Samuel Ramey

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Samuel Ramey

Messaggioda Tucidide » ven 07 mar 2008, 22:20

A proposito di Carlo Colombara, ho detto che in generale la voce di basso non è fra le mie favorite: chi mi conosce sa che la mia corda preferita è senza dubbio il soprano.
Tuttavia ho sempre fatto un'eccezione fra i bassi, trovando magnifica, davvero, la voce di Samuel Ramey.
Come si sa, non si trattava di un cantante tonitruante: la voce, pur essendo timbratissima e squillante (davvero tanto, trattandosi di un basso), non possedeva il volume di certi mostri sacri del passato, né pareva possedere l'autorevolezza di cavata.
Tuttavia, l'ho sempre trovato magnifico per due motivi. La prima è la straordinaria capacità tecnica, in grado di portare a nuova vita ruoli che fino a pochi anni prima non sarebbero stati nemmeno ipotizzabili, come Maometto II, Assur, lo stesso Mustafà nell'Italiana.
La seconda è quella che maggiormente vorrei discutere con voi, e parlo della sua personalità di interprete. Da Celletti in poi, questo basso è stato considerato bifronte: alla grande capacità vocalistica si contrapponeva, a detta della critica togata, una certa freddezza di interprete, una vera e propria mancanza di coinvolgimento emotivo.
Io devo dire che non mi sono mai trovato d'accordo con questa visione: cercherò di spiegare perché.
Ritengo che a fare di Sam Ramey un grande interprete (ma attenzione, solo di alcuni ruoli), concorrano in maniera decisiva due fattori. La leggerezza (relativa, si intende) della voce, e la sfrontata sicurezza dell'emissione. Tutto ciò lo rende a mio avviso irresistibile in certi ruoli, quelli da condottiero sicuro di sé, oppure da cattivo tenebroso, oppure da personaggio "sburone" (perdonate il romagnolismo - le mie origini si sentono :oops: ).
Un ruolo come, ad esempio, Escamillo, in bocca a Ramey diventa un vero torero macho, sicurissimo di sé e del suo appeal, dove la sfrontatezza degli acuti nella canzone del Toreador si traduce in fattore espressivo.
Oppure, prendiamo le 4 incarnazioni demoniache dei Racconti di Hoffmann. Non sono ruoli da vero principe delle tenebre, ma il carattere quasi operettistico dell'opera li rende poco più che bulli da salotto: Ramey è perfetto, e non solo nei momenti solistici, ma anche nei parlati.
Maometto II: un vero condottiero, altero, in cui la magnifica coloratura e la fluidità dell'emissione diventano fattore espressivo: viene da dire: uno che canta così bene, conquista altro che Costantinopoli! :D
Attila: in Verdi Sam non mi sembra sempre a suo agio, ma la scrittura di Attila è ancora molto legata a certo Donizetti, e quindi siamo ancora in paesaggio belcantista: Ramey è magnifico, e come per Maometto, la facilità di canto diventa cifra espressiva.

Meno bene vanno le cose per i personaggi di diverso tipo: Filippo II è un personaggio troppo tormentato e pieno di contrasti, e Ramey lo rende troppo volitivo e sicuro di sé: non è credibile - e poi qui la mancanza di una spontanea autorità vocale e timbrica si fa sentire.
Anche per Zaccaria non ci siamo: l'allure sacerdotale latita, e la serena "sicurezza" del profeta, che gli viene da Dio, è ben altra cosa rispetto alla sicurezza di cui fa mostra Escamillo - dovuta al successo in campo amoroso. :D

Dunque, forse non un cantante in grado di giocare al camaleonte, trovando pesi sonori ed alchimie vocali sempre nuove, ma di certo un cantante di livello storico, in grado di cantare ma anche interpretare molti personaggi (quelli a lui congeniali) in maniera convincente.

Voi che ne pensate?

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Re: Samuel Ramey

Messaggioda Alberich » ven 07 mar 2008, 22:40

Sono fondamentalmente d'accordo con te (a parte che amo moltissimo i bassi).
Certo che alcune cose che ha cantato fanno veramente sbadigliare da tanto sono vocalmente impeccabili ma "tirate via", però altre sono eccezionali sotto tutti i punti di vista.
Sentito da vivo, più volte, alla Scala devo dire che la voce non era debordante ma, comunque, era potente e timbratissima; inoltre dal vivo la sua figura alta e slanciata si faceva sempre valere.
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda dottorcajus » ven 07 mar 2008, 23:43

Grande cantante ma, concordo, non molto espressivo in alcuni ruoli.
Se il suo Filippo II° non mi esaltò, il suo Don Giovanni neppure, mi conquistò il suo Mefistofele nell'omonimo titolo, peccato che a Firenze ebbe compagno quale Faust un tenore che cantò rozzamente tutta la sua bellissima parte. Purtroppo non ho mai avuto modo di vederlo dal vivo in un titolo rossiniano.
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda pbagnoli » sab 08 mar 2008, 12:29

A me è sempre piaciuto moltissimo.
La sua importanza storica, poi, è indiscutibile: credo che fosse dai tempi di Pol Plançon che non si sentiva più una voce di basso in grado di fare roulades e cadenze come quelle dell'aria del Tambourmajeur del Caid di Thomas (che, non a caso, Ramey fu il primo a riproporre in un concerto da quel dì).
Ciò chiaramente ha fatto di lui uno dei grandi protagonisti
Anche i suoi accostamenti ai ruoli baritonali (come Scarpia, per esempio), mi sono sempre sembrati ben più che interessanti
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Messaggioda MatMarazzi » sab 08 mar 2008, 15:11

Caro Tucidide,
quello che dici è interessantissimo su talmente tanti fronti che non so da dove partire! :)
Premetto che anche io ho sempre considerato Ramey uno dei cantanti maggiori del nostro tempo.

Tuttavia ho sempre (trovato) magnifica, davvero, la voce di Samuel Ramey.
Come si sa, non si trattava di un cantante tonitruante: la voce, pur essendo timbratissima e squillante (davvero tanto, trattandosi di un basso), non possedeva il volume di certi mostri sacri del passato, né pareva possedere l'autorevolezza di cavata.


Hai ragione: la voce di Ramey era "magnifica" come tu affermi, senza se e senza ma...
Però hai ugualmente ragione quando riconosci che non era ultra-rotonda e pastosissima; e tuttavia mi sono sempre sorpreso quando sentivo dire che non era una voce stupenda.
Ma come no? Certo che lo era!
Ce ne fossero di voci come quella di Ramey! Di timbri così privilegiati.

In effetti, credo che, ponendo il problema della "bella voce" di Ramey, tu abbia messo il dito su una delle piaghe del cellettismo.
E, se mi permetti un piccolo off-topic, vorrei chiarire cosa intendo.
Partiamo dall'origine, e all'origine c'era Marylin Horne.

Evocando l'età dell'oro della vocalità (che naturalmente esiste solo nella testa di chi la evoca) e descrivendone le imprescindibili caratteristiche tecniche, Rodolfo Celletti aveva sempre avuto come modello la tecnica dei cantanti italiani che piacevano a lui (la generazione degli Schipa, dei Pertile, dei Lauri Volpi, dei Gigli), pretendendo che essa corrispondesse a quella dei cantanti belcantistici e financo barocchi.
L'omogeneità dei suoni, l'assoluto raccoglimento, la piena copertura, la cascata di armonici, la "dinamica sfumata"... e tutti gli altri miti della religione cellettiana.

Poi però è saltata fuori la Horne, e il sogno cellettiano ha rischiato di sbriciolarsi.
Da un lato, la Horne (piaccia o non piaccia, come a me) eseguiva il repertorio belcantistico con un vigore, una proprietà, una adesione che nessuna fino ad allora aveva avuto.
E questo Celletti non poteva non riconoscerlo: anzi, la Horne è diventata il totem del suo pensiero.

D'altra parte, in quanto americana e tecnicamente "sincretista" (non è un caso che all'inizio cantasse anche Minnie e Marie del Wozzeck), la Horne non disdegnava di ricorrere ad aperture del suono, registro di petto "sparato", colorismi degni di una straussiana, acuti aspri e fibrosi, effetti "growl" da musica Jazz, tutti elementi che divennero parte integrante del suo stile belcantista.
Chiunque capisce, se ci ragione onestamente, che - in teoria - Celletti non aveva mai ammesso suoni simili nella sua "grammatica del perfetto vocalista" e che essi non derivavamo per niente (ma proprio per niente) dalla tradizione "aurea" del canto "italiano", semmai dal contatto che gli americani ebbero sempre con i declamatori wagneriani e con i cantanti pop.
Sul fronte del suono, la vocalità della Horne permetteva una carnalità insolente e una vastissima tavolozza coloristica (precluse a cantanti del modello "cellettiano") ma contemporaneamente esponeva il timbro a disomogeneità, durezze e asperità, le stesse che Celletti rimproverava ai tanto odiati declamatori.
Sentire nei loro duetti la Horne e la Sutherland è rivelatore.
L'australiana canta esattamente come vorrebbe Celletti (e infatti il suo suono ha certe caratteristiche), la Horne no: e infatti la sua voce è assai più carnale, ruvida, sensuale.

Con l'avvento della Horne, il povero Celletti si ritrovò nel bel mezzo di un corto circuito.
Da un lato doveva esaltare in lei l'emblema stesso del progetto neo-belcantista, dall'altro doveva giustificare in qualche modo il fatto che i suoni della Horne non corrispondessero affatto a quelli che lui contrabbandava per "regole auree" e anzi avessero molte delle caratteristiche di quei cantanti che lui invariabilmente demoliva (non tondi, non vellutati, non omogenei).

E allora si inventò la scappatoia puerile della "brutta voce".
ehehehe...
"Eh, sì... la Horne è stata la più grande belcantista, nonostante una voce - ahimé - sfortunata timbricamente".
Il suono della Horne è aspro? E' povero di armonici? E' poco vellutato, poco morbido, poco tondo?
Eh... ha un così brutto timbro, poveretta!

Come sempre, sono le scappatoie più puerili ad aver maggior successo.
E così non venne mai in testa a nessuno di riconoscere che se la Horne produceva quei suoni era perché aveva scelto un certo tipo di emissione (assai poco italiana); e se aveva scelto quel tipo di emissione era perché il suono omogeneo e vellutato non le interessava: e che per lei l'intensità sensuale di un suono semi-aperto o di un colore valorizzato contava di più di ogni rotondità (proprio come per Vickers o per la Resnik sui conterranei).

Poi sono saltati fuori i figli della Horne: anzitutto Ramey, poi Blake e Merritt, la Anderson, poi tutti gli altri.
E con il problema si ripropose tale e quale.
L'emissione scelta da tutti loro non prevedeva affatto l'oscuramento "cellettiano", l'arrotondamento estremistico, la copertura assoluta di una Sutherland (che giustamente restava il modello di riferimento del cellettismo).
E infatti i suoni di tutta questa scuola erano graffianti, sensuali, moderni, coloratissimi, ma anche poveri di armonici, poveri di rotondità, poveri di velluto.

La scappatoia, una volta utilizzata per la Horne, dovette poi essere applicata a tutti i suoi figli.
Merritt? Eh... grande vocalista! Peccato per il brutto timbro...
Blake? Eh... anche lui! Stupendo rossiniano! Peccato per il brutto timbro...
La Anderson? Grande vocalista lei pure! Peccato per quel timbro aspro...
Ramey? Grandissimo! Il vero basso virtuoso...
Peccato per quella voce povera di armonici e di cavata! :)

E' arrivato il momento di smentire Celletti (proprio come hai fatto tu).
La voce di Ramey era meravigliosamente bella! Un timbro assolutamente privilegiato.
Se non era ridondante di armonici era solo per un motivo: perché TECNICAMENTE non gli interessava coltivare quel tipo di emissione che dà ai bassi il suono "antico" e uniforme di un Nazzareno de Angelis o di un Ezio Pinza prima maniera.
A Ramey - come a tutta la scuola dei belcantisti americani, uscita dalla Horne - interessava precisamente un suono striato di sensualità, aperto ai centri, chiarissimo nella dizione, vario nei colori, leggero (come tu dicevi) nelle intenzioni e giovane, rampante, moderno, a costo di perdere qualcosa in potenza, pastosità, velluto.
Era una questione di scelta tecnica, caro il mio Celletti, e non di "voce sfortunata".
Proprio come Blake, Merritt, la Horne.

Ritengo che a fare di Sam Ramey un grande interprete (ma attenzione, solo di alcuni ruoli), concorrano in maniera decisiva due fattori. La leggerezza (relativa, si intende) della voce, e la sfrontata sicurezza dell'emissione. Tutto ciò lo rende a mio avviso irresistibile in certi ruoli, quelli da condottiero sicuro di sé, oppure da cattivo tenebroso, oppure da personaggio "sburone".


Secondo me hai descritto perfettamente le caratteristiche interpretative di Ramey.
E i giudizi sui suoi personaggi sono assolutamente condivisibili.
Ma non riesco a vedere, in queste caratteristiche, la conseguenza di disposizione tecnica o vocale, quanto una caratteristica dell'uomo e delle origini americane, il suo essere gioiosamente "yankee".

Anzi, vedendo la cosa in una prospettiva opposta alla tua, ritengo che quel tipo di suono "leggero e svettante" (che tu consideri la causa) fosse piuttosto la conseguenza di quella natura e di quella scuola, che - per esprimersi - ha bisogno di certi suoni.

Ramey ha sempre coltivato il suo machismo, una fisicità gioiosa da rodeo, una semplicità psicologica, da bambino, che vede tutto semplice e solare, fuori delle macchinazioni e delle nevrosi della nostra vecchia Europa.
Ecco perché il suo Attila, al di là dell'aspetto vocale, è stato così grandioso anche a livello umano; così come il suo Maometto II e il suo Mustafà.
Perché erano tutti uomini che venivano da lontano, da mondi dove tutto è più semplice, istintivo, luminoso e giovane, dove l'uomo deve solo essere forte e onesto, senza lambiccarsi in sotterfugi e dietrologie politiche, senza portarsi sulle spalle il fardello di una civiltà vecchia, sfinita, intorbidita.

Tutte le volte che sento e vedo l'Attila di Ramey o il suo Maometto II, la loro purezza infantile, la loro morale fortissima e ingenua, la loro incapacità di comprendere le macchinazioni e le piccolezze "europee" di chi li circonda, io penso a quanto sia vicino a tutto questo l'Americano di James.
Se qualcuno mi chiedesse di descrivere in una sola immagine Ramey, a costo di stupirti, non tirerei in ballo la questione del vocalismo virtuoso, ecc...; piuttosto direi proprio che è stato il cantante che più di tutti ha saputo incarnare lo scontro di due civilità: da una parte una giovane, sana e ingenua, dall'altra una vecchia, colta e corrotta.

Poi è chiaro che tutto questo viene a mancare quando il nostro Sam va a cimentarsi con personaggi che a loro volta sono intaccati dal tarlo del declino e dalla paura della morte (che grandi errori Filippo II e Boris!).
Erano ruoli posti all'altra riva dello scontro: esponenti di una civiltà vecchia e intaccata, che lui nemmeno come uomo - figuriamoci come artista - poteva capire!
Meglio allora come Pimen (anche se insolitamente giovane). Meglio sarebbe stato come Principe Igor o come Kovantchi.
Meglio se avesse osato Boccanegra, piuttosto che Fiesco.

Io ho visto Ramey dal vivo tante volte: Attila, Mustafà, ecc...
Persino in una Messa da Requiem a Venezia dove si presentò con un vestito assurdo, e uno strichetto da festa a Las Vegas.
Ma il ricordo più bello me lo ha lasciato come Nick Shadow del Rake's Progress a Aix en Provence.
Aveva il codino, il disincanto superficiale, la leggerezza ironica e l'agilità palestrata di uno yuppie anni '80. E fu geniale.

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Re: Samuel Ramey

Messaggioda Luca » sab 08 mar 2008, 16:21

Molto intreressante l'excursus fatto da Matteo su Ramey, ma a tutti i ruoli che il nostro amico ha citato ed interpretati dal basso americano, aggiungerei anche Mefistofele: esistono 2 video (quello di Firenze e quello di S. Francisco) ed una edizione discografica che, a mio avviso, vanta la migliore direzione orchestrale guidata da G. Patané (con ottima prestazione corale) e il miglior protagonista (il resto del cast non mi pare valga molto...). Un Mefistofele diametralmente opposto, se vogliamo, a quel grandissimo 'diavolone' che è stato De Angelis nell'edizione del 1929. Quest'ultimo - anche per il volume e la vigoria vocale - tendeva a fare il vero 'Re dell'abisso', Ramey invece gioca la carta della sensualità e della leggerezza senza nulla togliere alla terribilità del personaggio. Tutto questo dalla critica - salvo appunto Celletti che ne ha steso una recensione - non fu compreso e quella prova di Ramey non la si ricorda al pari di altre sue prestazioni più note perché, forse, solo rossiniane.
Quel Mefistofele merita l'ascolto: quasi quasi ne faccio una recensione...

Saluti, Luca.
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda pbagnoli » sab 08 mar 2008, 17:39

Luca ha scritto: Quel Mefistofele merita l'ascolto: quasi quasi ne faccio una recensione...

Saluti, Luca.

Falla, falla: aspetto con ansia.
In linea di massima, comunque, concordo con te: ottima direzione, gran bel protagonista, resto del cast modesto anzichenò
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Re: l'eroe del nuovo mondo

Messaggioda VGobbi » sab 08 mar 2008, 18:26

MatMarazzi ha scritto:La scappatoia, una volta utilizzata per la Horne, dovette poi essere applicata a tutti i suoi figli.
Merritt? Eh... grande vocalista! Peccato per il brutto timbro...
Blake? Eh... anche lui! Stupendo rossiniano! Peccato per il brutto timbro...
La Anderson? Grande vocalista lei pure! Peccato per quel timbro aspro...
Ramey? Grandissimo! Il vero basso virtuoso...
Peccato per quella voce povera di armonici e di cavata! :)

Condivisibile o meno, passi per Merritt (non discutto di bellezza timbrica in merito alle voci della Horne, Anderson e naturalmente Ramey) pero' su Blake il timbro e' chioccio ed ingrato come pochi.

Concordo sulla grandezza di Ramey, specie nel repertorio belcantistico, mentre non condannerei a priori il suo Filippo II (quello scaligero, tanto per intenderci) od il suo Boris. Piuttosto, per chi lo conoscesse, desiderei sentire un vostro parere sul Don Quichotte (Massenet) tratteggiato con arte sublime dal basso americano. Un Cavaliere Errante tutt'altro che giovanile e baldanzoso (se si eccettua naturalmente la scena dei mulini), calcando molto il lato amoroso, sentimentale e malinconico del personaggio. Davvero una perfomance grandiosa che surclassa gli altri due che possiedo, ovverossia Ghiaurov e van Dam.
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Re: l'eroe del nuovo mondo

Messaggioda MatMarazzi » sab 08 mar 2008, 20:01

VGobbi ha scritto:Condivisibile o meno, passi per Merritt (non discutto di bellezza timbrica in merito alle voci della Horne, Anderson e naturalmente Ramey) pero' su Blake il timbro e' chioccio ed ingrato come pochi.


Scusa Vit, ma il punto non era se le voci erano belle o brutte davvero.
Il punto è che è semplicemente ipocrita voler far passare i centri aperti di Blake per "brutta voce" (e conseguenti stridori) pur di non riconoscere che cantava con una tecnica che è semplicemente opposta a quella di Pertile o Gigli.
Anche Pertile aveva un brutta voce, a detta di tutti, ma non avrebbe mai e poi mai emesso dei suoni nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di Blake, nè la Stignani avrebbe mai osato sonorità alla Horne.
Poi magari è vero che il timbro di Blake non fosse privilegiato, ma il fatto che qualche pazzo (ha ragione Tucidide... c'è stato) abbia detto che persino la meravigliosa voce di Ramey non era poi così bella (solo perché anche lui apriva e colorava i centri) dimostra la malafede dell'assunto.

desiderei sentire un vostro parere sul Don Quichotte (Massenet) tratteggiato con arte sublime dal basso americano.

Non l'ho mai sentito in questo ruolo, ma in astratto direi che appartiene (chi più di lui?) alla categoria degli eroi "del nuovo mondo", dalla morale semplice, forte e destinata a non intendersi con il cinismo snervato della nostra civiltà.
Quindi, in astratto, nulla in contrario a sentire il nostro Sam anche in questa parte (che tra l'altro amo moltissimo, come tutte le opere di Massenett).

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Re: Samuel Ramey

Messaggioda Alberich » sab 08 mar 2008, 20:17

Caro Mat, la tua disquisizione è interessantissima.
Avevo la stessa perplessità di Vittorio, ma hai già risposto.
Mi sorprende che qualcuno possa aver detto che Ramey ha una brutta voce: secondo me, anche timbricamente, è meravigliosa.
Però rimange dell'idea che è verissimo che alcuni personaggi li ha interpretati alla grandissima mentre altri gli erano estranei, tuttavia, tanto nei "suoi" personaggi quanto in quelli distanti dalla sua sensibilità, era assai alterno. Certe incisioni, soprattutto in studio, fanno veramente sbadigliare.
Un saluto
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda pbagnoli » sab 08 mar 2008, 22:31

La Susannah di Floyd è splendida. La conoscete? Lui lì è davvero da urlo!
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda Tucidide » dom 09 mar 2008, 0:35

La conosco, certo! :D
L'opera americana possiede tesori insospettabili, e Susannah è uno di essi.
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda VGobbi » dom 09 mar 2008, 11:05

MatMarazzi ha scritto:
VGobbi ha scritto:Condivisibile o meno, passi per Merritt (non discutto di bellezza timbrica in merito alle voci della Horne, Anderson e naturalmente Ramey) pero' su Blake il timbro e' chioccio ed ingrato come pochi.

Scusa Vit, ma il punto non era se le voci erano belle o brutte davvero.
Il punto è che è semplicemente ipocrita voler far passare i centri aperti di Blake per "brutta voce" (e conseguenti stridori) pur di non riconoscere che cantava con una tecnica che è semplicemente opposta a quella di Pertile o Gigli.
Anche Pertile aveva un brutta voce, a detta di tutti, ma non avrebbe mai e poi mai emesso dei suoni nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di Blake, nè la Stignani avrebbe mai osato sonorità alla Horne.

Sei stato chiarissimo. Facciamo cosi' : sia Pertile che Blake avevamo brutte voci, ma tecniche vocali diverse quanto uniche ed imprescindibili. Va bene? :wink:

MatMarazzi ha scritto:
VGobbi ha scritto:desiderei sentire un vostro parere sul Don Quichotte (Massenet) tratteggiato con arte sublime dal basso americano.

Non l'ho mai sentito in questo ruolo, ma in astratto direi che appartiene (chi più di lui?) alla categoria degli eroi "del nuovo mondo", dalla morale semplice, forte e destinata a non intendersi con il cinismo snervato della nostra civiltà.
Quindi, in astratto, nulla in contrario a sentire il nostro Sam anche in questa parte (che tra l'altro amo moltissimo, come tutte le opere di Massenet).

Dovresti rimediare, non credi? Esiste il dvd in circolazione. Sarei davvero curioso di sentire un tuo parere. Io ho la videocassetta registrata un anno fa su Sky Classica. E' stato un fulmine a ciel sereno ... Ed e' un immenso peccato che quest'opera sia trascurata, visto che viene rappresentata non molte volte nonostante dia grande spazio ad una voce come quella di basso, relegata quasi sempre in ruoli di comprimariato.

Tucidide ha scritto:L'opera americana possiede tesori insospettabili, e Susannah è uno di essi.

Susanna di Floyd che nasconde tesori insospettabili? Mamma mia, ma quanti capolavori non conosco? Penso che meriterebbe un thread a parte l'approfondimento delle opere d'Oltreceano, magari corredate da una discografia essenziale e di riferimento per i neofiti.

Che ne dite?
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda MatMarazzi » dom 09 mar 2008, 12:42

Luca ha scritto:Un Mefistofele diametralmente opposto, se vogliamo, a quel grandissimo 'diavolone' che è stato De Angelis nell'edizione del 1929. Quest'ultimo - anche per il volume e la vigoria vocale - tendeva a fare il vero 'Re dell'abisso', Ramey invece gioca la carta della sensualità e della leggerezza senza nulla togliere alla terribilità del personaggio. Tutto questo dalla critica - salvo appunto Celletti che ne ha steso una recensione - non fu compreso


Caro Luca,
secondo me, a differenziare diametralmente De Angelis e Ramey era anche, come dicevo, il tipo di tecnica vocale.
Ramey cantava in modo opposto: più aperto (donde la sensualità di cui parlavi) e pertanto meno tondo e berluccicante di armonici (donde la leggerezza).
Non so se nella sua recensione... Celletti lo abbia ammesso! ;)

A proposito di bassi in stile antico, che ne dite del Mefistofele di Giulio Neri?

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PS. sì, dai! Recensisci il Mefistofele! :)
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Re: Samuel Ramey

Messaggioda MatMarazzi » dom 09 mar 2008, 12:48

Alberich ha scritto:Però rimange dell'idea che è verissimo che alcuni personaggi li ha interpretati alla grandissima mentre altri gli erano estranei, tuttavia, tanto nei "suoi" personaggi quanto in quelli distanti dalla sua sensibilità, era assai alterno. Certe incisioni, soprattutto in studio, fanno veramente sbadigliare.


Non so che dire... è possibile.
Condivido pienamente gli sbadigli nei ruoli "non suoi", ma non capisco bene a cosa ti riferisci quando parli dei ruoli "suoi".
Per esempio, in Attila e Maometto II o Mustafà o anche Mefistofele tu dove trovi che sia alterno?
A proposito, chi lo ha visto recentemente a Genova nel Billy Budd? Non riesco davvero a immaginarmi come possa interpretare un ruolo così negativo (e poco credibile) come Claggart.

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