse davvero un monteverdiano così innovatore (dall'interno) come parve all'epoca.
Sì, certo... fu un capofila, fu un'apri-pista (lui sì, davvero), ma la sua rivoluzione mi parve più di forma che di sostanza.
Contenutisticamente, la sua Poppea per me resta togata e solenne (ispirata a una romanità cinematografica) come quelle precedenti, con la sola differenza che il rivestimento, l'involucro sonoro appariva almeno formalmente diverso (non a livello vocale però: gli artisti a cui si attaccò, la Watkinson, la Berberian, la Donath - non parliamo della Schmidt e di Salminen - erano tradizione della più bell'acqua).
Insomma, secondo me non scardinò il pensiero romantico, solo lo rivestì di una patina che, all'epoca, risultò sorprendente.
Non penentrò nelle audacie scottanti e sconcertanti della drammaturgia veneta, non comprese il senso di protervia popolaresca ed erudita insieme di quello stravagantissimo capolavoro.
Ancora oggi, che Harnoncourt l'ho visto decine di volte a teatro, mantengo più che mai verso di lui questa sensazione di sconnessione fra anliti tradizionalisti (a livello di contenuto) e fremiti di novità (nel linguaggio).
Forse mi piace così tanto proprio per questo, per il fatto che oscilla sempre tra il Kappelmeister tradizionale e l'elettrizzante eresiarca.... e tuttavia devo ribadire che Malgoire, nella Poppea, è andato più in là, secondo me, tanto più in là.
econdo te, Mat, le nuove leve del barocco si ispirano ai suoni aspri di Malgoire o a quelli squillanti di Gardiner, quelli voluttuosi di Christie, quelli aspri ma adrenalinici del Giardino Armonico (parliamo anche di complessi che toccano solo di rado la musica vocale)?
Ma tu la metti giù in termini di piacevolezza d'ascolto.
Non c'è solo questo: lo sai benissimo!
E poi anche la piacevolezza di suoni si conquista, con l'abitudine di ascolto e con la pratica degli esecutori.
All'epoca dei primi barocchisti non c'era nulla prima di loro: il deserto. Oggi no....
Le nuove leve dispongono di una libertà di manovra, nell'affrontare il Barocco, che non avrebbero se anche Malgoire - insieme agli altri pionieri della sua generazione - non avesse preparato il terreno e forgiato gli utensili di questa libertà.
Lui e i suoi contemporanei - mentre tutti frignavano intorno a loro, gridando allo scandalo - hanno tolto le erbacce (ed erano addirittura soffocanti), hanno dissodato e divelto le pietre (e anche queste erano tantissime), infine hanno seminato chi un tipo di pianta, chi un altro.
Oggi l'interprete barocco può scegliere la pianta di Christie (che però, secondo me, tu sopravvaluti un pochino) o quella di Gardiner... alle volte anche quella di Malgoire (che non era solo suoni brutti...).
Io credo che un Malgoire possa essere al più considerato una specie di Piero Manzoni della musica: esponente di un'arte concettuale, che è valida nelle premesse e nell'idea, ma dai risultati assai discutibili.
Personalmente non direi che Malgoire fosse solo concettuale. Per sgradevoli che possano sembrarti, i risultati teatrali e musicali ci sono.
Non è che perché uno sceglie la via della "durezza" (cosa su cui si potrebbe pure discutere), divenga per questo solo un teorico che non consegue risultati.
La sua Poppea esiste eccome: esiste teatralmente, psicologicamente, culturalmente.
E io - che in quest'opera ho sentito dal vivo Dantone, Harnoncourt, Jacobs - ti assicuro che mi ritrovo spessissimo a rimpiangerne certe folgoranti intuizioni.
Magari, quando finalmente organizzeremo un incontro, potremmo riascoltarne insieme qualcosa.
Salutoni,
Mat