Visto che sono stato evocato (
o almeno, è stata evocata una mia frase) intervengo volentieri dando "l'interpretazione autentica" del mio pensiero.
Innanzitutto una premessa doverosa: in realtà non credo affatto che il recital wagneriano della Sutherland sia in qualche modo
rivoluzionario (
e ne sono ben contento, non credo nelle rivoluzioni, in nessun ambito..). E neppure penso che sia privo di difetti (
in particolare - già l'ho scritto - ho trovato un poco deludente la direzione di Bonynge, nonostante ami Bonynge e lo ritenga uno dei direttori più stupidamente sottovalutati di tutti i tempi. Ma anche in certi aspetti dell'interpretazione della Diva: insomma se ne può parlare). Il Wagner che però ascoltiamo in questo recital (
con tutti i limiti che un recital può avere e senza la possibilità di un confronto col personaggio intero dell'opera integrale) è effettivamente qualcosa di diverso dal solito e a cui per anni siamo stati abituati in ossequio ad una certa fastidiosa ortodossia: è un Wagner ripulito da una quell'enfasi retorica che spesso ci è dato ascoltare. Un Wagner luminoso, alleggerito da certe lutulenze tardo romantiche, un Wagner
cantato. Non è però una rilettura intellettualistica e razionalizzata, "da camera" o lirica, bensì esso è ricondotto ad un'estetica essenzialmente
romantica/weberiana. Non una rivoluzione quindi (
come fece, ad esempio, Karajan e pure Boulez, ma con risultati molto più deludentii), ma piuttosto un "ritorno" ad un romanticismo schilleriano (
se mi concedete il paragone letterario). Ovviamente emerge anche, e soprattutto, il lato essenzialmente vocalista della Sutherland (
aspetto che spesso è stato trascurato a tutto vantaggio di altri elementi). Non parlerei, quindi, di un Wagner "all'italiana", ma piuttosto di un Wagner
romantico o piuttosto,
weberizzato se mi passate il neologismo (
e dopo tanto Weber wagnerizzato forse è il giusto contrappasso). Ora tutto questo può piacere o non piacere, tuttavia inviterei a riflettere su alcuni aspetti storici: il clima culturale ed estetico in cui Wagner si muoveva è figlio del primo romanticismo tedesco (
Schiller, Novalis, Fichte, Schelling, Holderlin, Friedrich) che musicalmente ha come epitome Carl Maria von Weber. Senza contare gli influssi di certo belcanto italiano (
ma non voglio ritornare a questa annosa questione onde evitare "guerre sante"...). Ebbene, riportare Wagner a questa dimensione (
soprattutto nelle opere prima del Ring, che sono,non a caso, proprio quelle ove la Sutherland concentra la sua interpretazione) non mi sembra una forzatura, come invece può essere una rilettura brahmsiana dell'autore, calcata su sonorità poderose, organici smisurati, sinfonismo mahleriano etc, e non scevra da retoriche pangermaniste... La mia frase
"un altro Wagner è possibile", volutamente provocatoria, proprio a questo mirava: un Wagner più vicino a Weber che a Brahms, più romantico che tardoromantico, può essere una lettura assai convincente (
almeno, a me piace molto e affascina moltissimo). E aggiungo ancora la parola
"auspicabile". Almeno come alternativa. Mi piace riportare, sul cd oggetto di discussione, le parole contenute in un intervento pubblicato su questo stesso sito (
non nel forum), nella sezione dedicata ai cantanti storici, e che penso rifletta anche il pensiero degli stessi amministratori (
sennò non sarebbe stato messo dov'è...) e quindi rispecchi le finalità e le linee ideologiche del sito stesso. Non sono quindi le idee di un "cellettiano" come tante volte mi si accusa di essere (
accusa che, intendiamoci, mi prendo volentieri, non ritenendola affatto negativa o denigratoria, nonostante gli intenti di chi me la destina..
.):
"(...) E si ritorna a Wagner, ossia al sogno rimasto nel proverbiale cassetto, o quasi. Propiziata dall’ammirazione per la Flagstad, dal teutonico debutto in patria e dalla propedeutica frequentazione del teatro di Weber, l’aspirazione sutherlandiana al canto wagneriano si è tuttavia limitata all’Eva dei Meistersinger e a ruoli minori, tra cui – in disco – l’irripetibile uccellino del Ring soltiano. Ma lo sfizio di un recupero protagonistico in extremis la Dame se lo tolse nel 1978, con Sutherland sings Wagner, un recital discografico molto intenso, straordinariamente cantato (anche se la voce tradì qui e là una certa stanchezza). Bonynge diresse la National Philharmonic Orchestra con leggerezza intrigante, privilegiando impasti puliti e quasi trasparenti, molto probabilmente assai vicini a quelli che si sentivano nei teatri europei nel secondo Ottocento, e la Stupenda realizzò un vera e propria dichiarazione d’amore per l’opera di Wagner, applicando a pagine esemplari di Rienzi, Holländer, Tannhäuser, Lohengrin, Walküre, Meistersinger e Tristan, sempre pervase di profonda emozione, una vocalità tutta italiana, controllatissima, straordinariamente musicale. E poco importa se la dizione, nonostante la chiara intenzione di far risuonare maggiormente le consonanti, restò, more solito, molto sfumata: il risultato è talmente affascinante da far rimpiangere più d’una delle mai affrontate letture integrali (...)"Ecco...non ho altro da aggiungere su quello che non ritengo, come assai superficialmente è stato definito,
"un gingillo discografico", ma un grande disco che propone una lettura differente, ma esteticamente convincente e plausibile. E' discutibile. Come ogni cosa, quindi..discutiamone, senza però lanciarsi in crociate contro di me al grido di "dagli al cellettiano....",
please!
Ps: sul Wagner "italiano" (
parlo del tanto vituperato - non da me - Wagner eseguito dai grandi cantanti italiani negli anni '40-'60 e tradotto, ahimè, non sempre bene) e che tanto ha dato alla nostra cultura musicale, invece, sarebbe assai interessante aprire un bel confronto senza pregiudizi.