VGobbi ha scritto:E' curioso che il Marazzo non abbia espresso nessun parere su Di Stefano? Non trovate?
Scusami, non mi ero accorto di essere stato tirato in ballo.
Invece sono contento, Vit, di dire la mia sua questo grande tenore.
Io non sono, in teoria, un cultore delle interpretazioni di Di Stefano.
A me di solito non convince chi si fida dell'esteriorità e del troppo facile: musicalmente e teatralmente Di Stefano non aveva voglia di scavare e di costruire qualcosa di complesso; agiva secondo gli impulsi e le "generosità" che secondo me sono il peggior nemico di un vero artista.
Eppure, anche senza amare follemente ciò che ci resta di lui, lo considero uno dei cantanti più importanti cantanti del '900.
Paradossalmente ciò che secondo me lo rende tale è proprio quell'aspetto che da alcuni viene considerato il suo "difetto".
Spesso si legge di lui che ebbe "bellissima voce", che fu un "grande comunicatore", che era simpaticissimo e gran signore.... "peccato per la tecnica vocale totalmente sbagliata".
io invece non lo ammiro né per la bellezza voce (aspetto che ahimé non mi scuote più di tanto), nè per la estroversione del suo temperamento, mentre considero "storiche" e geniali proprio quelle sonorità maledette, aperte, rivoluzionarie e rivelatrici, che hanno fatto di lui uno dei più coraggiosi, estremistici e profetici innovatori della Storia del Canto.
Grazie a gente come lui e Martha Moedl, i suoni "aperti" sono oggi potentemente parte del nostro bagaglio "operistico"; ne conosciamo tutte le potenzialità espressive e non potremmo farne a meno.
E non solo: grazie al sacrificio di questi coraggiosi pionieri (Di Stefano e la Moedl, appunto) abbiamo anche imparato a conoscere le conseguenze distruttive di questo tipo di canto e la necessità di imbrigliarlo tecnicamente, come oggi sanno fare quasi tutti coloro che lo praticano.
Fischer-Dieskau o la de Los Angeles ci hanno poi dimostrato che si può cantare "aperto" in "punta di forchetta" ed andare avanti per cinquant'anni di carriera; ma senza l'ardore suicida di un Di Stefano e di una Moedl, senza la loro incoscienza nell'avventarsi sul suono aperto, per rivelarcene tutte le striature dolorose, umane, fibrose, carnali, sensuali, oggi noi non sapremmo quante suggestioni sono raccolte in questo tipo di emissione.
In ogni rivoluzione c'è bisogno di martiri.
Gli avversari del "canto aperto" cercano di spacciare il mito di Di Stefano per una semplice questione di "simpatia" e "bel timbro", e invece secondo me, se Di Stefano dava brividi elettrizzanti al pubblico di tutto il mondo, non era "NONOSTANTE" i suoni aperti, ma proprio in virtù di essi!
Quei suoni, spesso aspri e legnosi, erano i più umani, veri e "peccaminosi" che il pubblico di tutto il mondo avesse mai sentito emettere a un tenore d'opera.
In quanto "pioniere" (e uomo semplice) Di Stefano non fece in tempo a capire che l'apertura del suono va usata con discernimento, con cautela, altrimenti ti lascia sfiatato; e soprattutto non arrivò a capire che non tutte le opere possono essere cantante con questa tecnica, che ha - tra i propri limiti - quello di compromette la linearità del fraseggio e la facilità vocalistica.
Sono queste le ragioni per cui è lecito non amare, oggi, molte cose che di Stefano ci ha lasciato: eppure la sua "rivoluzione tecnica" è stata - secondo me - fra le cose più rilevanti per la storia del canto novecentesco.
In tutti i casi è un grandissimo che ci ha lasciato.
Salutoni,
Mat