melomane ha scritto:concordo sul nominare la Callas riguardo al tema. Le ragioni espressive della compianta artista si fondano senz'altro anche sul ritmo.
Per come la vedo io, si fondano all'80 per cento, anzi, al 90 per cento sul ritmo.
Sono arrivato alla conclusione, come ho già detto da qualche parte, che scavando, scavando la radice della grandezza della Callas ha due matrici: il ritmo e il colore.
Ci si ragioni sopra, e il suo mistero verrà alla luce.
Anzi in questo senso ho meno difficoltà a vedere in Leyla Gencer una discendenza (fatte salve le considerazioni anagrafiche), forse il sigillo del definitivo superamento del ripiego sui soprani di coloratura per la rappresentazione delle opere protoromantiche e romantiche.
Scusa se mi permetto, ma io credo che questa sbandierata continuità fra la Callas e le sue cosidette "eredi" non esista.
Purtroppo, sulle cose che più contano, la Callas non ha avuto seguito e la sua grande lezione si è letteralmente dispersa con lei.
Il così detto "dopo Callas" a me pare semplicemente un ritorno a più "miti consigli".
Anche a livello ritmico, ad esempio, non c'è una vera continuità fra Callas e Gencer, salvo il fatto che erano brave entrambe (la Callas un po' più che brava...)
Il senso del ritmo della Gencer appare condizionato a una dialettica squisitamente ..."impressionistica", una sorvegliatissima catena di emozione-reazione. Il rimto della Callas era invece architettonico.
Ecco perché le arcate melodiche della Callas danno l'impressione di strutture altamente complesse ma cristalline, lineari, limpidissime.
Al contrario quelle della Gencer evocano una sorta magma emozionale, estremamente suggestivo e inquietante, ma meno coerente e stabile.
Non vedo continuità di esperienza ritmica nemmeno fra la Callas e la Sutherland.
La Callas alla frase - strutturata, come si è detto, in modo geometrica - imprimeva una pulsazione ..interna.
Collegava i valori in un tragitto ritmico talmente solido da risultare necessitante, anzi imprigionante per l'ascoltatore.
La Sutherland invece all'intelaiatura di una frase ("pensata" rigorosamente) era come se vi svolazzasse intorno, con la grazia misteriosa e fatata di una falena, per esaltare e acuire quel senso di surrealtà che l'emissione immascheratissima contribuiva a creare.
L'idea della Callas (in questo senso Toscaniniana) di un disegno melodico totalmente imbastito sul ritmo, non ha più trovato alcuna applicazione dopo di lei.
E stiamo solo parlando di ritmo... perchè se cominciassimo a parlare di colori, sarebbero dolori.
Sono sempre più convinto che la lezione della Callas, a parte i livelli più ingenui ed elementari dell'ascolto, non abbia davvero avuto seguito.
Vi chiedo una precisazione: ho in mente che
- l'agogica sia tutto ciò che concerne, in scrittura e esecuzione, la lunghezza delle note (indicazioni come largo, presto, mosso etc.) e il ritmo sia l'accentazione che va ad integrarla per meglio definire l'espressione o le intenzioni dell'autore e dell'esecutore;
- la dinamica ciò che riguarda l'intensità della nota (indicazione come forte, piano, tecniche come "smorzando", "rinforzando", etc.).
Ma forse sbaglio...
Non è che sbagli Francesco, è che occorre intendersi sulle parole, che in fondo sono solo parole.
Ferme restando le giuste osservazioni di Teo, il termine "agogica" viene di solito viene utilizzato genericamente per tutte le indicazioni di un compositore che riguardino non il "cosa" (le note) ma il "come": come le note andrebbero fatte, sia a livello ritmico, sia a livello dinamico.
Possiamo dire, scherzosamente (ma non troppo), che si tratta di una piccola ingerenza del compositore nell'ambito di competenza dell'esecutore.
E' vero però che taluni autori, proprio come te, chiamano "agogiche" solo le annotazioni a carattere ritmico (definendo "dinamiche" le altre).
Io sono più dalla parte dei primi, ma in effetti è solo questione di intendersi.
Salutoni
Matteo