Giuseppe Di Stefano

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Re: Il pioniere e il martire del canto aperto

Messaggioda Tucidide » dom 23 mar 2008, 18:26

Maugham ha scritto:Ovvero il cantante che non si adatta ai personaggi, ma, vuoi per pigrizia o per incapacità o per scarsa cultura, adatta i personaggi a se stesso.
Da cui la sua cronica incapacità a differenziare un ruolo dall'altro.

Dipende da come il cantante in questione adatta il ruolo a sé stesso. Se nel farlo usa l'intelligenza e propone qualcosa di nuovo, di inusitato e di rivoluzionario, si può avere un'interpretazione sconvolgente.
Premesso che io NON amo l'Edgardo di Giuseppe Di Stefano, ma è indubbio che l'accento plebeo e un poco villano in certi spunti, unito alla dizione chiarissima ed all'espressività immediata dovette creare un autentico sfracello emotivo in molti melomani dell'epoca. Abituati all'espressività aulica di certi tenori d'anteguerra, dal canto nobile e non poco venato di retorica, dovettero restare a bocca aperta ascoltando un Edgardo così umano.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Il pioniere e il martire del canto aperto

Messaggioda MatMarazzi » dom 23 mar 2008, 19:05

Maugham ha scritto: Ovvero il cantante che non si adatta ai personaggi, ma, vuoi per pigrizia o per incapacità o per scarsa cultura, adatta i personaggi a se stesso.


:) Oh... per la prima volta mi trovo in pieno disaccordo con l'amico Willy! :)
Non tanto in riferimento a Di Stefano (concordo con il giudizio), quanto proprio su questa frase.
Secondo me, il cantante "deve" adattare i personaggi a sè stesso: è proprio in questo che consiste l'arte dell'interpretazione (non mi riferisco solo all'opera ovviamente).
Semmai, il rischio è di non riuscirci e di limitarsi a un repertorio di "effetti" che servono proprio a evitare la fatica di mettersi in gioco. Ma fare la faccia da "cattivo", non significa affatto adattare Scarpia a sè stesso, cercare quelle affinità dell'anima che rendono vivo un ruolo.

Per quanto riguarda la considerazione di Tucidide la trovo giustissima. E non solo relativamente al personaggio di Edgardo.
Certo... che se fosse stato possibile a Di Stefano impostare il repertorio su personaggi più adatti...
Visto che altrove si parla di D'Annunzio e Pizzetti, pensate a una Figlia di Jorio con lui! (e magari la Klose come Candia e la Vyvan come Mila... ah! Bello sognare... :)

E a un Profeta?
Pensateci... parlo del giovanissimo Di Stefano, quello che smorzava i do...?
Non pensate che sarebbe stato uno Jean de Leyde irresistibile?
Finalmente l'aspetto popolano e sensuale del taverniere-bamboccio, incoronato dalla marmaglia anabattista, e la religiosità da cavalleria "brancaleona" armata di bastoni, con la spirituralità tribunizia da Gros Jacques e l'ingenua convinzione di essere davvero "qualcuno", sarebbero emersi in tutta chiarezza (mentre, siamo sinceri, il povero Gedda è troppo sopraffino e ben educato per risultare credibile)...

E dire che di suo Di Stefano di curiosità ne aveva (è finito persino a cantare la Dama di Picche e l'Incoronazione di Poppea).
La sciagura peggiore che potesse toccargli (non solo a lui) fu la genericità incombente e aggressiva del cosidetto "grande repertorio". Pochi tenori se ne salvano, ancora oggi...

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Re: Il pioniere e il martire del canto aperto

Messaggioda Maugham » dom 23 mar 2008, 20:41

MatMarazzi ha scritto::) Oh... per la prima volta mi trovo in pieno disaccordo con l'amico Willy! :)
Non tanto in riferimento a Di Stefano (concordo con il giudizio), quanto proprio su questa frase.

Oppalà! :D
Penso invece che non siamo molto lontani. Ho forse sbagliato a usare il termine. E sono sostanzialmente d'accordo (in linea generale ovviamente) con quello che sostiene Tucidide. Quando ho detto "adattare" mi riferivo a qualcosa che è molto distante dal concetto di interpretazione che sia voi (a quanto leggo) che io portiamo avanti.
Non ho trovato il termine giusto. Con adattare intendevo l'azione di appiattimento a se stesso che a volte il cantante di cartello applica qualunque ruolo canti.
Lo stesso che ti ha portato, Mat, a condannare giustamente la Devia perchè sia che facesse un ruolo Ronzi o un ruolo Pasta... lei cantava così, punto e basta.
In questo "adattamento" metto assieme a Di Stefano altri artisti tipo Pavarotti e soci... e nella prosa, tanto per fare solo due nomi, Gassman e Orsini. Tutti nomi importanti e professionisti di alto livello, ma che vampirizzano i ruoli, a volte con esiti soddisfacenti ma ben lungi dal sorprendermi. Quelli che esci da un teatro e dici, si vabbè bello, però è sempre lui. :?
Secondo me la grandezza di Di Stefano va cercata da un'altra parte: ha portato nell'opera un linguaggio e una comunicativa che fino ad allora erano propri, se non della musica leggera, sicuramente di quella non storicizzata.
Trovando quindi il plauso anche di quel pubblico che invece vedeva nell'opera qualcosa di stantio o di troppo difficile da decodificare e di conseguenza se ne teneva alla lontana.
E' stato, questo sì, un grande sdoganatore.

Saluti
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Re: Il pioniere e il martire del canto aperto

Messaggioda Maugham » dom 23 mar 2008, 23:14

Tucidide ha scritto:Premesso che io NON amo l'Edgardo di Giuseppe Di Stefano, ma è indubbio che l'accento plebeo e un poco villano in certi spunti, unito alla dizione chiarissima ed all'espressività immediata dovette creare un autentico sfracello emotivo in molti melomani dell'epoca. Abituati all'espressività aulica di certi tenori d'anteguerra, dal canto nobile e non poco venato di retorica, dovettero restare a bocca aperta ascoltando un Edgardo così umano.


Senza dubbio fu una novità. Ma il problema con Di Stefano è che il suo Edgardo era solo accento plebeo e un poco villano. Con una spruzzata di canzonettistico che molti hanno gabellato per comunicativa. E andando avanti con la carriera (discografica) si è appiattito lì. In disco tende perfino a uniformare due personaggi agli antipodi come Canio e Turiddu. :roll:
Non vorrei essere frainteso; non ne faccio un discorso di acuti aperti e mezzevoci afone (che comunque c'erano e su cui sono state scritte pagine su pagine). Parlo di approccio al ruolo/i.
Comunque, in contrasto a quanto dico, fonti attendibili mi hanno detto che dal vivo riusciva a tirare giù le sale e convinceva anche i più riottosi ad apprezzarlo.
Forse il nostro giudizio (per ragioni anagrafiche costruito sui dischi) sarà forzatamente parziale. :cry:
Saluti
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Re: Il pioniere e il martire del canto aperto

Messaggioda Tucidide » lun 24 mar 2008, 0:13

Maugham ha scritto:Con una spruzzata di canzonettistico che molti hanno gabellato per comunicativa.

Non sono molto d'accordo con l'idea di "gabellare per comunicativa".
Posso dire che per te o per me (che su questo sono assolutamente d'accordo con te) il suo approccio al personaggio, che era in effetti in più punti "canzonettistico", non si confaccia al personaggio, oppure non sia adatto all'opera in generale. Ma dobbiamo pur sempre tenere presente, come giustamente sottilinei, che i pubblici del mondo intero, in special modo italiani ed europei, erano nel balordone più completo (per dirla con Fantozzi :lol: ) quando cantava Di Stefano, e quindi non direi che la comunicativa "canzonettistica" sia un bluff. Come tutte le soluzioni 'alternative', divide il gusto del pubblico.
Un fraseggio aulico alla Lauri Volpi mette d'accordo tutti: corrisponde precisamente all'idea 'classica' del canto lirico in generale e tenorile in particolare. Un fraseggio confidenziale di Di Stefano, con mezzevoci falsettanti e acuti aperti, con talune inflessioni ai limiti del crossover ante litteram, è più controverso per forza di cose.
Tu, altri ed io non amiamo quello stile, per questioni di sensibilità, ma in altri faceva breccia (e la fa tuttora). Quindi dobbiamo prendere atto che quello stile fa parte del lessico espressivo di un cantante lirico, e non è semplicemente gabellato per tale.

Salutoni
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Re: Il pioniere e il martire del canto aperto

Messaggioda Maugham » mar 25 mar 2008, 17:09

Non sono molto d'accordo con l'idea di "gabellare per comunicativa".


E invece secondo me quella di Di Stefano in disco non era comunicativa.
Sarò irrispettoso nei confronti di un tenore di grande fama ma in Di Stefano (e nei suoi imitatori) ho visto spesso soltanto semplificazione nel senso di banalizzazione e scorciatoia.
Adattare un personaggio per il Di Stefano superstar discografica significava togliere via dal personaggio tutto quello che non voleva o non riusciva a fare.
Quindi non amo Di Stefano non solo perchè faceva Arturo o Edgardo in quella maniera (figurati, ho sentito e sento roba molto più noiosa da cantanti considerati ideali per quei ruoli), ma perchè cantava tutto in quella maniera.
Aggirando quindi qualunque ostacolo di natura interpretativa.
E soprattutto perchè era prevedibile. E non c'è niente che mi infastidisca di più in un cantante, in un regista, in un film o in un libro della prevedibilità.
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Messaggioda Luca » mar 25 mar 2008, 18:38

Concordo con Maugham: Di Stefano non mi ha mai detto nulla di speciale. Poteva colpire per certa luminosità, ma poi essa si offuscava a mano a mano che il sole si innalzava (= che la voce saliva!) e questo alla fine mi stufa "tanto e parecchio", come mi stufa anche la sua concitazione generica, come mi stufa anche la sua predilezione per quella che Maugham chiama giustamente la scorciatoia. Che poi ci sia stato (e ci sia) chi lo ama posso anche accoglierlo, ma non mi metto fra questi.

Saluti pasquali, Luca.
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Messaggioda MatMarazzi » dom 01 giu 2008, 14:42

DA ALTRO THREAD


liebelei ha scritto:Su Di Stefano,da ex cantante senza pretese,una piccola idea me la sono fatta.Io parto da un materiale vocale privilegiato (e ce ne sono stati altri,ricorderai anche tu il primo Carreras,tanto per fare un nome) e ovviamente "fresco",cantando i ruoli giusti per la mia struttura.


Caro Liebelei,
qualcuno mi accusa di citare sempre Celletti, ma in effetti non sono io che lo cito! :)
Quella che ci racconti è la storia che Celletti ha sempre raccontato su Di Stefano.
Poiché per lui la tecnica "aperta" di Di Stefano era emblema di tutti i mali dell'universo, Celletti si trovò a dover giustificare i veri e propri miracoli (tecnici!) che Di Stefano realizzava da giovane prima di spaccarsi la voce (il ché è avvenuto effettivamente presto).
"Ma se non sapeva cantare, com'è che da giovane - a voce integra - faceva cose letteralmente spettacolari"?
"Perché un dilettante che passa per la strada (come secondo Celletti era Di Stefano) non sarebbe capace di smorzare un do sopracuto"?
Il problema esisteva, certo!
E allora Celletti (dopo non aver convinto nessuno con la scappatoia della "voce baciata da Dio, peccato che..."; come se bastasse la voce baciata da Dio per smorazare i sopracuti), si inventò la favoletta che ...il giovane Di Stefano cantava correttamente!
Tutto coperto!!
Tutto in maschera!!!!!
Peccato che successivamente abbia smarrito la retta via, preda del successo, del gioco, delle donne e altre facezie da corrierino dei piccoli!
E ne è venuta fuori la solita impostura, la solita menzogna, durissima a morire.

Tu naturalmente affermi:

Canto "aperto" perche' non posso fare altro,non per scelta filologica:nel 46 aperto non cantavo.


Che dire, Libelei.
Mi piacerebbe invitare tutti a riascoltare i dischi del giovane Di Stefano.
E sfido a chiunque a dire che Di Stefano da giovane cantasse "coperto".
Canta esattamente come dieci anni dopo, solo con un materiale vocale integro.

Ma anche se i dischi non ci fossero, basterebbe la logica.
Di Stefano non ha MAI studiato canto.
NOn ha mai preso la benché minima lezione!
E' partito direttamente con la carriera in Svizzera.

Ora, poiché ci hai raccontato di aver studiato il canto per qualche anno, sai benissimo che la tecnica tradizionale non si improvvisa. Non la si impara a vent'anni per "istinto"; noi non immascheriamo "naturalmente".
Ci vogliono anni di studio. E non è detto che ci si arrivi.
Ma anche ammettendo l'ipotesi assurda che Di Stefano, per grazia divina, avesse avuto l'intuizione a priori del canto "coperto" già a vent'anni, senza aver mai preso una lezione di canto, che senso ha affermare che nel volgere di un lustro l'ha completamente dimenticato, assistendo impotente al proprio tracollo (di cui Di Stefano si avvide perfettamente, come tutti), quando (secondo Celletti) sarebbe bastato tornare a una tecnica che (sempre secondo Celletti) egli dominava perfettamente solo tre o quattro anni prima.

Anche solo logicamente l'impostura Cellettiana non regge.
Ma soprattutto non regge, come dicevamo, all'ascolto dei dischi.
Il giovane Di Stefano (che smorzava il do sopracuto, che legava, che esprimeva) CANTAVA GIA' APERTO.
I sui tipici ed estremistici colori ci sono tutti, le vocali sono nettissime, il suono esce COMPLETAMENTE dalla maschera per rivelare le sue più intense e maliose suggestioni.

Alla rivoluzione del canto "aperto" di Stefano non c'è arrivato per programma o per filosofia (come Fischer Dieskau o la Moedl), nè per scuola (la De los Angeles), ma per dilettantismo.
Novello Walther von Stolzing, è stata la sua imperizia di genio a farlo diventare uno dei pionieri del canto nuovo.
Non sapeva cantare in modo tradizionale, quindi ha tentato un altro tipo di suono, quello che (da solo) era riuscito a inventarsi...
E il pubblico quel suono lo ha accettato. Lo ha accolto nel proprio vocabolario.
Anzi gli ha tributato un planetario entusiasmo.
Perché era un suono strepitosamente moderno e realizzato con tecnica straordinaria, sia pure diversa dai canoni ufficiali, sia pure empirica, sia pure potenzialmente suicida.
Di Stefano, senza volerlo e senza nemmeno immaginare le conseguenze del suo strappo (o i rischi), è stato uno dei più rivoluzionari e importanti cantanti del '900.
La sua tecnica non è una cosa "tutta sbagliata" su cui alzare le spalle (peccato...aveva una così bella voce! E poi da giovane cantava come Pertile...). La sua tecnica è stata l'apertura di una porta - da sempre saldamente chiusa - verso un nuovo emisfero di suoni.
Si spaccò la voce, è vero, come gongolava ripetutamente Celletti,
Ma:
1) non si giudica l'efficienza tecnica di un cantante dalla durata della sua carriera: vi sono piattole che continuano a cantare per cinquant'anni e vi sono geni che si bruciano in un meno di un lustro.
2) proprio in quanto pioniere, in quanto persona di limitata scolarizzazione, Di Stefano non poteva valutare i rischi di una tecnica come la sua; né ipotizzare delle strategie per ridurli o aggirarli. Per questo non ci vogliono i pionieri, ma le successive generazioni, che traggono ispirazione proprio dal sacrificio di chi li ha preceduti.
Dopo Di Stefano vi sono stati cantanti totalmente "aperti" (questi sì davvero sciocchi e imperdonabili) che hanno ripetuto tali e quali gli stessi errori, ma altri che hanno retto per decadi, senza compromettere la voce.
Anzitutto perché hanno compreso che questa tecnica poteva essere più ragionevolmente impiegata in altro repertorio.

Sulla Callas hai anche ragione,e diciamo che il suo mito,assieme al suo ruolo indiscusso di caposcuola,l'ha salvata dal diluvio di critiche che si e' abbattuto su Pippo nostro.


Accidenti! :D
Diluvio di critiche?
La Callas si sarebbe "salvata" da un diluvio di critiche?
E dire che io avevo citato lei solo PER ASSURDO.
Ossia per dimostrare che non ha senso accusare di inefficienza una tecnica, solo perché non garantisce una lunga sopravvivenza.
Infatti per me la Callas ha avuto la tecnica più sconfinata, completa che si sia mai sentita, solidissima nella tradizione eppure coraggiosissima nella sperimentazione.
Di fronte alla sua tecnica il mondo si è inginocchiato; e si inginocchia ancora.
Altro che diluvio di critiche...

E comunque sono convinto che con qualche Leonora,qualche Gioconda e qualche Maddalena di meno sarebbe durata molto di piu'.


Quindi è solo questione di repertorio?
Be' Maddalena l'ha cantata una volta sola. Gioconda l'ha abbandonata ai primissimi anni di carriera.
E anche Leonora (per una forgiata a Turandot e Isolde) non mi pare così massacrante, specie considerando che dopo il 53 l'ha cantata solo una volta a Chicago.

Comunque, in generale, è vero che un repertorio stressante, ...stressa la voce.
Lo dice la parola stessa! ;)
Eppure credo che il discorso sull'auto-distruzione vocale della Callas sia più complesso.
La fine della Callas, per come la vedo io, non è tanto dissimile dalla fine di Di Stefano.
Deriva soprattutto, secondo me, da uno sperimentalismo tecnico "sul colore" portato alle più estreme e inesplorate conseguenze.
La differenza era nel fatto che ciò che in Di Stefano era intuito e navigazione "a vista", nella Callas era ricerca razionale e consapevole, tanto più che - a differenza del tenore - lei partiva da solidissime basi tradizionali.
Quella del colore (insieme a quella del ritmo) è stata la vera rivoluzione della Callas, secondo me; ciò per cui la Storia l'ha incoronata; il mezzo che le ha permesso di rendere vivo e palpitanto un repertorio che sembrava morto.
E purtroppo è proprio su questo fronte che le sue cosiddette "eredi" l'hanno più tradita.

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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda liebelei » dom 01 giu 2008, 19:14

Non so se la Simionato (che peraltro ho dovuto abbandonare presto per volgari questioni economiche)fosse una cellettiana :wink: ,ma ti assicuro che dentro quella stanza non era possibile emettere un solo suono "Aperto" pena l'ignominia.In linea di principio hai ragione quando parli degli inizi: uno non nasce col suono immascherato.Ma dopo,io non voglio celletteggiare,cerco di spiegare quello che capitava a me.Facevamo l'esempio l'altro giorno dell'aria del Conte nel Trovatore,cosa che in genere e' un passaggio obbligato (come quella di Germont o quella di Carlo V) per i giovani baritoni.Io la cantavo in macchina,o facendomi la barba,da dilettante orecchiante quale ero,e a 19-20 anni riuscivo a cavarmela piuttosto bene,allo stato brado.Ma la differenza dopo la vedevo direttamente,visto che la nostra Giulietta implacabilmente registrava tutto,quando ho dovuto studiare questo pezzo sul serio.E ti assicuro che curando la tecnica di emissione e usando correttamente il passaggio di registro di cellettiana memoria,i risultati cambiavano dal giorno alla notte.Lo vedevo sulla mia pelle,e vedevo cosa succedeva a voci molto piu' dotate in natura della mia quando non rispettavano certi postulati.E se riascolti il "Pourquoi me reveiller" o l'aria dei Pescatori di Perle del giovane Di Stefano,vedrai che da autentico fenomeno -che tale era- allora riusciva a fare sempre la cosa giusta,in termini di emissione.Quanto e' accaduto dopo,io posso spiegarmelo solo nel modo che ho cercato di dire prima.L'ho sentito tre volte dal vivo negli anni sessanta,ero un ragazzetto ma i termini di paragone ce li avevo: non c'erano piu' le note centrali,non c'erano gli acuti,doveva prendere fiato cento volte in ogni aria e in ogni duetto,e i risultati,credimi sulla parola,era difficile descriverli,la realta' superava l'immaginazione.
Quanto alla Callas e' chiaro che siamo su un altro pianeta.Ma vedi Matteo,le incisioni degli ultimi sette-otto anni sono li'.Nessuno le criticava,neanche il callasiano Celletti,neanche quando la voce ondeggiava spaventosamente e quando certe risoluzioni ad alta quota facevano venire l'otite :twisted: ( prova a risentire la Tosca di Pretre con Bergonzi,o anche la seconda Norma di Serafin,quella con Corelli).OK il fraseggio era sempre geniale,le soluzioni non erano mai banali,come diceva Pruun prima,pero' insomma ci siamo capiti.
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda Maugham » dom 01 giu 2008, 23:46

liebelei ha scritto: E se riascolti il "Pourquoi me reveiller" o l'aria dei Pescatori di Perle del giovane Di Stefano,vedrai che da autentico fenomeno -che tale era- allora riusciva a fare sempre la cosa giusta,in termini di emissione.Quanto e' accaduto dopo,io posso spiegarmelo solo nel modo che ho cercato di dire prima.


Ho ripescato l'aria cui fai riferimento.
Penso che sia quella col pianoforte, pubblicata su Cd dalla Preiser.
La fonazione di Di Stefano e di conseguenza la sua emissione è già aperta. Apertissima. Senti Gigli e c'è un abisso.
Ovviamente parlo di tecnica.
Certo, sfuma, assottiglia, fila come una mozzarella, ma non copre mai. Se ne frega giustamente (con tutto quello che riesce a fare) del passaggio di registro.
E' come una macchina che riesce a superare i cento in seconda senza andare su di giri.
Senti l'attacco e la prima smorzatura a "ascoso in mezzo ai fior" e ti rendi conto però che la voce è tutta in gola.
Il miracolo è che, con quella tecnica, riesca a fare praticamente tutto l'ABC del Nadir "di scuola storica". :shock:
E che renda inoltre tutto il fascino malinconico, sognante, adolescenziale di un giovane che insegue una visione femminile su una spiaggia tropicale inondata di luna.
Qui è davvero efficace.
Però mi fermo a questo e ad altri (pochi) brani.
Dopo (parlo delle registrazioni Emi) rimane a mio parere solo un tenore di una sconvolgente povertà di idee. Monodimensionale. La rivoluzione di cui giustamente parla Matteo è diventata una scorciatoia interpretativa. :cry:
Poi, come ho già scritto, dal vivo dicono fosse sconvolgente.

Quanto alla Callas e' chiaro che siamo su un altro pianeta.Ma vedi Matteo,le incisioni degli ultimi sette-otto anni sono li'.Nessuno le criticava,neanche il callasiano Celletti


Celletti veramente picchia duro sull'ultima Callas.
"Dolente sovrana che guarda il suo regno miseramente in declino."
Tra le tante, la definisce, sotto il profilo del dominio del canto di agilità, "una scolaretta" rispetto alla Sutherland.

Saluti
WSM

OT personale: ma è il mio browser che mostra i tuoi messaggi formattati male (ovvero senza gli spazi dopo i punti) oppure è una tua scelta? Faccio fatica a leggerti... :cry:
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda liebelei » lun 02 giu 2008, 2:25

A proposito della scrittura dei miei messaggi forse hai ragione tu. Non uso spesso i forum.
Le esecuzioni di Di Stefano sono quelle che indichi. Ma non mi sembra che canti apertissimo. Canta in un modo che non ho mai sentito,per dirla tutta. E' un enfant prodige. Bellissima la similitudine dei cento all'ora in seconda.
Dal vivo,ti ripeto,l'ho ascoltato tre volte. Traviata,Werther e Lucia. A parte la voce,che era quello che era,sulla scena si muoveva bene,ma non meglio di Gobbi,Domingo e della Gencer, tanto per nominare i migliori cantanti-attori che ho visto. La cosa piu' sconcertante,comunque , era l'accettazione passiva e totale dei suoi fans. Almeno in quel tempo : purtroppo stiamo parlando di piu' di 40 anni fa.
A proposito della Callas , credo tu ti riferisca alla recensione della Norma di Celletti, che in origine stava su Discoteca e come titolo aveva "In mia mano alfin voi siete" e prendeva in considerazione l'interpretazione della Callas,della Sutherland e della Caballe'. La scolaretta era riferita all' Ah bello a me ritorna,e al confronto con quanto ha lasciato in disco l'australiana. Era in buona compagnia, visto che la Caballe' era "una buona apprendista". Vedi Somerset,io ho vissuto solo la coda della guerra Callas-Tebaldi, nel senso che erano ancora operanti i mentori di ambedue,quando ero giovane io. Ora una cosa era vera : che alla Tebaldi si facevano volentieri le pulci su ogni nota emessa , a quell'altra no. Non che i tebaldiani fossero il massimo dell'obiettivita', ma quando dicevano che in un certo repertorio (il tardo Verdi e quasi tutto Puccini e il
verismo) il loro idolo avrebbe potuto dare ripetizioni gratis a qualunque soprano sulla faccia della terra, non mi sembravano troppo lontani dalla realta'. Coi callasiani la discussione era invece impossibile . La Maria era la migliore in tutto ,cantasse la Turandot o la Vedova Allegra. E questo,ovviamente,non era vero . Tra parentesi sull'isola deserta io mi porterei la sua Norma (la prima eh ! quella con Filippeschi :D ) e non quella della Sutherland, perche' ste cose sono anche un fatto di emozioni. Ma per esempio altre cose ( tutto Puccini,la Carmen e le opere veriste) manco per niente. E neppure il suo Macbeth, giacche' ci siamo.
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » lun 02 giu 2008, 13:36

Cari Liebelei e Maugham,
provo a rispondere contemporaneamente alle vostre belle considerazioni.

liebelei ha scritto:Non so se la Simionato (che peraltro ho dovuto abbandonare presto per volgari questioni economiche)fosse una cellettiana :wink: ,ma ti assicuro che dentro quella stanza non era possibile emettere un solo suono "Aperto" pena l'ignominia.


:) Apprezzo la battuta, però in certo qual modo è vero.
La Simionato era "cellettiana", non perché si ispirasse alle tesi del grande critico, ma perché l'universo estetico-fonico da cui proveniva (era nata nel 1910 e si forgiava sulla tradizione "antica") era lo stesso che Celletti spacciava come unico possibile.
E' sempre bello ricordarla (ci dovrai parlare di più di quelle lezioni) perché era una grande cantante, un valorosa artista e una straordinaria professionista: io ho tutta la stima per lei.
E non di meno non posso considerarla una vestale dell'unica tecnica, come - mi pare - tu tenderesti a presentarla, semplicemente perché non esiste - per me - l'unica tecnica.
Il suo esempio però è adattissimo al discorso che stiamo facendo, in quanto - benché stimata dal mondo intero e celebrata ancora oggi, giustamente - la Simionato non fu, nemmeno ai suoi anni, un emblema della modernità.

Che c'entra la modernità, dirai tu?
Nulla, se crediamo nella "tecnica unica" che attraversa la Storia come un monolite imperturbabile.
Tutto, se crediamo - come credo io - che il suono (anche quello operistico) debba relazionarsi ...darwinianamente con le epoche e con le società e che, pertanto, debba ricrearsi ed evolvere nel tempo.

Anche negli anni '50 la Simionato incarnava la voce d'altri tempi: era l'icona melodrammatica antica, "emersa" dagli anni 30 e approdata dopo la guerra come una sorta di nuova Stignani, con la fierezza e la classe di una appartenenza antica, dai suoni marmorei e sontuosi, dal piglio aulico e sobrio, con sulle spalle il peso di una civiltà canora gloriosa.
Era grandissima e applauditissima, giustamente.
Ma non credo che nei suoi calibratissimi suoni si potessero riflettere le istanze più inquietanti ed avanzate di quell'eccitatissimo dopo-guerra.
In quell'epoca di contraddizioni e impulsi, sedati nell'anelito alla pace riconquistata e persino nel perbenismo di valori forti, c'era posto "anche" per lei, per quel suo troneggiare antico.
Ma non solo...

A fianco dei suoni classici di una Simionato, si imposero negli anni 50 altri modelli, del tutto nuovi, che più efficacemente rappresentavano - allora - la modernità.
L'esplorazione del suono aperto (che per la primissima volta faceva capolino nel teatro d'opera) era solo una delle rivoluzioni di quegli anni; Di Stefano non ne fu l'unico campione; i risultati più grandiosi in questo senso furono raccolti nel Wagner della Neue Bayreuth; piaccia o non piaccia, il Wagner dell'era Wieland era la "modernità", era l'Oggi (degli anni '50), assai più della Simionato.
Il Mozart viennese degli stessi anni era un altro esempio di rivoluzione canora epocale. Basta con le rotondità, le solennità, le volute "mascherate"; in quegli anni Mozart (e di conseguenza Strauss) passò ai luminosi sussurri di cristalleria diafana, dilavata, quasi smaterializzata delle dive di Vienna, ai cui suoni fragili e perlacei il mondo si inchinò.
Piaccia o non piaccia, rispetto alla Simionato, una Schwarzkopf, una Della Casa, una Seefried rappresentavano "la modernità".
Un altro esempio era il canto "inglese" che cominciava a farsi largo dal concertismo barocco fino all'universo britteniano: piaccia o non piaccia, rispetto alla Simionato, una Ferrier, un Pears, una Vyvian rappresentavano la modernità.

Non si tratta di stabilire quale canto sia quello "giusto". Anche perché non c'è - per me - un canto "giusto".
Si tratta di riconoscere storicamente questi diversi contributi, che le scuole e le epoche hanno messo in campo di volta in volta e che il pubblico (unico vero giudice) ha selezionato.
Si tratta di distinguere cosa si è guadagnato in ogni nuovo percorso e anche cosa è andato perso.
Si tratta di verificare quale repertorio si è avvantaggiato nelle svolte e quale ne è uscito malconcio.
In Mozart, come abbiamo detto, le sonorità scolpite all'italiana non piacquero più.
Fu anche la fine del Wagner all'italiana.
Persino in Rossini la Simionato e le cantanti come lei finirono per apparire museali, non appena spuntò lo sgargiante e americanissimo colorismo della Horne, con i suoi aspri contrasti di registro e con le sue carnose aperture di petto.
Solo in Verdi il modello "aulico" della Simionato restò vincente ai suoi anni; e infatti fu solo in Verdi che i teatri del mondo le vennero aperti.

Se tu, come studente, hai trovato che il modello Simionato fosse giusto per TE, per consentirti di ottenere quello che cercavi, hai fatto bene a coltivarlo.
L'artista non può dominare tutte le tecniche; la Callas ne dominava tre o quattro, ma era la Callas.
Il cantante deve trovare la propria emissione scegliendo la "scuola" che a lui è più confacente.
Poi, naturalmente, quando avrà trovato la "sua" tecnica, verrà a dirci che è l'unica possibile.
Che ogni altro modo di cantare è sbagliato.
Questo lo fa ogni cantante; o ogni maestro di canto.
Ho imparato a farci il callo! :)
Ormai mi incavolo solo quando a dirlo sono i critici o i melomani!

Liebelei ha scritto:E se riascolti il "Pourquoi me reveiller" o l'aria dei Pescatori di Perle del giovane Di Stefano,vedrai che da autentico fenomeno -che tale era- allora riusciva a fare sempre la cosa giusta,in termini di emissione.


Ebbene no! NOn per me.
Quando parliamo di queste cose, non ci sono più i gusti o i punti di vista. Ci sono i dati di fatto.
Di Stefano non fa "la cosa giusta" come la intendi tu! :)
Come dice anche Maugham, il suo canto è inequivocabilmente aperto anche in quest'aria.
E la Simionato, se uno cantasse così alle sue lezioni, si infurierebbe.
Eppure produce suoni prodigiosi, che - tuttavia - sono suoni "altri" rispetto ad ogni tradizione precedente.

E da qui mi collego all'amico Maugham.

Maugham ha scritto:Dopo (parlo delle registrazioni Emi) rimane a mio parere solo un tenore di una sconvolgente povertà di idee. Monodimensionale. La rivoluzione di cui giustamente parla Matteo è diventata una scorciatoia interpretativa.


Questa tua (giusta, per carità) insistenza sulla povertà interpretativa e musicale di Di Stefano ti rivela incontrovertibilmente per uomo del 2000.
Uno, cioè, che come tutti noi è stato letteralmente subissato da cinquant'anni di suoni "aperti" nell'opera.
Aprono i wagneriani, aprono i mozartiani, aprono i barocchisti, aprono i liederisti, aprono persino i rossiniani (quelli d'America) e spessissimo aprono anche i verdiani.
Di Di Stefano, poi, vi sono stati innumerevoli imitatori.
Per noi il suono aperto è divenuto moneta corrente, linguaggio condiviso, effetto quotidiano.
Siamo abituati a sentire suoni aperti di tutti i tipi: le dolcissime stimbrature di una Von Otter o i carnosi affondi di Vickers, le discese vertiginose di Merritt o i gravi sensuali di una Antonacci, le vellutate asprezze di una Meier o i populismi a buon mercato di Carreras.

Così, senza considerare la sua primogenitura, le aperture di Di Stefano ci appaiono scontate e persino maldestre (oggi si "sa" aprire molto meglio di quanto facesse lui).
Ma (ha ragione l'amico Tucidide) negli anni di Di Stefano già il suono, anche lui da solo, si faceva sostanza interpretativa: una sostanza corrosa, disturbante, rivoluzionaria e peccaminosa.
Se fossimo in grado di calarci fra il pubblico degli anni '50, con i suoi ideali probi e puliti, il suo non sempre trasparente puritanesimo, il bisogno sincero di valori semplici e forti per esorcizzare gli orrori bellici, potremmo forse capire che quei suoni per la prima volta "aperti", per la prima volta "nudi" erano già di per sé "interpretazioni" e producevano frustate elettrizzanti (per gli uomini) e inconfessabili (per le donne) ben più di mille accorgimenti di fraseggio e di accento da grande musicista e grande interprete.
Io credo che molte signore all'epoca ascoltassero Di Stefano quasi con imbarazzo, arrossendo nel buio del palco, sotto lo sguardo severo del marito! :)
E' come se il tenore si denudasse in scena dei suoi paludamenti arcaici, dei suoi manti antichi e principeschi, e mostrasse con imbarazzante impudicizia la carne della sua voce.
Proprio l'effetto che, da un trentennio, stavano facendo (ma fuori dell'opera) quegli sconci cantanti "pop" americani.
Proprio l'effetto che, in quel mitico 1952, produsse a Bayreuth l'Isolde della Moedl, che scioccò i solenni wagneriani con le sue roche, calde, tragicamente sensuali "nudità" vocali.
Possiamo davvero capirlo noi oggi?

Anche con Caruso abbiamo questo problema: perso oramai l'impatto e persino il significato della sua rivoluzione "sonora", ci perdiamo a interrogarci su quel fraseggio che a noi pare in fondo piuttosto meccanico e prevedibile. E ci chiediamo, sbagliando, dove sta tutto il suo genio.
Così almeno la vedo io.

Liebelei ha scritto:Quanto alla Callas e' chiaro che siamo su un altro pianeta.Ma vedi Matteo,le incisioni degli ultimi sette-otto anni sono li'.Nessuno le criticava,neanche il callasiano Celletti,neanche quando la voce ondeggiava spaventosamente e quando certe risoluzioni ad alta quota facevano venire l'otite :twisted: ( prova a risentire la Tosca di Pretre con Bergonzi,o anche la seconda Norma di Serafin,quella con Corelli).OK il fraseggio era sempre geniale,le soluzioni non erano mai banali,come diceva Pruun prima,pero' insomma ci siamo capiti.


Dal mio punto di vista la Callas "vera" è prorpio quella tra il 54 e il 59.
Quella precedente la considero solo uno spettacolare "prologo" al miracolo che verrà.
Gusti...

Maugham ha scritto:Celletti veramente picchia duro sull'ultima Callas.
"Dolente sovrana che guarda il suo regno miseramente in declino."
Tra le tante, la definisce, sotto il profilo del dominio del canto di agilità, "una scolaretta" rispetto alla Sutherland.


Scusa Maugham, ma si parlava di giudizio tecnico.
Non c'entra quindi la legittima constatazione, da parte di Celletti, del crollo vocale: constatare che una voce si è logorata, non significa metterne in discussione la tecnica.
E Celletti non ha mai messo in discussione le capacità tecniche della Callas. Anzi le ha sempre celebrate, proprio perché vi intuiva le solidissime basi "antiche".
Quando alla famosa boutade della "scolaretta", penso che vada presa per quello che è: in quegli anni Celletti aveva da dimostrare a tutti i costi la grandezza della Sutherland, non poi così indiscussa da noi.
Chiamare la Callas "scolaretta" (in quel contesto) significava dire: "pensate che genio inarrivabile è la Sutherland o la Caballè, visto che PERSINO LA CALLAS su questo fronte sembra una scolaretta al loro confronto".

Liebelei ha scritto:Ora una cosa era vera : che alla Tebaldi si facevano volentieri le pulci su ogni nota emessa , a quell'altra no. Non che i tebaldiani fossero il massimo dell'obiettivita', ma quando dicevano che in un certo repertorio (il tardo Verdi e quasi tutto Puccini e il verismo) il loro idolo avrebbe potuto dare ripetizioni gratis a qualunque soprano sulla faccia della terra, non mi sembravano troppo lontani dalla realta'. Coi callasiani la discussione era invece impossibile .


Sul fatto che i Callassiani si siano resi ridicoli per decenni non posso che darti ragione.
Eppure un poco li capisco: gente che a Milano ha vissuto la sua stagione più creativa è in qualche modo autorizzata a perdere la testa.
E poi credo che sul mito dei "vedovi Callas" si sia un po' troppo insistito: mi fanno ridere le divette di oggi che dichiarano di non poter fare Norma alla Scala perché i Callassiani le affosserebbero!
Sicuramente oggi i callassiani rimasti in vita sono ben pochi: nel 65 e nel 75 erano assai di più; ciò non ha impedito alla Gencer prima e alla Caballé poi di raccogliere in questo ruolo grandissimi successi proprio alla Scala.
Quanto al giudizio sulla Tebaldi, temo che la vediamo diversamente.
Io non credo che avesse poi tanto da insegnare nè nel tardo Verdi, nè in Puccini, nè nel Verismo.
Li ha fatti bene ma in modo che io considero banalizzante e semplificante.
I contributi discografici della Callas matura per me restano ben altrimenti probanti.
Ma magari ne riparleremo in altro thread! :)

Salutoni,
Matteo
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda Maugham » lun 02 giu 2008, 23:06

MatMarazzi ha scritto:Questa tua (giusta, per carità) insistenza sulla povertà interpretativa e musicale di Di Stefano ti rivela incontrovertibilmente per uomo del 2000.
Uno, cioè, che come tutti noi è stato letteralmente subissato da cinquant'anni di suoni "aperti" nell'opera.


Hai ragione, sono uomo del duemila.
Ma sono anche un soggetto che ha visto la prima opera nel 1968. :cry:
E che ne ha sentite, lette, discusse di tante.
Penso quindi di poter contestualizzare Di Stefano abbastanza agevolmente.
Di Stefano fu un tenore baciato da immensa popolarità.
Non ne discuto quindi l'importanza come fenomeno di costume.
Non ne discuto nemmeno la simpatia, la comunicativa, l'umorismo, il buon cuore che molti colleghi gli hanno riconosciuto.
Nemmeno discuto il fatto che possa essere stato un apripista.
E' stato il tenore dell'Italia del boom.
Che però del boom economico ha rappresentato anche i lati più deteriori. La faciloneria, la scorciatoia, il rifiuto del complesso, il sanremismo, l'appiattimento a un denominatore comune costituito, nella maggioranza dei casi, del ritratto del bravo figliolo mediterraneo tutto buoni sentimenti e spavalderia. A cui il pubblico mamma perdona ogni cosa.
Tengo a precisare che a me del fatto che Di Stefano aprisse, si sgolasse, fosse fibroso, non rispettasse i segni d'espressione e altre piacevolezze cellettiane non interessa nulla.
O meglio, non mi interessa nell'ambito di questa discussione.
Vorrei solo sottolineare come trovi il termine "rivoluzionario" eccessivo.
Perchè le rivoluzioni nell'opera si fanno anche con i contenuti (vedi Chaliapin e Caruso).
Non solo con un emissione mai sentita prima.

Per noi il suono aperto è divenuto moneta corrente, linguaggio condiviso, effetto quotidiano.


Be', fino a un certo punto. Devo dire che in un certo repertorio, se questo tipo di suono non è sorretto da idee interpretative davvero forti (vedi Dessay o Kaufmann), continuo a trovarlo piuttosto sgradevole.

Dal mio punto di vista la Callas "vera" è prorpio quella tra il 54 e il 59.


Anche dal mio. E più passa il tempo più ne sono convinto. Vado anche oltre. Trovo la sua seconda Norma di intere spanne superiore alla prima. E certe cose che sento nei recital di finecorsa sono, per me, straordinarie.

Maugham ha scritto:Celletti veramente picchia duro sull'ultima Callas.
"Dolente sovrana che guarda il suo regno miseramente in declino."
Tra le tante, la definisce, sotto il profilo del dominio del canto di agilità, "una scolaretta" rispetto alla Sutherland.


Scusa Maugham, ma si parlava di giudizio tecnico.
Non c'entra quindi la legittima constatazione, da parte di Celletti, del crollo vocale: constatare che una voce si è logorata, non significa metterne in discussione la tecnica.


Io rispondevo a liebelei il quale diceva che " le incisioni degli ultimi sette-otto anni sono li'. Nessuno le criticava,neanche il callasiano Celletti, neanche quando la voce ondeggiava spaventosamente e quando certe risoluzioni ad alta quota facevano venire l'otite".
Volevo solo dire che Celletti le criticava eccome.

Ciao
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » mar 03 giu 2008, 1:25

Maugham ha scritto: Hai ragione, sono uomo del duemila.
Ma sono anche un soggetto che ha visto la prima opera nel 1968. :cry:
E che ne ha sentite, lette, discusse di tante.
Penso quindi di poter contestualizzare Di Stefano abbastanza agevolmente.


:shock:
Guarda Maugham,
non era in discussione nè la tua esperienza, nè la tua competenza.
Sono cose che non discuto di principio, men che meno nel tuo caso...
Se io credo che contestualizzare sia difficile, non è solo per te, ma per tutti noi.
Si fa presto a dire "ascoltiamo Di Stefano con le orecchie del '48"; non possiamo.
Perché le nostre orecchie sono cariche di altri diecimila suoni, tutti posteriori, di cui non possiamo sbarazzarci.
Quindi, scusami, non ci credo proprio che tu possa agevolmente contestualizzare Di Stefano.
Come non lo posso io.

Non ne discuto nemmeno la simpatia, la comunicativa, l'umorismo, il buon cuore che molti colleghi gli hanno riconosciuto.


:) E invece potresti benissimo discutere tutte queste cose, anche perché nessuno finora (almeno in questo forum) le aveva tirate in ballo. ;) quindi contestale fin che vuoi!
Io poi sarò completamente dalla tua, perché non ho mai creduto, mai in tutta la mia vita, che si possa diventare uno dei cantanti più famosi al mondo e più rappresentativi del '900 grazie alla "simpatia" e all'umorismo e men che meno ..al buon cuore.
A me sembrano favole...

E' stato il tenore dell'Italia del boom.
Che però del boom economico ha rappresentato anche i lati più deteriori: La faciloneria, la scorciatoia, il rifiuto del complesso, il sanremismo, l'appiattimento a un denominatore comune costituito, nella maggioranza dei casi, del ritratto del bravo figliolo mediterraneo tutto buoni sentimenti e spavalderia. A cui il pubblico mamma perdona ogni cosa..


Be' qui secondo me stai forzando un pochino il dato storico, cronologicamente parlando.
All'epoca del boom economico Di Stefano era già un cantante finito; la sua fama mondiale è esplosa un quindicennio prima, quando - al posto del boom - c'erano le macerie fumanti della guerra.
Inoltre il boom di cui parli tu è quello italiano (i sanremismi) mentre Di Stefano fu un mito mondiale anche prima che italiano.
Persino i solennissimi e intellettualissimi critici anglosassoni lo amavano e, sinceramente, non credo che gli elogi di un Rosenthal avessero qualcosa a che fare coll'italico mammismo.
E comunque, anche se il suo successo fosse quello che tu hai descritto (e per me così non è), io non riuscirei a considerare una colpa il fatto che Di Stefano non sia stato un sofferto intellettuale esistenzialista, che scrive saggi di filosofia, compra casa a Parigi vicino a Sartre e lancia messaggi di denuncia contro le ipocrisie del mondo! :)
Anche perché per me sarebbe questo un difetto intollarabile! :)
Ovviamente si scherza... :) Però...

Vorrei solo sottolineare come trovi il termine "rivoluzionario" eccessivo.
Perchè le rivoluzioni nell'opera si fanno anche con i contenuti (vedi Chaliapin e Caruso).
Non solo con un emissione mai sentita prima.


Già... qui è il nostro antico disaccordo. :)
E io invece penso che (non solo nella musica ma in tutta la storia dell'arte) le rivoluzioni si facciano sul codice.
In pittura, come al cinema, come nella musica, come in tutto il resto.
Ma su questo punto so che (almeno per il momento) non ho speranze di convincerti, quindi non insisterò oltre. :)
Solo mi piacerebbe che... una volta o l'altra tu mi spiegassi in cosa consistette la sconvolgente novità contenutistica di Caruso... perché io non la vedo proprio.
Anzi, se devo dirla tutta, il mammismo e il piagnucolio da little Italy mi pare molto più collegabile alla gloria di Caruso che a quella di Di Stefano... Mi permetto di dire questo perché sono un adoratore di Caruso e della sua rivoluzione ...SONORA! :)

Ciao
Matteo
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda Tucidide » mar 03 giu 2008, 12:21

MatMarazzi ha scritto:Io poi sarò completamente dalla tua, perché non ho mai creduto, mai in tutta la mia vita, che si possa diventare uno dei cantanti più famosi al mondo e più rappresentativi del '900 grazie alla "simpatia" e all'umorismo e men che meno ..al buon cuore.
A me sembrano favole...

Sono favole, caro Mat. :D
L'altro giorno parlavo con un melomane (cellettiano :) ) proprio di Di Stefano, e mi riferiva racconti fattigli da vecchi loggionisti della Scala: mimica, sorrisi, battute di spirito fatte in dialetto milanese. Per lui, gran parte della sua fama e fortuna era dovuta a questo. :shock: Ma per piacere!!! Si tratta anche, dico io, di avere scarsa considerazione per il pubblico, se si pensa che possa farsi buggerare da due mosse da simpatico siciliano focoso.

Già... qui è il nostro antico disaccordo. :)
E io invece penso che (non solo nella musica ma in tutta la storia dell'arte) le rivoluzioni si facciano sul codice.
In pittura, come al cinema, come nella musica, come in tutto il resto.
Ma su questo punto so che (almeno per il momento) non ho speranze di convincerti, quindi non insisterò oltre. :)

Invece, sai che con me sfondi una porta aperta. :) Io sono fin troppo ancorato all'importanza del suono... :oops:
Per questo Di Stefano, che pure non mi piace quasi mai, è secondo me uno dei cantanti più rivoluzionari del secolo XX.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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