Cari Liebelei e Maugham,
provo a rispondere contemporaneamente alle vostre belle considerazioni.
liebelei ha scritto:Non so se la Simionato (che peraltro ho dovuto abbandonare presto per volgari questioni economiche)fosse una cellettiana
,ma ti assicuro che dentro quella stanza non era possibile emettere un solo suono "Aperto" pena l'ignominia.
Apprezzo la battuta, però in certo qual modo è vero.
La Simionato era "cellettiana", non perché si ispirasse alle tesi del grande critico, ma perché l'universo estetico-fonico da cui proveniva (era nata nel 1910 e si forgiava sulla tradizione "antica") era lo stesso che Celletti spacciava come unico possibile.
E' sempre bello ricordarla (ci dovrai parlare di più di quelle lezioni) perché era una grande cantante, un valorosa artista e una straordinaria professionista: io ho tutta la stima per lei.
E non di meno non posso considerarla una vestale dell'unica tecnica, come - mi pare - tu tenderesti a presentarla, semplicemente perché non esiste - per me - l'unica tecnica.
Il suo esempio però è adattissimo al discorso che stiamo facendo, in quanto - benché stimata dal mondo intero e celebrata ancora oggi, giustamente - la Simionato non fu, nemmeno ai suoi anni, un emblema della modernità.
Che c'entra la modernità, dirai tu?
Nulla, se crediamo nella "tecnica unica" che attraversa la Storia come un monolite imperturbabile.
Tutto, se crediamo - come credo io - che il suono (anche quello operistico) debba relazionarsi ...darwinianamente con le epoche e con le società e che, pertanto, debba ricrearsi ed evolvere nel tempo.
Anche negli anni '50 la Simionato incarnava la voce d'altri tempi: era l'icona melodrammatica antica, "emersa" dagli anni 30 e approdata dopo la guerra come una sorta di nuova Stignani, con la fierezza e la classe di una appartenenza antica, dai suoni marmorei e sontuosi, dal piglio aulico e sobrio, con sulle spalle il peso di una civiltà canora gloriosa.
Era grandissima e applauditissima, giustamente.
Ma non credo che nei suoi calibratissimi suoni si potessero riflettere le istanze più inquietanti ed avanzate di quell'eccitatissimo dopo-guerra.
In quell'epoca di contraddizioni e impulsi, sedati nell'anelito alla pace riconquistata e persino nel perbenismo di valori forti, c'era posto "anche" per lei, per quel suo troneggiare antico.
Ma non solo...
A fianco dei suoni classici di una Simionato, si imposero negli anni 50 altri modelli, del tutto nuovi, che più efficacemente rappresentavano - allora - la modernità.
L'esplorazione del suono aperto (che per la primissima volta faceva capolino nel teatro d'opera) era solo una delle rivoluzioni di quegli anni; Di Stefano non ne fu l'unico campione; i risultati più grandiosi in questo senso furono raccolti nel Wagner della Neue Bayreuth; piaccia o non piaccia, il Wagner dell'era Wieland era la "modernità", era l'Oggi (degli anni '50), assai più della Simionato.
Il Mozart viennese degli stessi anni era un altro esempio di rivoluzione canora epocale. Basta con le rotondità, le solennità, le volute "mascherate"; in quegli anni Mozart (e di conseguenza Strauss) passò ai luminosi sussurri di cristalleria diafana, dilavata, quasi smaterializzata delle dive di Vienna, ai cui suoni fragili e perlacei il mondo si inchinò.
Piaccia o non piaccia, rispetto alla Simionato, una Schwarzkopf, una Della Casa, una Seefried rappresentavano "la modernità".
Un altro esempio era il canto "inglese" che cominciava a farsi largo dal concertismo barocco fino all'universo britteniano: piaccia o non piaccia, rispetto alla Simionato, una Ferrier, un Pears, una Vyvian rappresentavano la modernità.
Non si tratta di stabilire quale canto sia quello "giusto". Anche perché non c'è - per me - un canto "giusto".
Si tratta di riconoscere storicamente questi diversi contributi, che le scuole e le epoche hanno messo in campo di volta in volta e che il pubblico (unico vero giudice) ha selezionato.
Si tratta di distinguere cosa si è guadagnato in ogni nuovo percorso e anche cosa è andato perso.
Si tratta di verificare quale repertorio si è avvantaggiato nelle svolte e quale ne è uscito malconcio.
In Mozart, come abbiamo detto, le sonorità scolpite all'italiana non piacquero più.
Fu anche la fine del Wagner all'italiana.
Persino in Rossini la Simionato e le cantanti come lei finirono per apparire museali, non appena spuntò lo sgargiante e americanissimo colorismo della Horne, con i suoi aspri contrasti di registro e con le sue carnose aperture di petto.
Solo in Verdi il modello "aulico" della Simionato restò vincente ai suoi anni; e infatti fu solo in Verdi che i teatri del mondo le vennero aperti.
Se tu, come studente, hai trovato che il modello Simionato fosse giusto per TE, per consentirti di ottenere quello che cercavi, hai fatto bene a coltivarlo.
L'artista non può dominare tutte le tecniche; la Callas ne dominava tre o quattro, ma era la Callas.
Il cantante deve trovare la propria emissione scegliendo la "scuola" che a lui è più confacente.
Poi, naturalmente, quando avrà trovato la "sua" tecnica, verrà a dirci che è l'unica possibile.
Che ogni altro modo di cantare è sbagliato.
Questo lo fa ogni cantante; o ogni maestro di canto.
Ho imparato a farci il callo!
Ormai mi incavolo solo quando a dirlo sono i critici o i melomani!
Liebelei ha scritto:E se riascolti il "Pourquoi me reveiller" o l'aria dei Pescatori di Perle del giovane Di Stefano,vedrai che da autentico fenomeno -che tale era- allora riusciva a fare sempre la cosa giusta,in termini di emissione.
Ebbene no! NOn per me.
Quando parliamo di queste cose, non ci sono più i gusti o i punti di vista. Ci sono i dati di fatto.
Di Stefano non fa "la cosa giusta" come la intendi tu!
Come dice anche Maugham, il suo canto è inequivocabilmente aperto anche in quest'aria.
E la Simionato, se uno cantasse così alle sue lezioni, si infurierebbe.
Eppure produce suoni prodigiosi, che - tuttavia - sono suoni "altri" rispetto ad ogni tradizione precedente.
E da qui mi collego all'amico Maugham.
Maugham ha scritto:Dopo (parlo delle registrazioni Emi) rimane a mio parere solo un tenore di una sconvolgente povertà di idee. Monodimensionale. La rivoluzione di cui giustamente parla Matteo è diventata una scorciatoia interpretativa.
Questa tua (giusta, per carità) insistenza sulla povertà interpretativa e musicale di Di Stefano ti rivela incontrovertibilmente per uomo del 2000.
Uno, cioè, che come tutti noi è stato letteralmente subissato da cinquant'anni di suoni "aperti" nell'opera.
Aprono i wagneriani, aprono i mozartiani, aprono i barocchisti, aprono i liederisti, aprono persino i rossiniani (quelli d'America) e spessissimo aprono anche i verdiani.
Di Di Stefano, poi, vi sono stati innumerevoli imitatori.
Per noi il suono aperto è divenuto moneta corrente, linguaggio condiviso, effetto quotidiano.
Siamo abituati a sentire suoni aperti di tutti i tipi: le dolcissime stimbrature di una Von Otter o i carnosi affondi di Vickers, le discese vertiginose di Merritt o i gravi sensuali di una Antonacci, le vellutate asprezze di una Meier o i populismi a buon mercato di Carreras.
Così, senza considerare la sua primogenitura, le aperture di Di Stefano ci appaiono scontate e persino maldestre (oggi si "sa" aprire molto meglio di quanto facesse lui).
Ma (ha ragione l'amico Tucidide) negli anni di Di Stefano già il suono, anche lui da solo, si faceva sostanza interpretativa: una sostanza corrosa, disturbante, rivoluzionaria e peccaminosa.
Se fossimo in grado di calarci fra il pubblico degli anni '50, con i suoi ideali probi e puliti, il suo non sempre trasparente puritanesimo, il bisogno sincero di valori semplici e forti per esorcizzare gli orrori bellici, potremmo forse capire che quei suoni per la prima volta "aperti", per la prima volta "nudi" erano già di per sé "interpretazioni" e producevano frustate elettrizzanti (per gli uomini) e inconfessabili (per le donne) ben più di mille accorgimenti di fraseggio e di accento da grande musicista e grande interprete.
Io credo che molte signore all'epoca ascoltassero Di Stefano quasi con imbarazzo, arrossendo nel buio del palco, sotto lo sguardo severo del marito!
E' come se il tenore si denudasse in scena dei suoi paludamenti arcaici, dei suoi manti antichi e principeschi, e mostrasse con imbarazzante impudicizia la carne della sua voce.
Proprio l'effetto che, da un trentennio, stavano facendo (ma fuori dell'opera) quegli sconci cantanti "pop" americani.
Proprio l'effetto che, in quel mitico 1952, produsse a Bayreuth l'Isolde della Moedl, che scioccò i solenni wagneriani con le sue roche, calde, tragicamente sensuali "nudità" vocali.
Possiamo davvero capirlo noi oggi?
Anche con Caruso abbiamo questo problema: perso oramai l'impatto e persino il significato della sua rivoluzione "sonora", ci perdiamo a interrogarci su quel fraseggio che a noi pare in fondo piuttosto meccanico e prevedibile. E ci chiediamo, sbagliando, dove sta tutto il suo genio.
Così almeno la vedo io.
Liebelei ha scritto:Quanto alla Callas e' chiaro che siamo su un altro pianeta.Ma vedi Matteo,le incisioni degli ultimi sette-otto anni sono li'.Nessuno le criticava,neanche il callasiano Celletti,neanche quando la voce ondeggiava spaventosamente e quando certe risoluzioni ad alta quota facevano venire l'otite
( prova a risentire la Tosca di Pretre con Bergonzi,o anche la seconda Norma di Serafin,quella con Corelli).OK il fraseggio era sempre geniale,le soluzioni non erano mai banali,come diceva Pruun prima,pero' insomma ci siamo capiti.
Dal mio punto di vista la Callas "vera" è prorpio quella tra il 54 e il 59.
Quella precedente la considero solo uno spettacolare "prologo" al miracolo che verrà.
Gusti...
Maugham ha scritto:Celletti veramente picchia duro sull'ultima Callas.
"Dolente sovrana che guarda il suo regno miseramente in declino."
Tra le tante, la definisce, sotto il profilo del dominio del canto di agilità, "una scolaretta" rispetto alla Sutherland.
Scusa Maugham, ma si parlava di giudizio tecnico.
Non c'entra quindi la legittima constatazione, da parte di Celletti, del crollo vocale: constatare che una voce si è logorata, non significa metterne in discussione la tecnica.
E Celletti non ha mai messo in discussione le capacità tecniche della Callas. Anzi le ha sempre celebrate, proprio perché vi intuiva le solidissime basi "antiche".
Quando alla famosa boutade della "scolaretta", penso che vada presa per quello che è: in quegli anni Celletti aveva da dimostrare a tutti i costi la grandezza della Sutherland, non poi così indiscussa da noi.
Chiamare la Callas "scolaretta" (in quel contesto) significava dire: "pensate che genio inarrivabile è la Sutherland o la Caballè, visto che PERSINO LA CALLAS su questo fronte sembra una scolaretta al loro confronto".
Liebelei ha scritto:Ora una cosa era vera : che alla Tebaldi si facevano volentieri le pulci su ogni nota emessa , a quell'altra no. Non che i tebaldiani fossero il massimo dell'obiettivita', ma quando dicevano che in un certo repertorio (il tardo Verdi e quasi tutto Puccini e il verismo) il loro idolo avrebbe potuto dare ripetizioni gratis a qualunque soprano sulla faccia della terra, non mi sembravano troppo lontani dalla realta'. Coi callasiani la discussione era invece impossibile .
Sul fatto che i Callassiani si siano resi ridicoli per decenni non posso che darti ragione.
Eppure un poco li capisco: gente che a Milano ha vissuto la sua stagione più creativa è in qualche modo autorizzata a perdere la testa.
E poi credo che sul mito dei "vedovi Callas" si sia un po' troppo insistito: mi fanno ridere le divette di oggi che dichiarano di non poter fare Norma alla Scala perché i Callassiani le affosserebbero!
Sicuramente oggi i callassiani rimasti in vita sono ben pochi: nel 65 e nel 75 erano assai di più; ciò non ha impedito alla Gencer prima e alla Caballé poi di raccogliere in questo ruolo grandissimi successi proprio alla Scala.
Quanto al giudizio sulla Tebaldi, temo che la vediamo diversamente.
Io non credo che avesse poi tanto da insegnare nè nel tardo Verdi, nè in Puccini, nè nel Verismo.
Li ha fatti bene ma in modo che io considero banalizzante e semplificante.
I contributi discografici della Callas matura per me restano ben altrimenti probanti.
Ma magari ne riparleremo in altro thread!
Salutoni,
Matteo