Arrivano Lucrezia e Stuarda
“Lucrezia Borgia” (1833) e “Maria Stuarda” (1835) di Donizetti:
Quest’anno il “Festival di Donizetti” di Bergamo inaugura con “Lucrezia Borgia” (interprete principale Demetra Theodossiu) e la Scala presenterà il 15 gennaio “Maria Stuarda” (interprete principale Mariella Devia).
Ce ne è a sufficienza, insomma, per affermare che i due principali eventi italiani dedicati al prolifico musicista orobico siano dunque queste due rappresentazioni, sulle quali potrebbe essere utile dire qualcosa dato che, pur essendo a mio parere entrambe bellissime, non si tratta di opere poi così note al grande pubblico come altri più celebri lavori donizettiani.
Sia “Lucrezia Borgia” che “Maria Stuarda” furono rappresentate per la prima volta alla Scala di Milano ed entrambe a dicembre nella consueta “prima” post-natalizia (Lucrezia il 26 dicembre e Stuarda il 30 dicembre), a distanza di soli due anni tra loro (Lucrezia 1833 e Stuarda 1835) e in mezzo a queste due opere si pone (sempre alla Scala in data 26 dicembre 1834) Gemma di Vergy altra opera, per mio conto, notevolissima.
Per Lucrezia Donizetti si fece assistere dal noto librettista di Bellini Felice Romani (quello di Norma) mentre per Maria Stuarda dal meno famoso Giuseppe Bardari, la parte di Lucrezia fu composta per la cantante Henriette Méric-Lalande mentre quella di Stuarda, originariamente destinata al San Carlo di Napoli e poi rifiutata dalla censura (!!!), fu scritta per il soprano Giuseppina Ronzi che aveva da poco meritato la fiducia di Donizetti con la Gemma dell’anno prima (in seguito sarà anche la prima interprete di Roberto Devereux e di Fausta), ma, si dice a causa un violento litigio con Anna del Seru (scritturata quale Elisabetta), la parte di Stuarda fu poi interpretata alla Scala (e pare neppure benissimo) dalla diva per ecellenza Maria Malibran, la cantante prediletta da Bellini.
Ovviamente chi scrive non ha potuto ascoltare queste prime-donne, sulla vocalità delle quali come noto in quei tempi l’autore “confezionava” le proprie musiche, ma il fatto che Stuarda fosse stata concepita per un soprano che aveva bene eseguito il pesantissimo e prevalentemente “centrale” ruolo di Gemma, ci consente di ipotizzare che Donizetti avesse in mente per Stuarda una voce di una qualche robustezza ed espressività anche “malvagia” seppur regale (stiamo pur sempre parlando di grandi nobili o di regine...), ipotesi peraltro che trova piena conferma nella furente invettiva del secondo atto nel corso del drammatico incontro-scontro con la cugina Elisabetta, mentre poco sappiamo circa la tipologia di voce ai tempi identificata per Lucrezia che di certo doveva essere di matrice belcantista ma quale tipo di belcantista non è poi così chiaro.
Da un punto di vista drammaturgico tuttavia (oltre che di scrittura vocale) possiamo notare che la figura di Lucrezia, qui tratta dal lavoro di V.Hugò, risulta un pò “diversa” da quella storicamente tramandataci dalla tradizione giacchè della nota perfidia della signora Borgia Donizetti ci trasferisce ben poco nella sua opera, in qualche modo nobilitando ed idealizzando in uno sconfinato amore materno e sostanzialmente “buono”, un personaggio che poi così remissivo non doveva poi essere.....
In sintesi potremmo dire che, fermo restando che l’ideale sarebbe trovare una cantante in grado di egualmente sviluppare tanto il fronte drammatico e tragico quanto quello lirico e puro come in ogni Donizetti serio che si rispetti, è pur vero che sulla carta e soprattutto sullo.....spartito Lucrezia parrebbe richiedere uno stile di canto più sorvegliato e immacolato di Stuarda che non può prescindere da una certa foga e “cattiveria” anche perchè Lucrezia risulta contrassegnata da un più casto amore filiale per Gennaro, mentre Stuarda da un amore assai più carnale per Leichester.
Dico questo perchè trattandosi della classica opera donizettiana incentrata sulla primadonna, anzi direi che in questo dittico incentrata sul confronto tra due primedonne giacchè il Maffio Orsini di Lucrezia è infatti ruolo “en travesti” e quindi interpretato da un mezzo-soprano esattamente come Elisabetta in Stuarda, la scelta della interprete principale conta moltissimo (anche se completano il classico quartetto donizettiano il tenore ed il basso va detto più di rilevo, da un punto di vista vocale, in Lucrezia ove fa il consorte Borgia).
In entrambe le opere poi si ripete in certo qual modo la struttura musicale nel senso che in entrambe la protagonista entra in scena dopo le grandi scene di tenore e di mezzo-soprano (da vera diva si fa aspettare....in Stuarda addirittura nel secondo atto), esegue una grande aria tripartita secondo il noto schema recitativo-aria e cabaletta, si lancia quindi in un grande duetto col tenore con relativa stretta e poi si volge il tutto verso il grande concertato di fine atto con irrinunciabile crescendo e vorticosa stretta di chiusa.
La seconda parte invece le distingue tra loro già di più nel senso che mentre Lucrezia affronta un inviperito duetto col basso (Don Alfonso pietade vi chiedo), quindi uno struggente duetto con il figlio (Tu pur qui) ove si inserisce la grande romanza di struggimento finale (M’odo o m’odi), e quindi la finale cabaletta di bravura (se eseguita) “Era desso il figlio mio”, Stuarda, che ha già sfogato la propria rabbia nello straordinario confronto-scontro con Elisabetta (Figlia impura), ha un finale prevalentemente malinconico quasi “Boleniano” perchè troviamo il duetto con il basso ove si colloca la romanza struggente (Quando di luce rosea), la bellissima preghiera sul coro e la cabaletta lenta (che ricorda quella di Gemma) “Ah se un giorno”.
Sia ben chiaro, per evitare delusioni del post, che quando dico che entrambe queste opere sono molto belle intendo dire che debbono tuttavia essere molto ben eseguite, e che non basta affatto cantare quello che c’è scritto sullo spartito perchè come noto le opere di Donizetti, ma in generale quelle di belcanto, non sono lavori che “corrono da soli” come può essere una Aida o una Tosca o anche un Tristano.
Nel belcanto infatti l’interprete vocale diventa fondamentale per trasformare in poesia una musica altrimenti di per sè un pò ordinaria, cosiccome per non fare apparire noiosa una partitura e soprattutto una vicenda, che si poggia tutta sul canto.
Sono insomma entrambe un gran bel vestito ma che per fare la sua figura deve essere indossato con classe, sennò è meglio che se ne resti nell’armadio, ma su questo non mi sento di fare previsioni anche se posso dire che Mariella Devia in questo tipo di repertorio è comunque e sempre una garanzia, anche se non è cantante che brilli per fantasia o per natura di voce soprattutto nei ruoli Ronzi ma traseat, mentre la talentuosa Theodossiu può riservare “sorprese” di opposta valenza.....
In passato ovviamente alcune tra le più grandi belcantiste del dopoguerra non si sono fatte sfuggire la ghiotta occasione di sfoggiare questi bellissimi due vestiti, quindi il panorama discografico, soprattutto quello live, e nonostante la imperdonabile assenza di Maria Callas, consente a chi vuole di farsi una giusta idea di quanto possano diventare sublimi queste due opere.
Lucrezia Borgia fu riscoperta per prima e da Montserrat Caballé nella celeberrima esecuzione in forma di concerto alla Carnegie Hall di New York dell’aprile del 1965, ove, arrivando all’ultimo quale sconosciuta sostituta di Marylin Horne, la spagnola divenne dal giorno successivo un “caso internazionale” da lì muovendo, e grazie ad una sola serata (!!!), una delle più straordinarie carriere liriche del dopoguerra.
Maria Stuarda invece fu riscoperta due anni dopo da Leyla Gencer nel maggio fiorentino del 1967 in una leggendaria esecuzione con la regia di De Lullo e la straordinaria presenza di una giovane Shirley Verret nel ruolo antagonista di Elisabetta.
Diciamo che meglio di così non poteva andare ad entrambe (esistono fortunatamente i CD di tutte e due queste “prime moderne”) e così le due opere citate piano piano cominciarono ad entrare nel repertorio, cantanti permettendo.
Sempre nel 1967 infatti sarà la Caballé ad eseguire Stuarda in terra americana e di nuovo alla Carnegie hall, ove nel 1965 aveva presentato anche Roberto Devereux che proprio Leyla Gencer aveva riesumato nella leggendaria recita napoletana del 1964, ed infine a grande chiusura del cerchio entrambe le due citate prime-donne daranno vita ad uno straordinario duello alla Scala nel 1970 proprio in Lucrezia dove verranno entrambe scritturate in alternanza e che sarà il debutto in Scala di Montserrat Caballé.
Due modi più diversi di affrontare questi due ruoli non si potevano immaginare, la spagnola, dotata di voce per natura meravigliosa, cesella ogni singolo respiro in una sfrenata ricerca del suono perfetto, la turca, dotata di carisma e di genio artistico, si lancia senza rete sul pentagramma quasi fossero due Medee, entrambe comunque, ed in questa immane diversità, “centrano” il personaggio e di certo non annoiano anzi esaltano....
L’anno dopo nel 1971 la Caballé tornerà in Scala per Stuarda con la Elisabetta della Verret anche se sarà una terza cantante, la funambolica americana Beverly Sills ad incidere la regina decapitata nell’ambito di una interessante operazione di registrazione in disco del trittico Tudor, mentre Lucrezia Borgia era stato il primo disco ufficiale di opera integrale registrato da Montserrat Caballè per la splendida edizione del 1966 della RCA ancora con la Verret, stavolta quale Orsini, ed uno straordinario Kraus nel ruolo di Gennaro.
Dopo Gencer, Caballé e Sills anche il fenomenale soprano australiano Joan Sutherland fino a quel momento in altri autori affaccendata si farà tentare da entrambe queste eroine incidendo sia Stuarda che Lucrezia per la Decca con fior di cast (Pavarotti e Aragall tanto per dire...) e portando in scena soprattutto la seconda anche in una memorabile edizione barcellonese con Kraus e Dupuy.
Negli anni d’oro della cd. belcanto renaissance queste opere infatti trovavano molto più spesso di oggi spazio nelle più importanti stagioni teatrali, al punto che accanto alle rinomate primedonne troviamo anche fior di voci dell’epoca, dato che oltre ai citati Verret, Kraus e Pavarotti, abbiamo un giovane Carreras cimentarsi sia in Gennaro che Leicester, oppure un Giacomo Aragall, cosiccome nel campo delle voci gravi un Cappuccilli o un Ruggero Raimondi etc..
Ma la storia di queste due opere ovviamente non finisce negli anni settanta e primi-ottanta, e se è vero che i grandi fenomeni di quegli anni sono “passati” è anche vero che altre e più recenti cantanti stanno tentando, seppur con minor carisma vocale e questo va detto aldilà della loro bravura, di mantenere in vita questi due interessanti lavori.
Per ragioni di timbro, stile e più in generale natura, vi è chi si è affidato al versante di perfezione esecutiva esaltando il lato più virtuoso della scrittura donizettiana sulla scia di Sutherland e Sills per intenderci, e si tratta dei soprani leggeri tipo Gruberova e appunto Devia, chi al versante più lirico e patetico sulla scia della Caballé tipo Katia Ricciarelli o Daniela Dessì che anni fa fece una discreta Lucrezia a Napoli, e chi, e vedremo a Bergamo, al versante più “spinto” sulla scia della Gencer.
Proprio perchè al giorno d’oggi non capita più così spesso di assistere ad un Donizetti serio, che in ogni caso è esperienza che merita di essere vissuta, consiglio di trovare il tempo di andare a vedere almeno una delle due opere in oggetto, e visto che Stuarda la danno alla Scala forse la regina Tudor è più comoda e più vicina.