Maugham ha scritto:ma dài!
Non lo sapevo. Dal momento che nella prosa non esiste più davo per scontato che questa figura di mediatore culturale fosse scomparsa anche nell'opera. Quando hai tempo metti giù un po' di nomi?
Ho preso un blocco di programmi di sala (che come sai tengo come l'oro
) tanto per darti qualche nome.
Sia il Capriccio, sia i Racconti di Hoffmann che Carsen ha allestito a Parigi recano il nome di Ian Burton (Dramaturgie).
L'Ifigenia in Tauride di Gluck sempre a Parigi con la regia di Warlikowski porta il nome di Miron Hakenbeck (dramaturgie).
Cambiamo teatro.
Stagione 2006 del festival di Salisburgo, l'anno Mozartiano.
Le Nozze di Figaro di Claus Guth recano il nome di Ronny Dietrich (dramaturgie).
L'Ascanio in Alba di David Hermann indica il nome di Dorothea Hartmann (dramaturgie).
L'oltraggioso Ratto dal serraglio con la regia di Herheim riporta il nome di Wolfgang Willaschek (dramaturgie).
Il Don Giovanni di Kusej (nientemeno) annuncia addirittura due nomi: Sebastian Huber e Hans Thomalla (dramaturgie).
Due nomi (ma diversi) anche per la Clemenza di Tito dello stesso Kusej: Marion Tiedtke e Regula Rapp (dramaturgie).
La Zaide (sempre di Guth) annuncia invece una certa Yvonne Gebauer (dramaturgie).
Anche il Mitridate (regia di Kraemer) esibisce alla voce dramaturgie: Jens Neundorf von Enzberg.
Credo possa bastare.
Sinceramente io non la considero una prassi così oltraggiosa.
Sai come la vedo:
un regista deve far marciare il palcoscenico, non necessariamente deve scervellarsi in idee o "tesi" originali. Alle volte può persino mancare dell'orizzonte culturale adeguato...
In fondo non si richiede a registi lauree in storia, filosofia e psicologia!
Oddio... se è in grado lui di formulare le idee ben venga... anche se è in grado di disegnarsi il progetto luci.
Ma non ci vedo nulla di male che, in caso contrario, si interpellino professionisti specifici, ovviamente alle sue dipendenze.
io ipotizzavo che Melchior volesse cantare Idreno COME un heldentenor.
Ovvero facesse come certi registi o dramaturg che per essere fedeli alla loro idea preconcetta (Melchior ha deciso che Idreno è un heldentenor ante-litteram - quindi contenuti) snaturano un lavoro oppure ne approfondiscono solo alcuni aspetti che portano acqua al loro mulino.
A quel punto non è più un problema di tecnica.
Ok!
ho capito.
Be, Willy, devo ammettere che l'ipotesi e la sfida mentale che ci proponi è affascinante!
Tempo fa, Beckmesser se lo ricorderà, abbiamo discusso del fatto che le alterazioni del testo che - nel passato remoto - erano prassi, favorivano cantanti che oggi, stante l'integralità del testo, faticherebbero a imporsi.
Proprio Beckmesser aveva proposto l'esempio di Schipa in Donizetti, se ricordo bene.
Ai suoi anni era un mito, ma oggi forse non sopravviverebbe alla restaurazione della scrittura originale.
Mi pare che questo discorso si avvicini alla tua ipotesi su Melchior.
Tu dici:
Mettiamo che le prassi esecutive autorizzino a spianare tutte le agilità di Idreno, mettiamo che le convenzioni ci consentano di abbassare impunemente le tonalità, mettiamo che il linguaggio rossiniano venga ispessito ed eroicizzato fino a farlo assomigliare a quello wagneriano...
be' tutte questo ipotesi (che autorizzerebbero il debutto di Melchior nella Semiramide) non sono poi così assurde!
In fondo è già tutto successo, in altre epoche.
E' già successo che si spianassero le agilità, è già successo che si abbassassero le tonalità, è già successo che si wagnerizzasse il linguaggio.
Prendi il Macbeth di Verdi nella Germania primo-novecentesca!
La parte di Lady veniva letteralmente riscritta pur di poterla affidare a contraltoni wagnieriani, ritenuti evidentemente più consoni al cattivissimo personaggio rispetto ai soprani acuti e virtuosi (per i quali, guarda caso, l'opera era stata scritta).
Quindi proprio il caso di Melchior da te proposto.
ORA....
Abbiamo detto che la tecnica si misura dall'efficienza con cui si rapporta a "oggettive" difficoltà di un testo.
Per verificare l'efficienza o meno occorre quindi vedere il testo da cui si parte.
Se la Hoengen si fosse dovuta rapportare al Macbeth di Verdi avrebbe fallito.
Ma in realtà è a un altro testo che si è rapportata: quello "elaborato" dai tedeschi degli anni '20.
Ed è quindi in rapporto a quel testo che va rapportata la sua tecnica. No?
Probabilmente sarebbero statate la Gencer e la Scotto ad essere "tecnicamente" in difficoltà col Macbeth para-wagneriano di quegli anni.
La Delunsch si può permettere oggi di pensare alla Medea di Cherubini (quella vera), mentre finirebbe a pezzi nella Medea elaborata da Lachner che tutte hanno cantato nel novecento.
La Borkh, al contrario, è stata una superba Medea di Lachner, ma sarebbe colata a picco nella versione originale.
Idem per Schipa e il Don Pasquale.
La sua efficienza si deve misurare sul testo che ai suoi anni si eseguiva.
E così pure l'efficienza tecnica di Melchior come Idreno andrà valutata sulla sua capacità di far fronte in maniera convincente alle specifiche difficoltà che dovrà affrontare nella Semiramide riscritta in senso wagneriano.
Insomma, il tuo esempio (che può applicarsi benissimo alla storia delle prassi esecutive) mi conferma sempre di più nella mia tesi.
E' sempre questione di tecnica.
Infatti se decidessimo di fare la Semiramide riscritta da Strauss in chiave apertamente declamatoria (metti che esista) sarebbe assurdo chiamare Roqwell Blake per Idreno, il quale avrà pure tutte le idee giuste per la parte, ma resterebbe schiacciato dalle specificità di questo preciso testo.
Al contrario Melchior probabilmente sarebbe ...tecnicamente indicato.
...Non trovi?
Tu stesso dici che Bergonzi aveva un tecnica sopraffina ma mancavano... i contenuti. E pur con tutta la buona volontà del mondo Bergonzi non riuscirà mai a convincerti che quello è il tenore verdiano. Vedi che non è un problema SOLO di tecnica. Ma di tecnica applicata ai contenuti.
Ottimo esempio!
Però non c'è solo la tecnica vocale (quella di cui disponeva Bergonzi nel più alto grado).
Esiste anche la tecnica musicale e la tecnica attorale.
Io rimprovero a Bergonzi soprattutto la sprovvedutezza in termini musicali e attorali.
Se ti ricordi, abbiamo parlato anche di Vickers.
Io gli ho rimproverato di essere fiacco nei contenuti e lo ribadisco.
I suoi personaggi sono tradizionali, romanticoni, retorici... Non mi aspetto mai da Vickers letture sconcertanti.
E tuttavia Vickers dominava benissimo (quale che fosse la banalità dei contenuti) la tecnica musicale-attorale.
Questo lo rende, a mio personalissimo gusto, uno dei migliori interpreti verdiani, anche se - gratta gratta - non andiamo mai oltre le più banali e tradizionali raffigurazioni dei personaggi.
Poi, Willy, tu sai benissimo che non sputo certo sulle idee rivoluzionarie (che so?) di un Langridge...
Ben vengano...
Ma Langridge può permettersele perché è quell'attore e quel musicista che sappiamo!
La tecnica (quella tecnica) ce l'ha.
Non era la tecnica di Schlingensief a disturbarmi. Era la complessità del suo allestimento (a conti fatti inultimente arzigogolato) a disturbare la mia percezione della musica. Cercando di decifrare tutte quella roba, finivo per distrarmi.
Ok, ok! Ho capito!
Inoltre, non avendo visto lo spettacolo, mi sono già arrampicato sugli specchi anche troppo a lungo!
Comunque, visto che Wagner quando cominciò a pensare al Ring frequentava soggetti tali che lo spinsero a dichiarare che:
era meno grave derubare una banca che fondarla ... bè non la vedo così peregrina.
...E quando lo concluse, il Ring, era diventato famiglio di sovrani!
Comunque hai ragione, la lettura di Chéreau non è peregrina, quanto, almeno mi pare, limitativa.
Shaw scriveva un libro e quindi poteva beccare solo le parti della Tetralogia utili alle sue tesi!
Ma Chéreau aveva tutta l'opera da far funzionare in questa chiave, e il gioco (come era prevedibile) dopo la Walkiria non gli è riuscito più.
Come spieghi, nell'ottica di Chéreau, la morte di Siegfried?
Perchè il suo ordine fallisce? Perché gli eroi restano vittime dei patti? Perché si rompe il filo delle Norne?
Che senso ha tutto il Crepuscolo?
Non lo dicevi anche tu che il Ring di Chéreau è talmente povero di continuità logica da sembrare (non ricordo le tue parole esatte) una splendida succesione di visioni?
Secondo me questo è dovuto proprio al fatto che la tesi preconfezionata non regge nel corso dell'opera... mi pare proprio un bell'esempio di "applicazione" di tesi aprioristiche e appiciccaticce che tu biasimavi..
Sarà... ma chi se ne importa?
Ci piace tanto lo stesso!
Come diceva Beckmesser, le immagini di quel Ring bucano, emozionano, hanno partita vinta sulle teorizazioni ed è questa la loro forza. No?
P.S. Tu sai perchè poi Boulez ha abbandonato quell'allestimento?
No!
dicci! dicci!
Salutoni,
Mat
POSTILLA: le contrapposizioni dialettiche - come questa divertentissima fra noi - presentano il rischio di portare gli interlocutori ad apparenti radicalizzazioni. Rileggendo quel che ho scritto, sembra quasi che a me non interessino i contenuti di un allestimento e che non li consideri!
Al contrario! E' un elemento eccitante e importante.
Solo che mentre considero la qualità tecnica una "conditio sine qua non", la profondità dei contenuti (per me) può esserci come può non esserci! Depongo le mie idee, annullo la mia opinione su un'opera, accetto le idee dell'artista quali che siano, purché lo spettacolo funzioni.