Caro Maughan, una precisazione.
Innanzitutto mi stupisce come si possa oggi - quando certi pregiudizi culturali sembravano decisamente superati - essere ancora convinti di una pretesa superiorità del
dramma musicale su ogni altra forma operistica (
tu stesso lo affermi quando spieghi che "non occorre avere chissà quale cultura, non solo musicale, per capire se, come li chiami tu, i complessi e delicati equilibri del belcanto sono rispettati"
e che, al contrario, si dovrebbe avere una ben più corposa preparazione per giudicare un'opera di Wagner). E ancora mi meraviglia la semplificazione del discorso a mero bilancino di farmacista onde misurare e soppesare terzine e acuti. Ti informo che chi, come me apprezza il belcanto e lo predilige su altre forme musicale (
questione di gusti, non di superiorità fatali), non solo su di esse sofferma la propria attenzione. Certamente, però, esse fanno parte del necessario bagaglio espressivo dell'interprete che esegue il belcanto, e, dunque, sono fattori imprescindibili in ogni esecuzione. Ovvio che non c'è solo la perfetta esecuzione dello spartito, ma non si può/deve prescindere da essa, poichè solo grazie a tale presupposto, nel belcanto, si riesce a esprimere compiutamente ciò che la musica suggerisce, e solo sulla base di una tecnica perfetta si può imbastire una qualunque interpretazione. Ti lascio però credere che a me interessi unicamente l'acuto e me ne sbatta di interpretazione direttoriale (
ad esempio), però dimostri di non aver compreso il mio discorso. Per nulla. Immagino che non debba essere io a evidenziare che non solo il Wagner di Knappertsbusch differisce da quello di Furtwangler, ma pure il Rossini di Abbado, differsice da quello di Muti. E, nonostante tu possa pensare il contrario, riesco ad accorgermene anche io (
come - per inciso - colgo perfettamente le differenze tra Knappertsbusch e Furtwaengler, tra Kempe e Keilberth, Tra Karajan e Solti, tra Barenboim e Boulez). Pure mi stupisce - soprattutto da parte tua, visto gli interventi che hai scritto, che, pur non condividendone quasi mai il contenuto, erano e sono per me assai interessanti e stimolanti - che di nuovo e ancora si riduca Wagner al dramma musicale, omettendo come sempre i suoi forti legami con la tradizione dell'opera romantica weberiana e, soprattutto, con il melodramma italiano. Certo Wagner amava rileggere sè stesso secondo le concezioni estetiche dei suoi ultimi lavori, cercando di mascherare (
e a volte di correggere) quelle sue chiare ascendenze. Ma Wagner, si sa, oltre ad essere livoroso polemista con manie di grandezza, è pure pessimo narratore di sè stesso. Diffiderei da ogni suo scritto, poichè non sincero e filtrato dalle tesi che credeva di dimostrare. Ribadisco anzi, la natura essenzialmente vocalista (
se non belcantista) di certe sue opere, come il
Tristan, appunto (
nonostante l'incredula ilarità di MatMarazzi , al quale consiglierei di sfogliare la partitura e magari di soffermarsi sui debiti di Wagner a Bellini, autore idolatrato dal serioso tedesco).
Tornando al discorso, non era necessario sottolineare l'oziosità di certe banalizzazioni (
è più difficile questo o quell'altro), credo infatti, che qui tutti se ne siano tenuti ben lontani, poichè ciascuno, pur nella distanza delle idee, ha espresso le proprie convinzioni giustificandole, e in ciò non vedo nulla di banale o ridicolo. Non mi è sembrato un discorso da bar ecco, ma una riflessione su di una provocazione di Patanè. Parimenti non condivido però, il ricorso alla soggettività nel rilevare difficoltà. Si parla di canto, cioè di una forma espresssiva che ha delle sue regole e delle sue insite difficoltà. Non si può cavarsela con un
tutto è soggettivo: certi problemi ci sono e sono evidenti. Quelli di cui parlavo io, in merito a Tristano, sono essenzialmente vocalistici. Quindi, Maughan, non giochiamo a non capirci: so bene che la parte di Tristano presenta altre e notevoli difficoltà, ma sul piano strettamente vocalistico, ne ha molte meno che in quelle da tenore belcantista.
Infine sul Pavarotti non musicista che canta bene Idomeneo e che quindi sarebbe opera assai accessibile e che tutti possono affrontare senza particolari preparazioni: scusa ma non ti capisco. Pavarotti non era nè un filologo nè uno studioso, ma era un cantante e mi risulta che per cantare si debba essere proprio cantanti (
magari in futuro non sarà più così, quando verranno battute altre vie espressive che relegheranno il canto ad una cosa non necessaria all'interpretazione di un'opera, tra l'altro la Dessay ci sta proprio convincendo che si vada verso quella strada..mi si conceda la battuta..). E per cantare di tutto, da Monteverdi a Henze, bisogna esserlo. Cosa significhi cantante musicista, quindi, mi sfugge, o meglio non mi interessa. Ti ribalto però la questione: Domingo è cantante musicista (
fa pure il direttore d'orchestra), ha iterpretato un buonissimo Tristano e ha in repertorio Sigmund e Parsifal. Ha provato anche Idomeneo - parte che secondo te sarebbe non molto difficile - con esiti a dir poco disastrosi. Come disastrosi sono stati i suoi tentativi nel repertorio del tenore belcantista, da Nemorino ad Edgardo... Come la mettiamo? Idomeneo è parte difficilissima e che richiede molto dalla voce (
basta leggere la partitura del resto) e se Pavarotti l'ha interpretata egregiamente (
l'unico in disco, giacchè non si può dire lo stesso di nessuno degli altri cantanti che hanno affrontato il ruolo: da Gedda, ai tenorini filologici anglosassoni, a Domingo) vuol dire che sapeva cantare, magari ignorava altre cose, ma possedeva la tecnica per il ruolo (
a differenza di Domingo e degli altri citati).
Ultima modifica di teo.emme il lun 17 mar 2008, 0:32, modificato 4 volte in totale.