un approccio sostanzialmente mozartiano funziona benissimo ma ho il sospetto che manchi qualcosa: ossia proprio quell’elemento rivoluzionario (di “classicismo rivoluzionario”, come diceva Praz a proposito delle arti figurative dell’epoca…) che discende direttamente dalla frastagliata e asimmetrica vocalità di Cherubini su cui si “appoggiano” (nella versione del 1814) le più levigate linee spontiniane. In questo mi sembra che la Callas avrebbe avuto qualcosa da dire…
Il discorso, scusa se insisto, va riportato alle sue origini.
A parte il fatto che non sono poi così classiche e rilassate le vocalità di Elettra o Vitellia (quelle a cui personalmente mi ispiravo parlando di Leonore), il discorso partiva dall'esigenza OGGI di trovare adeguate interpreti di Leonore.
E' quindi meno importante valutare come fossero le mozartiane di allora, quanto giudicare quelle di oggi (o per lo meno di ieri).
Io ho citato tre casi di mozartiane (serie) anni 70-80: Edda Moser, Christiane Eda Pierre e Julia Varady.
Credo che non si possa davvero pensare che il loro canto fosse simmetrico e scultoreo.
Era spezzato, irto, lacerato, sinistro, talora persino sgradevole.
Uscivano tutte e tre dagli anni 70, di cui si portavano dietro quell'aggressività scomposta di rivendicazioni e nevrosi.
Sarà un caso che la Moser (splendida Leonore e rabbiosa regina della Notte) abbia fallito come Ifigenia?
Sarà un caso che la Varady (laceratissima Abigaille e Vitellia) sia risultata così insignificante come Vestale?
...La Callas.
Ma dove trovi il canto asimmetrico e frastagliato nella Callas?
Il discorso su di lei è vastissimo (come è giusto che sia nella maggior cantante del '900), ma se qualcosa possiamo negarle è proprio di aver saputo descrivere un canto frastagliato.
Maestra della linea e del fiato, era solo nei "colori" che ...frastagliava il canto (e purché non interpretasse eroine classiche).
Il suo disagio in Wagner come nella stessa Medea (costretta a pestare di petto, a inarcare il fraseggio in effetti thrilling, a sparare acuti spaccatimpani come una qualsiasi Gioconda) rivela proprio la violenza che questi ruoli esercitavano su una sensibilità profondamente "fraseggiatrice" come la sua.
E' per il controllo disumano e le simmetrie ipnotizzanti (oltre che per il gioco coloristico) che la sua Lucia è così geniale. E' per il fraseggio calibratissimo dalle sfumature infinite che la sua Norma lo è anche di più.
Mi lascia invece un po’ perplesso il discorso sulla Medea versione Lachner. Voglio dire: in fin dei conti, se ricordo bene, Lachner arrangia la sua versione verso il 1855, quando Wagner (almeno quello noto al mondo) è fermo a Lohengrin.
E ti par poco?
Se anche solo i recitativi di Lachner fossero simili a quelli di Ortrud o di Senta, o di Venus sarebbe già un disastro per la povera interprete di Medea, costretta ad alternarli con le agilità di "atre furie" e la tessitura acutissima in "dei tuoi figli".
In tutti i casi, Lachner di Wagner conosceva ben di più del Lohengrin.
A Monaco, dove fu Generalmusikdirector negli anni di Ludwig di Baviera, conobbe in anteprima tutti i lavori Wagneriani, considerato che proprio il suo teatro ne fu culla.
Fece allestire
Tannhauser proprio nel 55,
Lohengrin nel 58,
Vascello nel 64.
Nei suoi anni, inoltre, videro la luce proprio nel suo teatro, il
Tristano (creato nel 65, ma in gestazione da dieci anni) e i
Maestri Cantori .
Lachner se n'era già andato nel 69 (quando vide la luce sempre a Monaco la prima parte dell'
Anello del Nibelungo) ma era ovvio che ne conoscesse gli abbozzi da anni e anni.
Insomma... se in quegli anni qualcuno poteva conoscere Wagner anche per vie non ufficiali quello era proprio lui.
Inoltre parlando di "recitativi Wagneriani" ovviamente io intendevo un'aura dei tempi, un qualcosa che era nell'aria, una progressiva evoluzione vocale verso l'appesantimento dei suoni, la semplificazione delle agilità, l'enfasi del drammatismo declamatorio.
Questo processo si era diffuso proprio negli anni 40-50 in tutta Europa, grazie alle battaglie wagneriane ma anche indipendentemente da esse.
I ruoli Sass, l'evoluzione della Viardot, il mito ancora freschissimo dell'ultima Schroder-Devrient sono tutti sintomi di questa evoluzione pre-declamatoria delle vocalità sopranili e mezzosopranili, evoluzione su cui (certo) Wagner si avventò, ma senza essere l'unico.
Persino il
Ballo in Maschera di Verdi (del 1859) presenta una scrittura sopranile già irriconoscibile rispetto alle opere precedenti e che - se adattata a un'opera del 1800, come Medea - avrebbe creato problemi simili a quelli creati da Lachner.
Sono d’accordo sul fatto che la Callas mostri incertezze, ma credo che ciò derivi più che altro dal terribile guazzabuglio stilistico che quella versione rappresenta, più che da esigenze declamatorie cui non riesce a far fronte.
Be'... se mi provi che la Callas altrove era in grado di declamare allora siamo d'accordo!
Personalmente mi pare strano che un'interprete di sconfinata intelligenza, sensibilità, sottigliezza come lei sia costretta a pestare tanto e in modo tanto anti-stilistico in un ruolo come Medea. Mentre mi pare significativo che una Borkh e persino una Jones (nonostante i limiti espressivi di quest'ultima) non pestino affatto.
salutoni
Matteo