MatMarazzi ha scritto:L'ottimo risultato di Marthaler nel Wozzeck è in fondo molto prevedibile, così come il tracollo in Mozart.
Sono completamente d’accordo su questo. Il problema di Marthaler è quello di tanti registi non cresciuti a pane e opera: ossia quello di appiccicare le proprie idee (spesso interessanti) SULLA drammaturgia dell’opera (intesa come mix testo-musica), anziché farle nascere DA quella. Quando ciò si applica ad opere in cui la forma è fondamentale (Mozart, ma anche il repertorio italiano dell’800), spesso sono dolori: su opere come Wozzeck, il gioco riesce meglio.
E devo dire che, per mio conto, con questo Wozzeck il gioco è riuscito magnificamente. Due sono gli aspetti che mi hanno stupito. Primo: mi sono accorto per la prima volta come, tutto sommato, le diverse letture di quest’opera partivano tutte da una generica ambientazione di modernità novecentesca che, per noi, è ormai tanto “passato” quanto lo è il ‘700 di Mozart. Voglio dire: non mi era mai capitato di vedere un Wozzeck ambientato con coordinate culturali a noi (intendo gente ormai nel XXI secolo) veramente contemporanee, un po’ tipo quello che aveva fatto Sellars con Mozart. Marthaler lo ha fatto, usando coordinate che a me sembravano quelle di certi film (o meglio ancora serie televisive) americane. Scena fissa, una sorta di mensa – tavola calda sperduta chissà dove, centro dove tutta la vita del paese converge, come se ne vedono molte in film on the road, coloratissima e luminosissima, coi personaggi che diventano figure tipiche di quel mondo (tipo: il tamburmaggiore è il bullo vanesio, di successo con le donne, ma in fondo sfigato e perdente anche lui).
Ma soprattutto sorprendente era l’impostazione data a Wozzeck, e qui si passa al secondo motivo, per me, di sorpresa. Non il progressivo distruggersi di una personalità, ma il suo contrario: il formarsi di una personalità; mostruosa certo, ma più evoluta. All’inizio Wozzeck è dipinto come palesemente autistico, ogni contatto con altri esseri che si risolve in un meccanico ordinare oggetti (e Keenlyside è uno spettacolo, talmente bravo da dare punti all’Hoffman di Rain Man, in quanto più sobrio e meno manierato). Un puro, una sorta di Idiota dostojevskiano, sessualmente infantile (bellissimo il modo di usare certo gesti sconci facendo capire di non averli mai provati sul serio: seri dubbi sulla paternità del bimbo di Marie...), vittima predestinata di una società più stupidamente ottusa che violenta. Ogni incontro con altri personaggi (e le umiliazioni che ne conseguono) sembra provocare in lui una presa di coscienza, che non può che sfociare a sua volta in violenza, fino all’omicidio finale di Marie, bellissimo: stanno parlando uno di fronte all’altra e all’improvviso Wozzeck (impassibile, gelido) estrae un coltello e con un gesto pulito e chirurgico le taglia la gola, come avrebbe potuto fare Hannibal Lecter. Ne occulta il cadavere, e nella scena successiva è un altro: sessualmente aggressivo con Margret, la follia pura dell’inizio divenuta psicosi violenta. E poi, non muore: tutto il suo monologo finale è detto al buio, solo una voce e qualche effetto di luce. Al termine dell’invenzione su una tonalità la tavola calda è divenuta la scuola coi bambini. Wozzeck è svanito, probabilmente in giro a scannare altre donne finché l’fbi lo abbatterà a fucilate, oppure semplicemente svanirà nel nulla.
Io l’ho trovato strepitoso: niente proletariato oppresso, colori cupi, tragedia; ma emarginati come li si intende oggi (magari gente non poverissima, ma solo chiusa in una società senza possibilità di sbocchi fuori dal proprio piccolo mondo), colori brillanti che abbagliano con la loro vuota ssurdità, gesti minimi. Fra l’altro (e non so se era voluto), una lettura del genere è perfetta per Keenlyside, la cui maggiore caratteristica di interprete, per mio conto, è proprio quella di riuscire a far percepire la pericolosità della bontà, il lato pericoloso che sta dietro i buoni sentimenti, in Billy Budd come in Hamlet, in Posa come in questo Wozzeck. Il resto del cast era pure formidabile (le scene a due fra Keenlyside e la Denoke erano fantastiche: lei ragazza madre che ha preso Wozzeck solo per avere qualcuno a fianco, anche se alla fine ha forse preso ad amarlo come un bambino). E Cambreling è stato abilissimo nell’adattarsi ad una tale visione (culmine uno strepitoso scherzo nel II atto). In una parola, proprio quello che è mancato nel Fidelio: il teatro. Dove gesto, canto, luce, orchestra interagiscono fra di loro creando qualcosa che è più della semplice somma dei singoli elementi (non importa quanto strepitosi se presi singolarmente).
So bene che, raccontato a parole, uno spettacolo del genere può sembrare sciocco o sterile provocazione, ma a me ha veramente stupito. Mai e poi mai avrei pensato che Wozzeck lo si potesse risolvere (così bene) con un linguaggio a metà strada fra X-files e Grease…
Saluti.